Al contrario di ciò che crede la maggior parte delle persone, il nostro pianeta non ha risorse illimitate e non è un sistema autorigenerante. I danni che gli uomini causano all’ambiente vengono spesso sottovalutati, ma il nostro pianeta è un enorme ecosistema, per cui se una persona che non svolge la raccolta differenziata pensa che un sacco di rifiuti misti in più non danneggerà la Terra, o un’azienda che vuole limitare i costi e risparmia sul sostenibile è mossa da un desiderio di vantaggi economici a dispetto della tutela dell’ambiente, in realtà si stanno creando danni, che siano di piccola o grande entità. Il nostro pianeta è un enorme ecosistema Direttore responsabile: Claudio Palazzi 
Andando ad osservare il problema ambientale a livello nazionale è necessario sottolineare come gli sfruttamenti delle risorse, nella maggior parte dei casi mirando ad un maggiore guadagno economico, anche se circoscritti ad una data area, rappresentino in realtà un problema di dimensioni globali. Stiamo trattando di un sistema in cui ogni cosa è collegata alle altre, così come ogni azione provoca una reazione e la Terra non ha una superficie infinita. Ogni tipo di sfruttamento dell’ambiente genera una forma di inquinamento che agisce sullo stato di salute, sul ritmo di crescita ed interferisce con le catene alimentari, tutti fattori che sommati alla distruzione degli habitat naturali da parte dell’uomo, ad esempio la deforestazione, vanno ad intaccare gravemente l’integrità della biosfera.

Un fenomeno particolarmente noto – la deforestazione in Brasile

A proposito di risorse limitate che il nostro pianeta può offrire un esempio eclatante è la deforestazione di cui si è parlato abbondantemente in relazione all’Amazonia brasiliana, dove si raggiungono nuovi record ogni anno. Secondo il National Institute For Space Research (INPE) a gennaio 2020 sono stati eliminati più di 280 km2 di area boschiva, con un aumento rispetto agli anni precedenti del 108%. Tali dati risultano accessibili mediante un sistema che usa i satelliti Terra ed Acqua della NASA, il DETER, che permette di monitorare la deforestazione amazzonica in tempo reale. Il forte aumento di sfruttamento dell’area forestale coincide con il primo anno in carica del presidente Bolsonaro, che ha insistito sull’allentamento delle restrizioni per lo sfruttamento dell’Amazzonia e con il “casuale” licenziamento di Ricardo Galvao, presidente dell’INPE e tra i dieci scienziati più importanti del 2019 secondo la rivista britannica Nature, con la motivazione di aver ingrandito l’entità del problema di deforestazione.

La volontà di sfruttare le risorse della foresta amazzonica da parte di Bolsonaro è stata particolarmente eclatante nell’estate 2019, quando il governo ha cercato di ridurre al minimo il controllo degli incendi boschivi verificatosi nell’area forestale.

Ma da cosa nasce la spinta allo sfruttamento delle risorse ambientali di quello specifico territorio?

Premessa fondamentale per affrontare il discorso è che l’Amazzonia brasiliana ospita molteplici comunità native a cui sono state assegnate delle zone protette che ospitano un’enorme quantità di risorse minerarie. A febbraio 2020 il presidente in carica ha presentato un particolare disegno di legge che consente l’attività di estrazione nelle suddette aree, proposta già avanzata durante la campagna elettorale del 2018. La lotta contro le comunità native è stata fondamentale nella propaganda di Bolsonaro che ha colpevolizzato queste popolazioni di occupare troppa terra, quindi una critica ai confini delle zone protette, che rappresentano circa l’8% della nazione, ostacolando di conseguenza lo sviluppo economico del paese. La proposta del governo brasiliano includi disposizioni di consultazione delle comunità indigene e richiede l’approvazione da parte del congresso per qualsiasi attività di estrazione.

