La moda fa parte del nostro quotidiano, appartiene a tutti. Anche chi dice di non “seguire la moda” in realtà è all’interno di questo sistema, perché non si può sfuggire ad esso: vestire il proprio corpo è un’azione intrinseca all’umanità. La moda è anche frivolezza, ma non solo, è simbolo di una cultura, è luogo di rivendicazioni sociali, utilizzare il corpo vestito come mezzo per lottare, per ottenere dei diritti. Allo stesso tempo, il sistema moda come noi lo conosciamo è anche escludente: esclude corpi non conformi, è classista e molto poco democratica. La moda è un concetto affascinante, perché in sé stessa contiene tutto e l’opposto di tutto, è proprio questa dialettica tesi/antitesi che la rende viva e le permette di evolversi.

Per capire la natura della moda e la sua evoluzione le persone intervistate fanno parte di tre generazioni completamente diverse tra di loro: abbiamo una nonna, una mamma e una figlia, che si sono confrontate su vari aspetti: ricerca di un’identità, battaglie sociali e la moda nell’epoca contemporanea. L’intervista si propone di fornire una panoramica sociale e storica di come la moda sia percepita oggi e quali sono i cambiamenti più evidenti tra una generazione e l’altra.

Come si approccia ai vestiti? Che cosa cerca in essi?

N: Cerco vestibilità ed eleganza.

M: Comfort, vestibilità e prezzo.

F: Innanzitutto direi comodità, poi ovviamente bellezza. Metterei la comodità per prima, perché la bellezza deriva anche dal fatto che tu ti senti a tuo agio; quindi, con dei vestiti comodi io mi sento a mio agio e più bella.

È ovviamente cambiato il modo di vestirsi, mode diverse si sono susseguite, sono state riprese, cambiate e riproposte, ma ciò che una persona cerca nella moda, negli abiti è sempre la stessa cosa, cioè un’identità, o oggi c’è qualcosa in più rispetto al passato?

N: Forse ci sono più proposte di moda, più visibilità, più informazione. Ai miei tempi la moda era meno seguita, anche perché era meno pubblicizzato di adesso il vestirsi e le tendenze. Eravamo fuori dal mondo, adesso quello che succede oggi a New York già lo sappiamo. Seguivamo cosa potevamo vedere nei giornali di moda, come Amica., Grazia e con essi conoscevi le tendenze. Io vivevo in campagna, non avevo la percezione dell’evolversi della moda in tempo reale.

M: Tendenzialmente non c’è una standardizzazione, quindi ognuno cerca la propria personalità negli abiti, nel vestirsi, nell’approcciarsi al quotidiano.

F: Credo che sia uguale al passato, anche se probabilmente oggi l’identità è meno individuale. Essendo che abbiamo molti più mezzi per vedere cosa sta succedendo nella moda, che è entrata nella vita di tutti giorni, è più difficile esprimere sé stessi in quanto individui, ma più facile seguire i trend. Siamo più influenzabili, perché bombardati di immagini. La moda è meno individuale e più collettiva.

I vestiti sono stati simboli di conquiste, di libertà, di autodeterminazione. Lo sono ancora oggi?

N: Oggi non lo so, ai miei tempi sì era un modo di conquista. Ad esempio, nel ’68 io sono andata al liceo e il preside non voleva che le donne portassero i pantaloni, le ragazze dovevano portare la gonna. L’anno dopo è venuto un altro preside, che ha intuito il cambiamento che c’era e le ragazze cominciarono a portare le prime minigonne -noi siamo la generazione delle minigonne- e i primi pantaloni. Da lì c’è stata una nuova modo di capire la moda e le tendenze.

M: Assolutamente sì.

F: Sì sicuramente. In questo caso abbiamo meno libertà e autodeterminazione collettiva, ma individuale. Pensando ai valori di oggi, che secondo me sono molto più individualistici. La rivendicazione è più personale e meno sociale.

Per ricollegarmi alla domanda precedente, lei ha mai partecipato a manifestazioni femministe, per l’ambiente, per i diritti in generale?

N: Da giovane sì. Diciamo che era di moda, noi eravamo la generazione dei sessantottini che voleva cambiare il mondo, quindi manifestavamo contro la guerra, il potere.

M: Sì, nel periodo scolastico, del liceo e la maturità.

F: Mi è capitato qualche volta. Erano manifestazioni per l’ambiente e politica, come quelle antimafia.

Come sono percepiti i brand di lusso oggi? Sono ancora un appannaggio di pochi?

N: Al momento attuale credo proprio di sì. Negli anni ‘80 e ’90 con il prêt-à-porter forse era più accessibile, adesso è più difficoltoso comperare capi firmati.

M: Assolutamente sì. Non sono fruibili a tutti. Può capitare di acquistare un pezzo di un brand di lusso per togliersi uno sfizio, ma è particolarmente difficile accedere a certi tipi di vestiario e accessori.

