Questo 2020 ha rappresentato, e continua a rappresentare, un anno faticoso: faticoso per le scuole, per i negozi, per la ristorazione, ma anche per le palestre e per lo sport. Se da un lato le attività sportive individuali, come la corsa, hanno potuto continuare senza troppi stravolgimenti, gli sport di contatto, come la Capoeira e le arti marziali in genere, hanno dovuto ripensarsi da zero. La Capoeira: un momento di socialità a distanza. La Capoeira: un momento di socialità a distanza Direttore responsabile: Claudio Palazzi 
Una storia di inclusione la capoeira

L’arte della Capoeira è una delle più alte espressioni culturali del Brasile. Nasce tra il XVII e il XVIII secolo, come una lotta di liberazione degli schiavi africani deportati in Brasile dai dominatori portoghesi. La Capoeira è l’espressione del popolo, è un’arte che nasce dal basso per comunicare: gli schiavi provenivano da diverse zone dell’Africa per cui dovettero trovare un linguaggio che li accomunasse, una sorta di esperanto che gli permettesse, nonostante le differenze, di capirsi. 

La Capoeira è vissuta ora come un gioco, tant’è che non si dice ballare Capoeira o combattere Capoeira, bensì giocare Capoeira e questo gioco si concretizza nella cosiddetta Roda, che vede i partecipanti stringersi in un cerchio e suonare, cantare e mettere in atto le tecniche tipiche di quest’attività. 

Nel 2015, il CONI l’ha classificata come arte marziale. Come abbiamo visto, però, questa dicitura può risultare incompleta. Se da un lato, infatti, molti suoi movimenti ricordano altre arti marziali, dall’altro l’inserimento di elementi come la musica e il canto rendono la Capoeira un vero e proprio linguaggio artistico.

Quest’arte non è dunque soltanto l’elemento spettacolare proposto dai media. Anzi, le evoluzioni acrobatiche che vengono mostrate a esempio in alcune trasmissioni televisive rappresentano una piccola parte di un mondo più complesso. La Capoeira è inclusione, comunione e valorizzazione della differenza. 

Quando a parlare è la passione la capoeira

Cosa renda questo sport, questa arte, unico nel suo genere, ce lo racconta Velio Pazzagli, istruttore di Capoeira dal 2005.

Da quanto pratica la Capoeira e per quale motivo ha scelto proprio questa disciplina?

Ho cominciato nel 2000, all’età di 22 anni, presso la scuola romana Soluna, la più antica della capitale, attiva dal 1993. Sono diventato istruttore nel 2005 e ho cominciato con qualche affiancamento e sostituzione. Dal 2006 insegno autonomamente. 

La Capoeira non è solo il suo aspetto spettacolare e atletico. C’è anche la musica e la lingua: il portoghese. Non a caso la Capoeira è la maggiore fonte di diffusione di questa lingua nel Mondo. Attraverso le canzoni tipiche e gli incontri con istruttori brasiliani, ho imparato a parlare portoghese senza mai consultare un libro di grammatica e questa abilità mi è stata utile anche nel mio lavoro principale: l’anno scorso ho partecipato a una conferenza online con il Brasile e, essendo l’unico tra i miei colleghi a conoscere la lingua, ho tenuto anche un intervento.

La Capoeira dà la possibilità a ogni allievo di sviluppare più abilità. Ognuno poi avrà una propensione diversa: ci sarà chi è più portato per il canto e meno per il gioco e viceversa. La bravura dell’istruttore sta nell’individuare tale propensione e nel permetterne lo sviluppo, ma senza tralasciare le altre componenti. L’obiettivo è non escludere nessuno. Infatti alla base della Capoeira c’è la socializzazione: si creano gruppi forti e ci si frequenta anche al di fuori della palestra.

Cosa la entusiasma di più di quest’arte?

Ho sempre praticato arti marziali fin da piccolo e quando decisi di provare con la Capoeira erano diversi anni che praticavo Taekwondo. Avevo sentito parlare di questo sport, avevo visto anche qualche video e, essendo di natura molto curioso, stavo solo aspettando il momento giusto per fare una prova. Al tempo, la Capoeira era ancora un sport di nicchia e per un caso scoprii di avere una scuola vicino casa e decisi di sfruttare l’occasione. Avevo 22 anni ed ero in un periodo della vita in cui ci si forma. La cosa che più mi ha colpito fin da subito è stata la sua complessità, non intesa come difficoltà, ma come compresenza di più elementi: la musica, la lotta, la danza. Dal punto di vista atletico, avendo io già una preparazione, mi sono trovato sicuramente facilitato. Per di più, sono diventato istruttore relativamente presto, quindi l’aver potuto trasformare una passione in un secondo lavoro mi ha sicuramente incentivato a continuare.