Tale tentativo di dialogo con le popolazioni native potrebbe rappresentare un piccolo esempio di apertura, se solo questo non fosse limitato dal fatto che, una volta ottenuto il permesso da parte del congresso, le comunità perdono ogni diritto di voto. In ogni caso la politica ambientale di Bolsonaro rappresenta una minaccia a livello globale poiché l’Amazzonia è il principale polmone verde della Terra ed è una delle aree del pianeta con maggiore biodiversità.

Le problematiche della politica ambientale del presidente brasiliano non derivano solo dalla deforestazione, che già da se rappresenterebbe un enorme problema, ma anche dall’ipotesi sull’uscita del Brasile dagli accordi sul clima di Parigi. Questa è stata ritirata ma è da tenere in considerazione che il capo dello staff di Bolsonaro, Lorenzoni, è un negazionista che ritiene inutile ed inaffidabile lo studio del clima, problema notevole visto l’impatto che ha l’Amazzonia sull’assetto climatico globale.

Nel nostro territorio – Ecomafia

Per trovare un esempio di grave sfruttamento delle risorse ambientali non è necessario rivolgere lo sguardo ad altre nazioni, basta osservare il nostro territorio. Ecomafia è un neologismo coniato da Legambiente che indica i settori della criminalità organizzata che si occupano di smaltimento illegale dei rifiuti, abusivismo edilizio e attività di escavazione. Nel 1994 nasce un progetto di osservazione di questi fenomeni da parte di Legambiente in collaborazione con le forse dell’ordine per attività di ricerca, analisi e denuncia. Un’altra svolta notevole si verifica con l’introduzione della legge 68/2015 sugli Ecoreati entrata in vigore a maggio 2015.

Dai dati di Legambiente riguardo il 2016 si deduce come, ad un anno dalla sua approvazione, la legge sugli ecoreati ha permesso di sanzionarne 574, con la denuncia di 971 persone e 43 aziende. Negli ultimi anni lo sfruttamento delle risorse ambientali del paese ha subito un forte incremento che ha generato un giro di affari del valore 16.6 miliardi di euro all’ecomafia solo nel 2018, anno con un forte aumento degli illeciti legati al ciclo illegale di smaltimento rifiuti e al cemento selvaggio ed un aumento dei casi di Disastro Ambientale previsti dalla legge sugli ecoreati. Analizzando più approfonditamente i dati, in riferimento al report di Legambiente su Ecomafia 2019, si evince che la Campania è la regione con il maggior numero di crimini contro l’ambiente, mentre a livello provinciale dominano la scena Napoli, Roma e Bari.

È interessante notare come questi reati rappresentino tutt’altro che una priorità per la classe dirigente, che in materia di sicurezza spinge sul tema dei migranti, ormai riconosciuto dall’opinione pubblica e sfruttato come strumento di propaganda.

I danni reali dei crimini contro l’ambiente derivano dal rapporto conflittuale che questo ha con l’uomo, dovuto, molto probabilmente, al modo di funzionare del tecnosistema umano, in particolare di quello economico. Innanzitutto per tecnosistema si intende un sottoinsieme dell’ecosistema che lo sfrutta per risorse in entrata (come le materie prime) e al quale rende sostanze in uscita (tra cui i rifiuti). La particolarità che distorce l’entità di questa componente minore, a discapito dell’insieme di appartenenza, è quella di plasmare l’ambiente esterno per trarne vantaggio, caratteristica che porta le società industrializzate a vedere la natura come un qualcosa da dover gestire invece di un’entità a cui doversi adattare.

Un altro aspetto che si inserisce in questa alterazione tra ecosistema e tecnosistema è la differenza di tempistiche: il sistema economico mira a soluzioni che abbiano rendimenti a breve scadenza con maggiore produttività, mentre il geosistema necessita di tempi decisamente più lunghi. L’insieme di questi due fattori comporta squilibri ambientali di diverso grado ed una delle possibili manifestazioni è rappresentata dagli inquinamenti. Questa analisi conferma l’ipotesi di partenza riguardante la ciclicità e il legame tra i fenomeni che si verificano sulla superficie terrestre, secondo cui ogni sfruttamento delle risorse ambientali produce inevitabili conseguenze.

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