F: No, abbiamo diversi livelli di lusso. Il lusso estremo sono i marchi che sono meno conosciuti come Loro Piana, Cucinelli. Quelli che sono conosciuti da tutti e a cui pensiamo come Gucci o Versace, secondo me, sono alla portata dei portafogli delle persone. Ognuno ha un oggetto -occhiali, profumi, anelli- che sono di questi marchi che consideriamo di lusso. Anche se non sono capi di abbigliamento, con queste linee il lusso è molto più abbordabile rispetto al passato.

La moda, teoricamente, è inclusione, esalta e accoglie la diversità, ma è sempre così? Ci sono dei casi in cui può essere considerata escludente?

N: Penso di sì, perché se si vuole seguire le grandi firme ci vuole una discreta situazione economica e non tutti possono seguire la moda, non tutti possono permettersi un capo di lusso.  Non mi sembra molto inclusiva.

M: Sì. Si parla di inclusività, body positive, ma ancora, come si può vedere nelle sfilate o nelle vetrine dei negozi, sono proposti degli stereotipi di fisicità o appartenenza ben specifici.

F: La moda è escludente. Quando penso alla moda mi viene in mente l’esclusione più che l’inclusione. Se si pensa alle sfilate, alle pubblicità sono più esclusive che inclusive. L’immagine della donna e dell’uomo che danno rispecchia una parte minima della società, così come i vestiti. Ovviamente dipende dal paese e della cultura dell’abbigliamento, ma in termini di taglie e stile dei vestiti la moda è escludente.

Ha mai assistito a un caso di discriminazione per come una persona era vestita?

N: No.

M: No, non credo.

F: Non ho mai assistito a un caso di discriminazione, parlerei più di presa in giro o giudizio, ma quel giudizio non ha portato all’esclusione.

Quali personaggi -televisivi, cinematografici, ma anche personalità al di fuori dello show business– hanno influenzato il suo modo di vestire?

N: Parlando della mia gioventù, seguivamo cosa mettevano le cantanti e le attrici.

M: Non sono influenzata da ciò che propone la moda o il mondo correlato ad essa. Ci sono dei pezzi iconici che appartengono all’immaginario collettivo e che una persona ha piacere di possedere, ma io ho un’identità personale.

F: Influencer come Giulia Torelli. Lei ha influenzato non tanto il mio modo di vestire, ma mi ha dato delle dritte per aprire i miei orizzonti e provare altre cose. Per come era il mio modo di vestire negli anni passati, ero più influenzata da persone che mi stavano attorno, anche adesso mi influenzano molto di più le persone che stanno accanto a me più che grandi nomi. Le celebrità mi aiutano a provare nuove cose e, se mi piacciono entrano nel mio armadio.

Oggi i nuovi rappresentanti della moda sono gli influencers, i tik toker, persone che lavorano con i social media. Crede che queste persone possano essere prese in esempio, oppure pensa che alcune di loro siano diseducative e dannose per il loro pubblico? Avresti un esempio, positivo o negativo?

N: Io seguo poco questi influencers. Per me non sono una cosa positiva, perché chi li segue vuole vestirsi allo stesso modo, avere lo stesso abito, lo stesso colore, avere lo stesso tipo di capelli. Per me seguire la moda significa vestirsi in modo originale.

M: Non conosco Tik Tok perché non appartiene alla mia fascia di età, lo conosco grazie a Instagram. Ci sono influencers su Instagram che danno messaggi positivi e inclusivi, io preferisco seguire queste persone, piuttosto chi non appartiene al mio modo di pensare. Non ho esempi specifici.

F: Dipende dalla persona che vede queste persone. Per alcune ragazze sono persone dannose, se non hai abbastanza autostima tendi a paragonarti a loro, anche se poi arrivi a comprendere di non essere come loro; quindi, prendi il loro stile e lo riadatti. Siamo in una via di mezzo, non è nessuno dei due estremi. Un esempio positivo è Giulia Torelli, un esempio negativo sono tutte le top model -Gigi Hadid, Kylie Jenner.

I suoi genitori quali valori le hanno trasmesso riguardo ai vestiti, al loro acquisto e utilizzo?

N: Ai nostri tempi un vestito era una cosa di lusso, potersi acquistare un vestito nuovo, in un certo modo, in un certo modello e tessuto era un lusso. Ma grazie alle sarte potevi avere un modello esclusivo, solo per te. Adesso è molto più uniforme, ci sono gruppi che seguono lo stesso modo di vestirsi, truccarsi e pettinarsi. Forse noi, con i nostri pochi capi eravamo diversi.

M: Sono di una generazione, fine anni ’70, che, nel mio caso, non ha avuto un’identità influenzata dalla famiglia. Il vestito serviva semplicemente a vestire. Nel tempo è maturata in me l’idea di un determinato pensiero di abbigliamento.

