E’ il 22 febbraio 2014 quando il Governo Renzi giura fedeltà alla Repubblica, succedendo al dimissionario Letta. Niente di nuovo per il nostro Paese, che assiste per l’ennesima volta alla fine anticipata di una legislatura e all’inizio di un nuovo mandato (senza elezioni) carico di promesse e speranze. L’Italia è ad un bivio: iniziare un’intensa attività di riforme nel minor tempo possibile, oppure avviarsi verso una rapida e dolorosa recessione economica e sociale senza precedenti.Il presidente Napolitano sceglie la prima opzione ed individua nell’ex sindaco di Firenze l’uomo giusto al momento giusto, una sorta di chiave di volta per la politica italiana.
Matteo Renzi è ben consapevole delle grandi difficoltà che dovrà affrontare e delle insidie che possono serpeggiare in un parlamento; se poi si tratta del Parlamento italiano, l’impresa è ancora più ardua. “Non c’è più tempo, l’Italia e gli Italiani non possono più aspettare. E’ ora di cambiare rotta una volta per tutte” . E’ questo uno degli slogan preferiti dal neo Presidente del Consiglio, una specie di Yes, we can stile Obama, che però di americano ha ben poco. Tuttavia, l’immagine simpatica e apparentemente onesta di Matteo Renzi, con il suo Governo al femminile e la grinta che solo i Toscani sanno trasmettere, riescono a convincere gli Italiani, che assistono da spettatori all’inizio della scalata verso le riforme costituzionali.
L’appartenenza politica dei membri del Governo è una delle più svariate della nostra storia: Partito Democratico, Nuovo Centro Destra, Scelta Civica, Unione di Centro, Popolari per l’Italia, Partito Socialista Italiano e cinque deputati indipendenti con Berlusconi fuori dalla scena politica (ma costantemente presente dietro le quinte del nostro palcoscenico parlamentare). La nuova squadra governativa si presenta così come un melting pot di partiti, che ad oggi si è rivelato un’arma a doppio taglio. Renzi e i suoi fedelissimi hanno infatti dovuto fronteggiare la costante pressione del Movimento 5 Stelle e dell’opposizione che vede schierati, primi fra tutti, Forza Italia, Lega Nord e Sel.
Oggi più che mai il Governo deve fare i conti con l’ostruzionismo politico: ottomila emendamenti posti al disegno di legge per la riforma del Senato. Un po’ troppi per una riforma considerata urgente e che rischia di slittare a data da destinarsi. A chi l’ha definita come una riforma autoritaria, il Premier risponde sottolineando l’intenzione di superare il bicameralismo perfetto, di riequilibrare il rapporto Stato-Regioni e di semplificare il processo legislativo.
Da qualche giorno il Presidente del Consiglio dei Ministri aveva ripreso il dialogo con Vannino Chiti (ex ministro delle riforme costituzionali) il quale, insieme a numerosi dissidenti del PD e ad alcuni senatori di M5S e Sel, si è riunito nella sala della Commissione Affari Europei per persuaderle a fare un passo indietro sul numero degli emendamenti.
Nella giornata del 29 luglio il compromesso sembra apparentemente raggiunto: slittamento della votazione finale in Aula tra il 2 e il 10 settembre con possibilità di rivedere le norme sull’immunità e senza toccare l’elezione indiretta dei senatori a patto che i dissidenti PD e i grillino ritirino i loro emendamenti “blocca-tutto”. Le motivazioni di Renzi vengono espresse così: “C’è chi vuole bloccare tutto. E c’è chi vuole cambiare, iniziando da se stesso. Dalla vostra capacità di tenuta dipende molto il futuro dell’Italia”. Il Premier mira dunque a richiamare alle proprie responsabilità i senatori, aprendo su alcuni punti del ddl Boschi, in primis sulla questione delle preferenze della nuova legge elettorale (approvata alla Camera il 12 marzo). Ancora una volta però il tentativo di mediazione è fallito e il ministro Maria Elena Boschi ha ribadito la fermezza del Governo nel non voler cedere all’ostruzionismo.
Continuano così gli incontri tra Renzi e Berlusconi (per la conferma del patto del Nazareno) e il lancio di frecciatine con Grillo che ha recentemente dichiarato “guerra democratica” al leader di Palazzo Chigi.
Dialogo? No. Le forze politiche in gioco si sono rese protagoniste di veri e propri botta e risposta, di scambio di accuse e insulti reciproci, rendendo la politica italiana degna erede di quel trasformismo che la guidò sino al trionfo del regime fascista. Il Governo Renzi dovrebbe essere il governo della svolta, l’opportunità per riportare la credibilità del nostro Paese ad un livello dignitoso e per avviare un processo di riforme che invece si è trasformato in una vera e propria “maratona negoziale” incapace di superare i particolarismi interni e di tutelare i bisogni del Paese e degli Italiani.
Fallimento? No. Diamo ancora fiducia a Renzi e al suo Governo, che hanno messo un grande impegno nell’arduo tentativo di accantonare la politica vecchia, conservatrice e datata che dominava il nostro Parlamento. Ma le riforme non devono e non possono essere rinviate, perché “l’Italia e gli Italiani non possono più aspettare.”