A poco più di quattro mesi dalla cosiddetta libertà riconquistata, le nuove disposizioni sembrano portare verso una meta che solamente pochi mesi fa abbiamo sperimentato per la prima (e speravamo ultima) volta nella vita. Si è parlato a lungo dei disastrosi effetti economici che tale situazione ha provocato, così come della corsa dei governi al fine di rimediare per quanto possibile. La situazione esasperante in cui viviamo pone al centro dell’attenzione del cittadino la preoccupazione economica. Tuttavia, ce n’è un’altra, meno visibile, più silenziosa, ma non per questo meno importante: cosa ha provocato e cosa comporterebbe, a livello psicologico, un secondo lockdown? L’uomo è un animale sociale Direttore responsabile: Claudio Palazzi
Molti secoli addietro, Aristotele ci spiegava come l’uomo sia, un animale sociale e come in questo senso la comunicazione e lo scambio con l’altro sia di fondamentale importanza, poiché la socialità permette all’individuo di conoscere e soprattutto far conoscenza di se stesso attraverso le esperienze con gli altri. L’altro rappresenta dunque, per lo sviluppo dell’ identità umana, una conditio sine qua non. In quest’ottica le conoscenze e le abilità sociali rendono possibile il continuo cambiamento personale e sociale dell’individuo.

Antropologicamente, la situazione vissuta ha rappresentato un imperativo inaudito per milioni di persone: tutti abbiamo dovuto trovare delle vie alternative per reiventare stili di vita ed abitudini consolidati, il cui nuovo comun denominatore è stato l’isolamento. L’intento è stato quindi quello di cercare di costruire una nuova quotidianità. Attraverso ciò abbiamo illusoriamente creato la sensazione di avere tutto sotto controllo e questo ci ha permesso di  poter abbassare il livello di ansia e stress. Nelle situazioni di emergenza l’individuo sviluppa quindi quelle che vengono definite narrative del controllo, che consistono nel raccontare a se stessi che paura ed ansia possono essere tenute sotto controllo.

Durante il primo periodo di isolamento forzato, i social ci hanno mostrato non solamente il lato divertente delle cose, quello che tutti siamo soliti visualizzare, condividere ed apprezzare; al contrario, hanno fatto emergere anche i cosiddetti post, riflessioni e richieste di aiuto provenienti da persone che manifestavano un disagio; non economico, bensì molto più profondo, patologico. Dagli studi emerge che il lockdown ha provocato un aumento dei disagi psicologici, dei sintomi ansiosi e depressivi, dei disturbi del sonno, dei conflitti relazionali e anche problemi alimentari. Sì, perché come tante volte abbiamo letto, la quarantena non è uguale per tutti: se per un adolescente essa può significare noia e mancanza dei propri amici, per un padre di famiglia essa è preoccupazione economica, mentre per gli immigrati, le cui attività lavorative spesso  ricadono nel settore dei ‘servizi’, essa è sinonimo di come sbarcare il lunario.

In un’intervista rilasciata pochi mesi fa, il filosofo coreano Byung-Chul Han ci spiega come oggigiorno l’ipercomunicazione, conseguenza della digitalizzazione, ci permetta di essere sempre più interconnessi, senza però che questo significhi vicinanza, nel senso pieno del termine. Pertanto, siamo sempre più connessi, ma sempre meno felici. In una società sempre meno comunitaria e sempre più incentrata sulla celebrazione dell’ io, la pandemia non ha fatto altro che esasperare sintomi di disagio latenti, quali solitudine ed isolamento. I coreani definiscono corona blues la depressione conseguente alla pandemia.

D’altra parte, la pandemia ha portato anche all’attivazione di sentimenti quali coraggio, altruismo e supporto sociale, così necessari nella situazione contingente. Una riscoperta, in qualche maniera, di valori autentici che sempre più spesso sembrano sopiti.  È ciò che in psicologia viene chiamato crescita post-traumatica ed indica il processo di trasformazione e maturazione in seguito ad un’esperienza inaudita. Qualunque sia il futuro, ci si augura di riuscire a ritrovare il senso di comunità, così vitale per il processo evolutivo umano e senza il quale si rischia di scadere in forme e manifestazioni egoistiche dell’io che nulla hanno a che fare con la natura sociale dell’individuo.

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