A parlare è Ahmadi: “Potevo essere io la ragazza che hanno ucciso. Mi hanno arrestata quando avevo 16 anni in Iran a causa del mio hijab. Sono 44 anni che la mia gente sta protestando per la libertà. Ogni volta viene picchiata, arrestata e uccisa. Ne abbiamo avuto abbastanza – dice tagliandosi una ciocca di capelli – non vi chiediamo i soldi né il cibo. Abbiamo solo bisogno di essere sentiti. Vi prego siate la nostra voce.” Conclude – infine – con il taglio simbolico dell’altra treccia.                                                                        Infatti, le mobilitazioni dei giovani iraniani che – ormai – vivono stabilmente in Italia proseguono.

Le maggiori proteste hanno avuto luogo nelle zone del centro. Le vie e, soprattutto, le piazze sono state animosamente vivificate da canti, slogan, cartelli e – persino – performance teatrali. Il dissenso comune si è schierato contro il regime degli ayatollah che con ignavia ferocia miete anche infanti.

Secondo la Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea sono state prese delle misure restrittive nei confronti dell’Iran quali:

RESTRIZIONI ALL’ESPORTAZIONE E ALL’IMPORTAZIONE                                     

 – RESTRIZIONI AL FINANZIAMENTO DI ALCUNE IMPRESE

– SETTORE DEI TRASPORTI

– RESTRIZIONI DI AMMISSIONE

– CONGELAMENTO DI FONDI E RISORSE ECONOMICHE

ALTRE MISURE RESTRITTIVE

DISPOSIZIONI GENERALI E FINALI

LA STORIA DI MAHSA AMINI

È il 13 settembre, Masha Amini viene arrestata dalla polizia iraniana perché non indossa il velo. Picchiata selvaggiamente e sottoposta a tortura viene portata in carcere dapprima e trasferita, in seguito, all’ospedale di Teheran. Muore dopo tre giorni di coma. Entra in gioco la logica del negazionismo da parte delle autorità iraniane.

COSA SUCCEDE IN IRAN

Nei paesi come l’Iran, una Repubblica islamica presidenziale teocratica dove l’autorità suprema è Ali Khamenei si vive in una condizione di repressione totale e chi offende la cosiddetta “morale” della Sharia è sottoposto a violenze di ogni genere perpetrate dalle autorità giudiziarie. In genere la discriminante per le donne è quella di non indossare il velo.                                                                                                                            Secondo Amnesty International: “Ai sensi dell’articolo 638 del codice penale islamico iraniano, qualsiasi atto ritenuto “offensivo” per la pubblica decenza è punito con la reclusione da dieci giorni a due mesi, o 74 frustate. Una nota esplicativa all’articolo afferma che le donne che vengono viste in pubblico senza il velo devono essere punite con una reclusione da dieci giorni a due mesi o multa in contanti. La legge si applica alle ragazze di nove anni, che è l’età minima di responsabilità penale per le ragazze in Iran. Di fatto, tuttavia, le autorità impongono il velo obbligatorio alle ragazze dall’età di sette anni, quando iniziano la scuola elementare. Queste disposizioni e prassi, integrate da decine di regolamenti e politiche aggiuntive, autorizzano la polizia e le forze paramilitari ad arrestare e imprigionare arbitrariamente decine di migliaia di donne ogni anno.”

LE PROTESTE A LIVELLO MONDIALE

Numerose mobilitazioni della società civile dilagano su tutto il territorio europeo ed extraeuropeo. Nelle giornate antecedenti circa 100 le piazze coinvolte. Questa è la terza settimana consecutiva: solo a Berlino la settimana scorsa c’erano circa 100.000 iraniani, di cui il 20 per cento tedeschi. Migliaia di cittadini italiani di origini iraniane, aventi diritto al voto, vivono nel gelido terrore che la situazione in Iran possa ritorcersi sulle loro famiglie. E che l’episodio di Mahsa veda protagonisti i loro cari che potrebbero finire nel sangue come carne da macello.