F: I miei genitori non sono stati un grande esempio. Loro hanno sempre avuto il loro guardaroba, uguale nel tempo. Con mia madre lo shopping era un passatempo, qualcosa da fare nel tempo libero, quindi da una parte un esempio positivo – stesso guardaroba nel tempo, dall’altro negativo.

Secondo lei esiste ancora il concetto di “avere un vestito per un’occasione”? Se la risposta è sì, ha un senso ancora oggi comprare vestiti in base all’occasione?

N: Ci sono delle occasioni in cui è necessario vestirsi in un certo modo -matrimonio, o una cena- non ci si può vestire come quando si va a fare spesa.

M: Fino a qualche anno fa sì. Avevo il cosiddetto vestito della domenica, acquistato per uscire. Da un po’ di anni a questa parte ho perso questa idea. Un vestito può essere acquistato anche per fare una passeggiata, non solo per una serata.

F: Sì, ogni vestito ha la sua occasione, ma non un’occasione specifica. Io sono stata abituata male e ho sempre comprato un vestito in base all’occasione e non il contrario. Una volta che si è creato un guardaroba ha senso riutilizzare ciò che si ha, perché le occasioni sono limitate.

Una tendenza che sta prendendo piede è quella del vintage. Crede che questi abiti abbiamo una fattura migliore di quelli attuali?

N: Se sono capi ben fatti, di sartoria, sono sicuramente migliori dei capi dei grandi magazzini. Bisognerebbe fare una distinzione, deve essere un capo ben fatto all’inizio.

M: Alcuni vestiti sì. Per il mio modo di pensare faccio fatica a indossare abiti che sono appartenuti ad altre persone, è un gap psicologico. Anche se mi rendo conto che ci sono dei pezzi fatti bene e che avrebbero diritto a una seconda chance.

F: Dipende dal vintage. Ci sono capi di abbigliamento che erano molto meglio in passato ed erano destinati a durare di più, infatti sono arrivati fino ad oggi. Altri invece, come le t-shirt, o altri capi più rovinabili, no, non hanno una buona qualità.

Con la pandemia è tornato di moda il DIY (do it by yourself, cioè il fai da te). Può essere un modo per tramandare delle tecniche che altrimenti andrebbero perse?

N: Questo sarebbe bellissimo. Mia madre mi aveva insegnato a cucire qualcosa, una gonna, una maglia ai ferri o all’uncinetto. Sarebbe bello riconquistarlo oggi.

M: Sì, indubbiamente. Si è recuperato, nella negatività dei valori anche a livello materiale. Anche se esula dal contesto, io ho iniziato a fare il pane, croissant, la stessa cosa può essere riferita al recupero di un abito, al cucire, al dare una nuova vita qualcosa che poteva essere buttata.

F: sì sicuramente. Io mi ricordo che mia nonna, quando ero bambina, mi aveva insegnato a fare l’uncinetto. Io ora ho dimenticato tutto, bisognerebbe mantenerle queste tradizioni, ma impararle è un primo passo.

Quanto l’utilizzo di internet, della tecnologia e dei social ha cambiato il mondo della moda nella sua percezione personale?

N: Non so dare una risposta precisa a questa domanda, seguo poco i social e il mondo della moda, sono rivolte ad un pubblico più giovane del mio quindi non so quanto la tecnologia possa influire sui giovani o il sistema moda.

M: Abbastanza. In una scala da 1 a 10, direi un 7.

F: Le immagini di moda sono più reperibili e siamo più bombardati da esse. Le vediamo così tanto nel quotidiano che ci siamo un po’ persi e le dimentichiamo più facilmente. Siamo tutti più esposti e quindi conosciamo tutti meglio questo mondo, i brand e i trend. Siamo più informati anche dal punto di vista di ciò che sta dietro al capo e questioni come la sostenibilità.

Tra le diverse generazioni si può notare un cambiamento dal punto di vista economico, che ha influito sull’approccio al modo di vestirsi, di scegliere gli abiti e dell’educazione al comprare. Sicuramente un dato molto importante è che la moda è considerata discriminante, sebbene radicata nella nostra quotidianità. Le aziende promuovo inclusione, diversità, attenzione ai temi sociali, ma all’atto pratico sembrano fallire. Questo fallimento è percepito anche a livello dei social media, dove non sempre chi li popola è considerato un buon esempio, ciò è da tenere in considerazione visto che i social sono il luogo dove la moda è approdata e qui si stabilirà negli anni a venire.

Infine, l’elemento più interessante sono le risposte che presentano un mix di eterogeneità e omogeneità. Le affermazioni delle intervistate sono lo specchio di questo sistema che è uguaglianza e opposizione nello stesso momento, tutto e l’opposto di tutto.

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