La mafia è sempre stato un grande problema per l’Italia.
Può essere definita come un’organizzazione criminale nata in Sicilia, suddivisa in più famiglie, dette anche cosche, che controllano diverse attività economiche illecite.
Le sue origini affondano nelle realtà agricole siciliane dell’800: i grandi feudatari siciliani affidavano la totalità o una parte dei propri terreni ai “gabellotti”, che gestivano i fondi agricoli esercitando la propria autorità, contando sull’intimidazione dei contadini.
Dopo L’Unità d’Italia lo stato appena nato faceva fatica ad estendere la sua autorità su un territorio lontano come quello della Sicilia.

È proprio in questo contesto che si sente per la prima volta il termine “mafia”, in un inchiesta parlamentare del 1876 sulle condizioni sociali e politiche del territorio siculo, sottolineando i metodi brutali con cui i mafiosi mantenevano potere e controllo sui territori.
L’avvento del fascismo sembra portare cambiamenti per quanto riguarda il controllo del territorio siciliano, ma con l’indebolimento del regime fascista sarà sempre più frequente l’infiltrazione nello stesso regime da parte di figure legate alla mafia.
Il vero boom però si avrà dalla fine della seconda guerra mondiale agli anni ‘80.
Con il boom economico degli anni ‘50 l’attività mafiosa si sposterà dalle campagne alle città e i grandi appalti pubblici saranno un’occasione di business per i mafiosi.
La città di Palermo infatti diventerà il simbolo della speculazione edilizia della mafia.
Proprio in questo periodo la mafia inizierà ad estendersi su tutto il territorio nazionale e estero.
Intorno agli anni ‘70 e ‘80 “cosa nostra” otterrà la quota maggioritaria nel narcotraffico mondiale che diventerà la principale attività dei mafiosi.

Come si può ben comprendere, la mafia si adatta ad ogni tipo di situazione e in ogni tempo.
A non cambiare invece sono i suoi metodi spietati e violenti, come l’omicidio e l’intimidazione.
All’inizio degli anni ‘60 inizierà la prima guerra tra clan rivali che susciterà clamore per il numero di vittime e per l’immensa violenza e brutalità.
In questa fase la reazione dello stato portò ad importanti processi antimafia che vedevano alla sbarra i capi di “cosa nostra”.
Questi processi si concluderanno però con condanne lievi rispetto ai crimini commessi.
Una seconda guerra tra clan scoppierà negli anni ‘80 e vedrà uscirne vincitore il clan dei Corleonesi.
Una volta al comando i Corleonesi avranno sin da subito uno chiara strategia: eliminare fisicamente i propri nemici.
Nel 1983 nascerà il primo “pool antimafia”, di cui faranno parte anche Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, per occuparsi delle indagini su “cosa nostra”.
Il lavoro dei magistrati palermitani, grazie alle testimonianze di Tommaso Buscetta, nemico dei Corleonesi ormai arrestato, aiuterà a far luce su molti aspetti dell’organizzazione mafiosa.
Nel 1986 si arriverà al “maxi processo” di Palermo : quasi 500 mafiosi saranno portati alla sbarra con conseguenti durissime condanne.
“Cosa nostra” reagirà al processo con nuove stragi: quella di Giovanni Falcone, nella famosa Strage di Capaci, e quella di Paolo Borsellino pochi anni dopo.

Con il tempo si sono individuate sempre più persone facenti parte delle famiglie mafiose, come Totò Riina e Bernardo Provenzano, due storici boss legati al clan dei Corleonesi.
Nonostante però l’abbandono della strategia stragista adottata all’inizio degli anni ‘90, “cosa nostra” è ancora un’organizzazione criminale viva in Italia e all’estero.
A dimostrazione di ciò occorre sottolineare che, nonostante i tanti progressi da parte della giustizia e dello stato italiano, in circolazione ci sono ancora molti boss mafiosi.
Tra quest’ultimi possiamo certamente ricordare Matteo Messina Denaro, arrestato pochi giorni fa dopo 30 anni di latitanza.
Ma chi era Messina Denaro?

Sicuramente uno dei boss più importanti di tutta la mafia, arrivato addirittura ad esercitare le sue attività illecite oltre la provincia di Trapani, dove era solito operare.
Nel 1989 venne denunciato per associazione mafiosa, inoltre, molteplici sono i reati da lui commessi.
Infatti occorre ricordare che Matteo Messina Denaro fu inviato a Roma per compiere appostamenti al presentatore Maurizio Costanzo, il quale attentato fu però fallimentare, e per uccidere Giovanni Falcone, successivamente però si cambio strategia pensando che l’attentato a Falcone dovesse essere svolto diversamente, infatti il giudice morì nella Strage di Capaci.
Nel 1993 fu responsabile dell’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, bambino squagliato nell’acido per convincere il padre Santino a ritrattare le sue rivelazioni sulla Strage di Capaci.
Nel corso degli anni e, dopo l’arresto di Riina, fu favorevole alla continuazione della strategia di attentati.
Insomma Messina Denaro è stato indiscutibilmente responsabile di molte delle stragi e degli omicidi di “cosa nostra” e, nonostante ciò, è riuscito comunque ad essere latitante per molto tempo.

Messina Denaro era ricercato dal 1993 ma la sua latitanza è terminata il 16 gennaio 2023 poiché è stato arrestato dai carabinieri del ROS in Via Domenico Lo Faso, un vicolo nei pressi della clinica privata “La Maddalena” a Palermo.
Subito dopo il suo arresto il latitante è stato traferito con un volo militare nel carcere dell’Aquila venendo sottoposto al regime carcerario previsto dell’articolo 41 bis.
La scelta di questo penitenziato è data dalla presenza nello stesso di un reparto di oncologia e alla vicinanza con Roma.
Messina Denaro è riuscito a sfuggire alla giustizia per circa 30 anni, grazie soprattutto ad Andrea Bonafede, geometra di 59 anni che gli ha prestato l’identità, anche quest’ultimo arrestato con l’accusa di associazione mafiosa.

Un arresto, il suo, che sicuramente ha suscitato molto clamore.
È stato arrestato uno dei più potenti “padrini” della mafia sicula, uno dei criminali più ricercati al mondo, che in fondo però è stato ritrovato proprio nella sua terra, la Sicilia.
La notizia ha certamente portato tutti coloro che sono venuti a conoscenza del fatto a porsi molte domande: perché non è stato trovato prima? Come è possibile che siamo passati 30 anni? Sono stati bravi coloro che hanno contribuito all’arresto o è stata la stessa mafia a consegnarlo? Si può parlare di vittoria o di sconfitta dopo tanti anni di latitanza?

Messina Denaro era si di Castelvetrano, ma era anche il pupillo di Totò Riina, e con lui, si chiude una pagina, quella del clan dei Corleonesi.
Sotto questo punto di vista si può considerare il suo arresto una vittoria, ma d’altra parte pensare che per arrivare a ciò ci siano voluti 30 anni lascia a desiderare: forse durante il suo periodo di latitanza non si è fatto abbastanza per cercarlo realmente.
Anche la latitanza di Bernardo Provenzano è durata molto, 43 anni, ma i tempi erano diversi, con le tecnologie e i mezzi che abbiamo oggi a disposizione 30 anni pesano di più.
Alla luce di ciò non si può stabilire con certezza se sia stata una vittoria o una sconfitta, ma una cosa è certa: dalla nascita della mafia ai giorni nostri l’arresto di Matteo Messina Denaro ha senza dubbio occupato una pagina importante nella storia di “cosa nostra”.

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