LIBERTA’ E AUTODETERMINAZIONE CONTRO PATRIARCATO E VIOLENZA DI GENERE

Tutti i cambiamenti hanno avuto origine da un atto di ribellione e il corteo organizzato a Roma da Non Una Di Meno il 25 novembre,  ne è una prova tangibile. Un corteo mosso da una rabbia positiva, la voglia di cambiare un mondo che vacilla, di non arrendersi ai soprusi, alle consuetudini della società. Perché purtroppo  siamo ancora di fronte ad una società che affonda le sue radici nella cultura patriarcale. E allora quella voglia di ribellione emerge facendo sentire il proprio grido di dolore; attraverso una manifestazione che ha coinvolto collettivi,centri antiviolenza, case delle donne e tutti coloro che vogliono dire basta alla piaga del femminicidio. 

In Italia secondo i dati dell’Istat, quasi sette milioni di donne hanno subito una violenza sessuale. Ogni tre giorni una donna viene uccisa. La marcia su Roma ha unito generazioni  di donne e uomini, animate dallo stesso senso di repulsione verso le costrizioni. Quelle catene che non permettono di essere libere ed autodeterminarsi. La folla ha invaso le strade capitoline, ricordando che la repressione e il silenzio possono essere  infranti grazie alla coesione. Infatti Non Una Di Meno, movimento femminista nato in Argentina per contrastare la misoginia, sostiene che insieme si possa fare la differenza.  E così hanno fatto duecentoventimila persone, rivendicando all’unisono i loro diritti.

Palloncini rosa si libravano in aria, slogan urlati a gran voce irrompevano come un fulmine.  “Fasci appesi con il reggiseno” era il grido di un’attivista. “Il reggiseno è uno strumento sessuale, voglio essere libera di indossarlo o meno poiché ci viene imposto dalla società”  afferma, facendo un cenno alla sua t-shirt. Perché la società nutre uno stereotipo e  le donne sono vittime di una cultura patriarcale, difficile da debellare. Quando si arrendono al ruolo di casalinghe e mogli amorevoli perché  questo è l’ideale che viene inculcato alle bambine , quando vengono stigmatizzate, quando subiscono una violenza. Ma la violenza non è solo fisica. Può essere subdola come la violenza psicologica che annienta l’individuo. “Subii una violenza sessuale” racconta una manifestante. L’odore di quella persona  lo sento ancora addosso. Non lo denunciai perché quando accadde non era un reato. Mi vergognavo poiché  le donne stuprate venivano ripudiate. Eravamo educate al silenzio.”  Ed ecco allora che si scende in piazza per rappresentare e  rivendicare i diritti di chi ha pagato a caro prezzo la possessione perpetrata dall’ego maschile.  

Ogni donna dovrebbe appartenere solo a se stessa. Ma quando il corpo viene violato e non basta dire “io sono mia” per fermare un sopruso, quello che si può fare è non soffrire in silenzio.  Dal dolore può avere origine una grande forza. Questo è il messaggio che si potrebbe lanciare a chi continua a negare l’esistenza del maschilismo. Lo scopo è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica: il vero femminismo è rivoluzionario, deve sovvertite l’equilibrio preesistente, i canoni della società errati. Esso diventa una lotta politica e il sesso femminile non è più vittima di un sistema sbagliato, non è in balia di istituzioni che non sanno  tutelare i suoi diritti ma è rappresentativo di guerriere capaci di far valere le proprie posizioni. Per arrivare ai vertici non sarà più necessario assoggettarsi al potere ed a un modello maschile, cedere ai compromessi.

Le donne  si trasformano in personaggi scomodi, “nelle pronipoti delle streghe che non sono state bruciate sul rogo.”  Non basterà associare il femminismo a dei banali cliché come  quello di essere lesbica o misandrica  (ossia odiare gli uomini) poiché in principio si rivendica la libertà di scegliere autonomamente, di fare ciò che si desidera :la diversità costituisce un patrimonio, non un limite. “Inseguo la mia felicità, vivendo la mia identità nella quotidianità. Mi autodetermino. Essere donna non significa solo avere una vagina.

La mia disforia di genere non è un problema, il mio corpo non mi mette a disagio. Mi piacerebbe avere un corpo femminile ma mentalmente sono già una donna” asserisce una transessuale. E ora la parola alla presidente di una nota associazione di Viareggio: “Le donne si stanno ribellando.La responsabilità dei partiti politici è grossa.Noi, che ci occupiamo di sostenere chi  ha subito una violenza, utilizziamo un metodo particolare:la metodologia d’accoglienza. Accompagniamo ogni donna nel suo percorso di consapevolezza. E’ lei che decide di uscire da una famiglia che lede la sua libertà, di abbandonare un marito che la vessa. Ci sono tanti centri antiviolenza, il nostro costituisce una rete nazionale. Le operatrici sono delle volontarie e noi chiediamo un finanziamento.  La violenza è un fenomeno strutturale , trasversale  e non emergenziale. I femminicidi  non dipendono da un raptus ma dall’ idea patriarcale di possesso: il fatto che le donne siano un oggetto e ti appartengano.

Devono cambiare i meccanismi della società. La società deve essere al passo con la consapevolezza. I centri antiviolenza, con la nostra associazione, fanno parte di Non Una Di Meno, che ha voluto la manifestazione. Siamo tutti a lavoro con incontri mensili, si è instaurato un dialogo molto forte. Bisogna iniziare dall’educazione, bisogna tutelare la soggettività e la libertà. Le donne stuprate sono in un processo di riconquista della libertà. Noi siamo qui in sostituzione di tutte quelle che hanno subito una violenza o non ci sono più. Non ci arrendiamo, non siamo complici del patriarcato. La libertà non è consumismo. Non dobbiamo avere paura ma fare in modo che le nostre strade siano sicure. E soprattutto non dobbiamo essere divise:se una donna non è consapevole, la maternità diventa un surrogato. Non ci si deve adeguare ai ruoli poiché si fa confusione tra  differenza sessuale e  ruoli di genere.”                                         

Le disuguaglianze sono ancora tante e la cultura in Italia deve progredire, al contrario dei paesi nordici, dove c’è una minore disparità di genere. L’evoluzione dovrebbe  partire  proprio dall’educazione. Un’educazione che  incentiva il rispetto , quel rispetto che manca nel mondo odierno e soprattutto nella cultura musulmana perché le donne vengono schiavizzate e costrette a indossare il chador o il burqa. Tuttavia  il cambiamento è in atto, un cambiamento a cui ognuna di noi può contribuire. Non subire passivamente è solo l’inizio di una grande rivoluzione.

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