Sono cresciuta a Roma, in una zona di cui ho dovuto cercare il nome su internet. È definita come “Casal de’
Pazzi” e di fatto non è un quartiere nel senso proprio del termine, più un agglomerato di palazzi. Ho chiesto a chi vive qui da più anni di me come fosse il quartiere anni fa, quali fossero i grandi cambiamenti. La risposta che ho ricevuto è stata “non è cambiato niente”.

Casal de’ Pazzi è nato sul finire degli anni ’70, dalla matita di un progettista che ha realizzato un centro residenziale, là dove c’era uno spazio vuoto destinato dal piano Regolatore a piano di zona 167. Quest’ultimo è un piano di edilizia residenziale che poteva essere costruita su terreni espropriati a prezzi non speculativi e, che con la realizzazione del progetto, dotava l’area dei servizi primari e uffici pubblici e privati.

A giudicare dall’estetica degli edifici che contraddistinguono la zona, l’architetto ha voluto realizzare
un’area ad alta densità abitativa, distribuita su palazzi alti 6,7, a volte anche 9 piani. Gli spazi verdi presenti esaltano ancora di più la macro dimensione dei palazzi, che non si vogliono confrontare con quella
umana. Le piazze come Piazzale Hegel, largo Bacone, sono in realtà mega parcheggi, per offrire ricovero alla quantità di automobili di proprietà dei residenti e non certo per dare la possibilità di giocare a pallone. Il paesaggio quindi è segnato dallo skyline degli edifici che non permettono di vedere l’orizzonte e dalle sagome delle automobili ad altezza d’uomo.

“Lo skyline degli edifici che non permettono di vedere l’orizzonte”

Non stiamo parlando di un quartiere storico come quelli che lo contornano; Casal de’ Pazzi confina a Nord
con Montesacro Alto, a Est con San Basilio, a Sud con Ponte Mammolo-Tiburtina. Con un po’ di invidia penso che alcuni di questi quartieri negli anni hanno cambiato volto, loro non possono dire che “non è cambiato niente”.
Per tutta la mia infanzia ho vissuto tra questi quattro incroci, tutte vie con nomi di filosofi: Viale
Marx per lo shopping, Piazzale Hegel per la scuola elementare e media, viale Kant, Viale Rousseau.

“Le piazze sono in realtà mega parcheggi”

I servizi fondamentali non mancano, ci sono edifici scolastici e il Parco di Aguzzano. Abbiamo diverse strutture sportive e la possibilità di fare nuoto, basket anche a livelli agonistici. È storica la gestione del tedoforo Carlo Sacchi del centro sportivo di Viale Kant. I principali luoghi di “aggregazione” sono la Chiesa “Maddalena de’ Pazzi” e  le attività commerciali “storiche”. Sono un esempio il panificio, l’edicola, la pizzeria al taglio e il bar di Viale Marx. Sono gestite da persone con le quali ho scambiato due chiacchiere, dalle quali ho ricevuto una gentilezza, spazi che ho utilizzato per festeggiare un compleanno.

Di veramente storico c’è giusto quel Casal de’ Pazzi, che noi chiamiamo “il Castello sulla Nomentana”,
più un riferimento geografico che altro. Infatti è impossibile da visitare, è ancora abitato da privati. La villa Farinacci,  di un gerarca fascista, è stata ultimamente riaperta dal Comune dopo tanti anni di utilizzo da parte di un Ristorante e poi chiusa per un lungo periodo dopo l’esproprio.
C’è una biblioteca pubblica molto piacevole da visitare e utilizzare la “Giovenale”, all’interno del Parco di
Aguzzano.

La comunità delle persone che vivono qui, essenzialmente ci dormono, non ci sono attività lavorative. O
meglio prima della pandemia c’era una grande struttura di Formez. Questa dava lavoro agli impiegati e creava anche un indotto per i bar-tavola calda che offrivano ristoro ai dipendenti. Ma con il lockdown prima e lo smart-working poi, l’azienda si è trasferita altrove e alcune attività commerciali connesse hanno chiuso.
La stessa cosa è successa alla Banca che ora si è ridotta al solo sportello bancomat.

I dintorni, offrono una certa varietà per la formazione superiore: dall’istituto tecnico al liceo classico o linguistico. Ci sono strutture anche con una tradizione come il liceo Orazio o il Nomentano. La sera però facendo un giro i bar si riempiono di vuoti di birra e, per i ragazzi che non hanno una occupazione,
l’unica attrattiva è uno di quei negozi di scommesse, attività che effettivamente non sembra mai in difficoltà.