LA REPRESSIONE DEL REGIME TEOCRATICO

Sono state uccise circa 342 persone mentre erano intente a protestare. Migliaia i feriti, più di 14.000 gli arresti, tra cui alcune condanne a morte. La repressione del regime dell’Ayatollah contro i civili è feroce e si abbatte come una scure su uomini, donne, bambini (23 minori hanno già perso la vita). Esplosivi di metallo o da caccia, torture. Tutti coloro che vengono definiti nemici della Repubblica Islamica sono vittime di una sorte nefasta. Il negazionismo, l’insabbiamento, l’ostracismo dilaga imperantemente. Tutte le donne che si sono opposte al regime sono finite in carcere, con pene detentive oltre i 20 anni.                                                                                                                           Secondo un altro rapporto di Amnesty International: “Le donne iraniane sono regolarmente oggetto di molestie verbali e aggressioni fisiche da parte della polizia e delle forze paramilitari. Questo vuol dire essere prese di mira in quanto donne anche solo per brevi soste casuali per strada: ricevono minacce e insulti, viene ordinato loro di tirare in avanti il velo per nascondere i capelli, viene imposto l’uso di fazzolettini per pulirsi il trucco davanti agli agenti della polizia morale. Le donne vengono afferrate per le braccia, schiaffeggiate in faccia, colpite con pugni e manganelli e ammanettate e spinte violentemente contro furgoni della polizia. A milioni di donne è stato negato l’ingresso in spazi pubblici come aeroporti, campus universitari, centri ricreativi, ospedali e uffici governativi; inoltre, sono state espulse da scuole e università e licenziate per ragioni arbitrarie come i capelli che sporgono dal velo, il trucco che sembra “pesante” o i pantaloni, il velo e i soprabiti corti, attillati o colorati. Alcuni spazi pubblici e istituzioni governative sono andati oltre e hanno imposto un divieto assoluto all’ ingresso di donne che non indossano lo chador nero, un grosso pezzo di stoffa che si avvolge intorno al capo e che copre la parte superiore del corpo lasciando esposto solo il viso.”

RACHIDI RASHIDY: SCRITTORE IRANIANO, STUDIOSO DEI FENOMENI IMMIGRATORI E DELLA FORMAZIONE SOCIALE

Mi racconti della situazione immigratoria iraniana attuale:

L’Iran non punta all’esodo verso l’Europa, gli iraniani vogliono restare nella loro patria e cambiare la situazione del Paese, però se la se rivoluzione dovesse fallire milioni e milioni di cittadini opterebbero per una soluzione immigratoria. L’Europa esprime la sua solidarietà al meglio. Ormai siamo al terzo mese consecutivo di proteste: sono altissimi gli interessi in termini di vite umane.  Se parliamo di interessi economici, invece, il regime attuale non ha mai consentito la cooperazione. Piuttosto gli ostaggi sono sempre stati usati come armi di riscatto.

Perché secondo lei le donne sono costrette a indossare un indumento scomodo come fosse la gabbia di un cammello?

Perché le donne non sono considerate alla pari degli uomini, il regime usa la questione dell’obbedienza e del potere come arma di supremazia: la Repubblica Islamica ha intrecciato la questione dell’abbigliamento femminile alla sua esistenza. Durante la monarchia c’era molta più libertà individuale. Un simbolo di oppressione che rivendica il potere del regime teocratico islamico: il chador rappresenta – dunque- questo. Ma non è solo una questione di velo, le donne valgono meno di zero, percepiscono metà dell’eredità dei figli maschi, etc.                                                                                                      La società teocratica è l’unico modo di imporre uno stile di vita fatto di coercizione e forza. C’è un divario enorme tra teocrazia e società civile. La società civile è molto più sviluppata, ribelle indomabile del regime teocratico. Proprio la società civile ha assediato la società islamica che deve ricorrere alle armi, all’uso della violenza.

Ci sarà mai la parità di genere?

È un processo lungo, una rivoluzione culturale e sociale che avrà delle conseguenze politiche. Basti pensare allo slogan “Donna, vita, libertà”. Sono due mesi che gli uomini e le donne gridano nelle piazze: è un meccanismo di cambiamento culturale, l’inizio di un processo di destrutturazione del processo maschilista.

Cosa ne pensa della storia di Mahsa Amini?

Una giovane ragazza andata a trovare i genitori, percossa per un ciuffo di capelli fuori posto. La sua morte è diventata simbolica.

La costrizione implica una remissione della libertà personale. E se si ponesse fine alla Sharia e l’Iran tornasse a essere uno stato laico?

Potrebbe accadere. Questo implicherebbe la conquista delle libertà fondamentali. Se separiamo lo Stato dalla religione, probabilmente, a causa delle tradizioni secolari ci saranno sempre donne che vorranno portare il velo, ma la vera domanda è – voglio o non voglio portare il chador? Nella libertà di scelta risiedono i diritti fondamentali di uno Stato. Ossia, la libertà di portare il velo o libertà di non usufruire degli schemi dettati dal potere.

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