L’economia post-coronavirus, crisi e opportunità
Quella del nuovo coronavirus è una crisi senza precedenti, che sta mettendo a nudo le lacune del sistema capitalistico e del mondo globalizzato. Se nel 2008 era stata una crisi finanziaria a trasmettersi all’economia reale, adesso ci troviamo nella situazione diametralmente opposta.
Tutto questo sta passando per l’Italia, primo paese del mondo occidentale che si è reso protagonista di questa lotta e che gli altri paesi stanno prendendo come riferimento. Le ultime misure restrittive del premier Conte, che ormai lasciano aperte le sole attività strategiche per il funzionamento del paese, ci stanno avvicinando sempre più a quella che può essere definita un’economia di guerra.
Ora che la pandemia si sta diffondendo a livello globale si sono attivati i governi e le banche centrali, che si stanno muovendo più o meno nella stessa direzione utilizzando importanti strumenti di politica fiscale e monetaria per limitare i danni della crisi.
Gli effetti economici e sociali si trascineranno per anni, e sembra chiaro che non si potrà tornare al precedente status quo. L’alba dell’era post-coronavirus, dunque, potrebbe e dovrebbe essere un’occasione per abbandonare il capitalismo aggressivo che caratterizza la nostra epoca, in favore di un sistema economico innovativo, ma soprattutto orientato alla solidarietà sociale e alla protezione dell’ambiente.
La reazione dei governi
La crisi è in primis sanitaria ma anche economica, con i relativi rischi sociali che potrebbe generare nei prossimi anni, una volta usciti dal tunnel. E come sempre, quando il libero mercato non è in grado di far fronte ai problemi generati dall’interno (come nel 2008) o a quelli esogeni come il COVID-19, intervengono gli Stati.
Con il decreto “Cura Italia” il governo ha messo sul tavolo 25 miliardi nell’immediato, destinati per lo più a sanità e lavoro, attivando inoltre, per effetto leva, flussi finanziari fino a 350 miliardi. In particolare 3,5 per il Fondo emergenze nazionali della Protezione Civile, gli straordinari del personale sanitario e l’aumento delle terapie intensive, e 10 per una serie di misure che vanno dal Fondo di integrazione salariale alla Cassa integrazione in deroga. «Nessuno deve perdere il posto di lavoro», ha detto il Ministro Gualtieri.
Anche Francia e Spagna, con un meccanismo simile, hanno sbloccato centinaia di miliardi di investimenti. Più massiccio è l’intervento annunciato dalla Germania, prima economia d’Europa e forte di anni di surplus pubblico, che sfodera un bazooka da 550 miliardi per imprese e famiglie, una cifra senza precedenti che potrebbe addirittura aumentare in caso di necessità, dice il ministro delle Finanze Olaf Scholz.
Gli Stati Uniti invece, forti di una certa autonomia e velocità di reazione, annunciano un cocktail ultraespansivo di politica monetaria e fiscale per un valore di oltre 1000 miliardi di dollari, scrive il Wall Street Journal, con la Fed di Powell che taglia i tassi di interesse e lancia un nuovo Quantitative Easing, e il governo di Trump che intende spedire un assegno da 1000 dollari ad ogni americano in stile “helicopter money”, oltre che sostenere le imprese e rafforzare il debole sistema sanitario.
L’Unione Europea mostra in questi momenti di crisi, purtroppo, la sua scarsa coesione ed incisività. Tuttavia, dopo un primo momento di assenza, scende in campo sospendendo il Patto di Stabilità, una mossa importante che permette agli stati membri di impiegare tutte le risorse disponibili per affrontare lo shock negativo.
Inoltre, la Commissione Europea di Von der Leyen sta finalmente valutando l’impiego dei cosiddetti “coronabond”, obbligazioni comuni per tutta l’Eurozona da emettere tramite il Mes. Non sarebbero altro che Eurobond, questione su cui da anni vi è un’accesa discussione tra i paesi, in termini di spread e condivisione del rischio finanziario. Se la grandezza degli interventi fiscali europei varia in base alla disponibilità degli Stati membri, la politica monetaria è comune e la decide la Bce. Christine Lagarde ha annunciato il Pandemic Emergency Purchase Programme (PEPP), un nuovo Quantitative Easing da 750 miliardi che durerà almeno fino al prossimo anno.
Dunque, risposte straordinarie per una crisi straordinaria, che sta ridimensionando l’economia sia dal lato della domanda che dell’offerta e che, secondo gli analisti di Bloomberg, potrebbe avere un impatto negativo sul Pil mondiale di circa il 2% rispetto alle stime precedenti. Gli strumenti adottati sono analoghi a quelli del 2008, anche se le dinamiche sono diverse ed è difficile fare previsioni.
Innovazioni e opportunità per il futuro
Per quanto questa sia la più grande sfida dal Dopoguerra, la pandemia sta anche facendo emergere degli aspetti positivi, che potrebbero rivelarsi uno spunto da cui ripartire.
A partire dalle strutture multitasking convertite in ospedali fino alle università e le imprese, che hanno dimostrato una notevole flessibilità nell’adattarsi a questa situazione sfruttando gli strumenti che offre la digitalizzazione.
Lo smart learning e soprattutto lo smart working, per quanto sia importante anche l’aspetto sociale, offrono dei vantaggi in termini di efficienza e risparmio energetico. Secondo gli ultimi dati di Eurostat la media europea di home office, anche occasionale, è del 10% circa contro l’1% dell’Italia. Tuttavia la crisi sta alzando notevolmente questa percentuale e le imprese potrebbero mantenere quest’abitudine anche per il futuro.
Anche i massicci interventi statali sopracitati possono essere considerati uno spunto positivo per i prossimi anni, laddove il libero mercato non riesce a fornire valide soluzioni, tendendo ad aumentare le disuguaglianze sociali. Si pensi all’imminente nazionalizzazione di Alitalia, processo che è stato in qualche modo accelerato da questa crisi e che salverà migliaia di lavoratori. Anche la Francia, afferma il ministro dell’Economia Bruno Le Maire, è pronta ad adottare misure analoghe per le big companies già partecipate come AirFrance e Renault, ed altri paesi europei stanno seguendo la stessa linea. D’altronde il capitalismo di Stato su modello cinese, se pur con misure discutibili dal punto di vista democratico, si rivela il compromesso più efficace nel gestire questo tipo di crisi.
Un altro aspetto da considerare, probabilmente il più importante, sarà la composizione delle prossime manovre finanziarie, che dovranno necessariamente investire di più in sanità ed istruzione, due voci di spesa pubblica sottovalutate in Italia da troppi anni.
Una volta finita la crisi sanitaria si dovrà fare i conti con la ripresa economica, che dovrà passare per un nuovo approccio da parte dei governi e dei cittadini. Il rischio maggiore è che il mondo avrà fretta di accelerare la produzione senza preoccuparsi dell’aspetto ambientale, che rimane la sfida prioritaria. Sarebbe opportuno sfruttare questo periodo di stand-by globale per ripensare il sistema economico in una nuova ottica, facendo tesoro delle innovazioni a cui ci sta costringendo questa pandemia.
Direttore responsabile: Claudio Palazzi