Questa la storia degli ultimissimi anni; non ci sono stati grandi interventi da parte dell’Amministrazione, forse perché non sembrano nemmeno esserci grandi carenze da un punto di vista fisico. Questi quartieri periferici moderni esaltano però il senso di solitudine, di separazione dal centro, non sono centri aggregativi; da un punto di vista umano, sociale non hanno molto da offrire.

L’età media pare sia 47 anni, ma oltre i dati demografici, come forse in tutta Italia non si vedono molti giovani. Come una cellula può risentire in piccolo del disagio di tutto il resto del corpo e viceversa, l’onda lunga delle difficoltà che si verificano all’interno di una grande città come Roma quando anche non incidono profondamente, affiorano sullo sfondo dell’immagine ma non se ne può ignorare la presenza. Problemi come il traffico, l’inquinamento, il disagio sociale, l’immigrazione, la disoccupazione in qualche modo finiscono per toccare direttamente o
indirettamente anche la piccola cellula.

Uscendo dal quartiere, e allontanandosi da tutto quello che è possibile raggiungere a piedi (che non è molto) si pongono i primi problemi: l’uso del mezzo pubblico. Ci troviamo tra due grandi consolari, la Nomentana e la Tiburtina. Queste strade non sono nate certo per l’attraversamento da parte di migliaia di mezzi privati e ci si trova subito a fare i conti con il traffico e l’inquinamento che ne deriva.
Generazioni di studenti sono saliti sull’autobus per poi discenderne dopo aver fatto a piedi almeno la salita di Montesacro per riprendere lo stesso, quando questo si trovava sulla corsia preferenziale. Pensare di metterci meno di tre quarti d’ora per recarsi a scuola da queste distanze dal centro (circa 7 chilometri) è impensabile.

Cosa è stato fatto e cosa si può fare in merito? Sulla Tiburtina dal 2011 si stanno facendo i lavori per
l’ampliamento della strada, per renderla a due corsie per senso di transito. Finora i disagi sono stati tanti e i
tempi troppo lunghi ma sicuramente i benefici che ne derivano possono essere molteplici. Sulla Nomentana questo non sarebbe nemmeno pensabile per le difficoltà di espropriare le aree limitrofe alla strada, spesso vincolate.

Su internet leggo che non molto lontano dal quartiere ci sono delle fermate della metropolitana della linea B e B1: Rebibbia, Jonio, Conca d’oro. Mi viene da sorridere perché raggiungerle prevede sempre un tragitto sull’autobus che vanifica i vantaggi offerti dal “trasporto sotterraneo” rapido e frequente. Dei mezzi di superficie in questione, due linee che fanno capolino da viale Kant, se ne vede raramente il passaggio.

Tanto raramente che viale Marx, così tutta dritta, è una simpatica pista di atletica leggera per tutti coloro che, interpretato già l’arrivo di una vettura come un miracolo. non vogliono correre il rischio di rimanere a piedi. Di questo spettacolo sono testimoni gli anziani che si affacciano dagli spalti dei balconi da un lato e dall’altro della strada. Se perdi l’autobus gli stessi con un fare un po’ sconsolato in po’ canzonatorio ti dicono “Mo’ so’ altri trenta minuti”. Quando finalmente giungi alla fermata Jonio, capolinea. Puoi aspettare anche venti minuti prima di partire.

Per fortuna il verde nei dintorni è abbastanza, perché la sera passeggiare sulla Nomentana non è proprio
salutare. 
La fauna si è bizzarramente modificata, cosa che si sta verificando in tutta la città. Qui non ci sono i cinghiali, ma tra gli alberi la sera spunta una volpe e i parrocchetti. I pappagallini verdi e gialli, sono gli improbabili abitanti del verde dei dintorni che ti svegliano la mattina anche di domenica.

I servizi sociali che vanno a tamponare le difficoltà delle persone, sono diminuiti. La burocrazia delle
amministrazioni blocca qualunque tipo di intervento, lo rende tardivo o poco efficace. La gestione di
trasporti, nettezza urbana, centri di accoglienza quando si è cercato di fare “pulizia” di gestioni poco
trasparenti, ha sostituito al poco il niente. Se si è davanti alla legge meglio il niente che poco, al
cittadino resta magra consolazione. Come è possibile che in anni davvero i residenti possano affermare “non è cambiato niente”? Soprattutto come si fa a non pensare a tutto questo? Si corre tutto il giorno per
chiudersi prima possibile dietro la porta dei nostri appartamenti.

In una città grande non è facile partecipare, cambiare qualcosa. A volte però quando ci si ferma a pensare, a raccontare, a scattare una foto, sullo sfondo quella tristezza salta all’occhio. Quel qualcosa di strano che disturba lo sguardo e la mente pensandoci bene è che “non è cambiato niente”.

Viale Marx

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