Con il lockdown di questa primavera come vi siete comportati? Avete continuato ad allenarvi?

È stato difficile soprattutto l’impatto. Iniziare, orientarsi. Il 10 marzo abbiamo chiuso la palestra e abbiamo deciso di aspettare e vedere come si evolveva la situazione. Abbiamo dovuto agire giorno per giorno. Passate le prime due settimane e constatato che la situazione non si sarebbe risolta a breve, abbiamo predisposto delle classi online. 

Non nego che all’inizio le perplessità erano molte. Comunque, la resa online di uno sport come la Capoeira, incentrato sul momento della socialità, mi faceva temere in una risposta negativa da parte degli allievi. Invece ho trovato una forte adesione da parte di quasi tutta la mia classe. La routine di ritrovarsi due volte a settimana come in palestra ha sicuramente giovato.  

Utilizzavamo una piattaforma online nella quale invitavo gli allievi. L’orario della lezione era prestabilito, ma aprivo l’accesso alla stanza dieci minuti prima, per ricreare il momento di chiacchiera pre allenamento tipico della palestra. Anche alla fine della lezione ci si scambiava chiacchiere e pareri sull’allenamento. Ho cercato il più possibile di ricreare un ambiente caldo, mantenendo l’elemento della socialità. 

L’allenamento si focalizzava su alcune cose piuttosto che su altre, ovviamente. La musica è stata lasciata da parte e ci si è concentrati di più sulle tecniche individuali. Comunque il poter svolgere lo stesso lezione è stato importante per mantenere una continuità con le persone che mi seguivano. 

Ho anche fatto delle dirette su Facebook, più di rado, per fornire una sorta di sostegno a chi magari non aveva modo di fare lezione o semplicemente per poter condividere quel momento con chi voleva seguire. L’obiettivo di queste dirette era dare un messaggio positivo, di reazione alla situazione difficile che tutti stavamo vivendo. 

Con la riapertura delle palestre com’è cambiata la lezione?

Prima del Covid-19 la lezione prevedeva una decina di minuti iniziali dedicati alla musica: si suonava insieme passandosi gli strumenti. Seguiva poi un riscaldamento propedeutico alla parte tecnica, che si svolgeva sia individualmente che in coppia. Alla fine gli ultimi venti minuti della lezione erano dedicati alla Roda. A settembre, quando abbiamo riaperto, io ho avuto la fortuna di avere una sala abbastanza grande per poter garantire distanze adeguate. Abbiamo cominciato cercando di evitare contatti il più possibile, eliminando momenti come la Roda e cercando di simulare a distanza le tecniche in coppia. Con il DPCM del 18 ottobre poi abbiamo eliminato ogni tipo di contatto e abbiamo continuato con gli allenamenti individuali, ognuno nel proprio spazio segnalato. Al momento, l’elemento musicale è stato accantonato perché, comunque, per quanto si possano sanificare gli strumenti non è sicuro passarli di mano in mano.

L’unica cosa che possiamo fare adesso è vedere come la situazione andrà sviluppandosi e adattarci giorno per giorno alle varie direttive. 

Il 25 ottobre richiude le palestre

Con il DPCM firmato dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, sabato 24 ottobre, le palestre hanno chiuso i battenti e, ancora una volta, gli sport di contatto sono stati sospesi. Per il momento comunque le misure adottate sono meno stringenti di quanto non fossero lo scorso marzo. Resta il fatto però che a farne nuovamente le spese è in primis il bisogno delle persone di stare insieme, di incontrarsi e di condividere le proprie vite. E la Capoeira, che prima di quest’anno all’insegna del distanziamento era un momento di aggregazione molto forte, deve mettersi in pausa per la seconda volta. La classe di Velio Pazzagli e, più in generale, le arti marziali dovranno fermarsi e valutare passo dopo passo il da farsi.

Un futuro, questo prossimo, incerto e sicuramente pieno di ostacoli. Ma chi sa cosa significhi giocare e competere farà di tutto per non essere lasciato indietro e per poter tornare ad allenarsi con i compagni il prima possibile.

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