Dal terrapiattismo alle teorie “no vax”, dalle autodiagnosi tramite Google ai gruppi anarchici segreti su Telegram: in un’epoca in cui il pluralismo dell’informazione viene spesso confuso con la possibilità di affermare la propria idea senza alcuna solida base conoscitiva, didattica ed istruzione appaiono come gli unici strumenti a cui ci si può affidare per non cadere preda di fake news e teorie complottistiche.

Pluralismo informativo e mala-informazione
Dai primi anni 2000 sino ad oggi, il pluralismo delle fonti informative è stato eretto a principio cardine delle democrazie occidentali.                                                                  Se per anni ne sono stati evidenziati solo i benefici ed i lati positivi, ecco oggi riemergere prepotentemente tutte quelle fragilità strutturali che per decenni sono state minimizzate ed ignorate.

La recente pandemia da Covid-19 non ha fatto altro che evidenziare quanto la nostra consapevolezza possa vacillare di fronte ad un mare continuo e contraddittorio di informazioni.                                                                                                              Se negli ultimi tempi sono le teorie “no vax” ad attirare l’attenzione per la loro apocalittica e complottistica infondatezza, quelli delle “fake news” e dei “deep fake” sono in realtà problemi passati inosservati per anni, fino a scoppiare come all’improvviso con un impeto spaventoso.

Venuta meno l’universalità dei tradizionali mezzi d’informazione come televisione e radio, internet sembra essere da molti il luogo preferito in cui aggiornarsi su ciò che accade nel mondo: apparentemente libero e non discriminatorio, è in realtà la culla in cui proliferano disinformazione e ignoranza.

La possibilità ormai universale di poter creare e condividere sul web contenuti di ogni genere, si scontra oggi con la necessità di assicurare un’informazione veritiera, fondata ed integra da ogni pregiudizio.                                                                                      Quando però i mezzi e le fonti di informazioni aumentano, si evolvono e si diffondono senza una precisa regolazione, capita spesso che il confine tra semplice opinione e fake news si faccia più labile che mai.

In poco tempo, teorie complottistiche e false convinzioni si radicano e si diffondono nella coscienza di un numero sempre più crescenti di individui: l’informazione ufficiale perde il suo tradizionale impatto di fronte a dichiarazioni fallaci e opinioni discutibili quali quelle di pseudo-personaggi famosi, “divulgatori digitali” dell’ultima ora, agitatori di piazze.

Così progressivamente all’informazione ufficiale si preferisce quella dei canali criptati di Telegram o di Youtube, alle opinioni di medici e professionisti quelle di Google e dei social networks, alla storia tradizionale la trama complottistica.                                                  Il rischio è che pian piano non ci si riesca più ad orientare di fronte al mare d’informazioni da cui ogni giorno siamo sommersi: leggere e, nel peggiore dei casi, credere a qualcosa di errato o falso è una dinamica ormai all’ordine del giorno.

Didattica ed istruzione: le vie per la consapevolezza
Di fronte alle innumerevoli e spesso dubbiose informazioni da cui siamo bombardati ogni giorno, la didattica e l’istruzione appaiono come strumenti fondamentali per sapersi orientare senza perdere mai la bussola: rafforzare la capacità di sviluppare un pensiero critico e fondato sembra essere l’unico modo per contrastare una disinformazione ormai relativa a gran parte degli aspetti più sensibili della nostra società.

Possedere delle solide basi conoscitive si pone ormai come un presupposto essenziale per potersi affacciare consapevolmente alle diverse fonti d’informazione senza esserne travolto. Ciò non significa solo saper valutare il contenuto delle informazioni a noi pervenute, ma verificare anche l’attendibilità della fonte, distinguere opinioni più o meno autorevoli da verità affermate e sperimentate, non lasciarsi influenzare da “trend” o da credenze di massa.

Didattica ed istruzione sono elementi fondamentali per la strutturazione e maturazione della coscienza individuale.                                                                                          Un tempo si riteneva che il campo della didattica fosse limitato esclusivamente all’ambito scolastico: oggi invece, data la complessità del mondo in cui viviamo, ogni ambiente necessita di un’azione formativa, finalizzata al controllo dei cambiamenti e delle trasformazioni.                                                                                                            La nostra società si basa sull’apprendimento continuo, e necessita di azioni didattiche continue.

L’evoluzione della didattica nel corso degli anni
Con il passare degli anni, didattica ed istruzione sono andate via via evolvendosi a seconda di necessità e priorità, dell’oggetto e del soggetto a cui si riferiscono.
Una volta assodata l’importanza rivestita dalla formazione e dall’insegnamento rispetto ad una realtà in continua evoluzione, è bene sottolineare come si siano sviluppati progressivamente nuovi e più efficaci metodi, così come teorie e strategie d’istruzione volte a soddisfare le diverse esigenze a cui fanno capo.

In generale, lo scopo delle teorie didattiche è quello di migliorare da una parte, l’efficacia e l’efficienza dell’insegnamento del docente; dall’altra, migliorare l’efficacia e soprattutto l’efficienza dell’apprendimento dell’allievo.
La didattica usufruisce di diverse strategie in cui però troviamo sempre due costanti: il ruolo del docente; sostegni quali tutor e più recentemente, supporti tecnologici.

Tra le strategie più utilizzate troviamo sicuramente quelle più classiche, come la “lezione frontale” e l’ “imitazione”: nella prima l’insegnate espone in maniera unidirezionale gli argomenti; nella seconda invece, lo stesso dimostra concretamente l’utilizzo di un determinato strumento, o l’applicazione di una procedura, che l’ “alunno” riprodurrà quasi meccanicamente.                                                                                                        Più specifica è sicuramente la strategia che prevede un “approccio tutoriale”, mirato a individuare per ciascun soggetto bisogni, finalità e obiettivi dell’azione educativa, per poi modellare l’insegnamento sulla base delle capacità riscontrate dallo “studente”.

Tra le strategie più alternative invece, troviamo sicuramente la “discussione”, lo “studio del caso” e gli “apprendimenti di gruppo”.
Per ciò che riguarda la prima, si tratta di un vero e proprio confronto di idee tra più individui, dove il ruolo del formatore si sposta da quello di guida a quello di facilitatore, il cui compito non è trasmettere le conoscenze ma aiutare lo studente nelle sue attività.        Nella seconda strategia, ovvero lo “studio del caso”, l’impostazione è quella di una strategia metodologica che si basa su riflessioni riguardo ad una situazione reale o verosimile, su cui vanno formulate ipotesi e possibili soluzioni.                                                                    L’ “apprendimento di gruppo” invece, prevede una base di collaborazione e sostegno reciproco degli alunni che ricorda il tutoraggio tra pari.

Gli approcci più innovativi: dal “problem solving” alla “didattica inclusiva”
Soprattutto negli ultimi 20 anni, date le innumerevoli e rapide “trasformazioni” che caratterizzano tipicamente la società occidentale nei suoi diversi ambiti, il tema della didattica è stato posto al centro di numerosi dibattiti.

L’obiettivo era quello di continuare a garantire all’istruzione e alle modalità di didattica la medesima efficacia che le ha sempre contraddistinte, anche di fronte a nuovi e più intricati “paradigmi”.L’istruzione ci rende liberi: l’importanza e l’evoluzione della didattica

Così, accanto a teorie e strategie didattiche più consolidate e largamente utilizzate, hanno incominciato a farsi strada metodi ed approcci più innovativi, che privilegiano capacità di ragionamento e relazionali piuttosto che un “bagaglio nozionistico”.                                  Si tratta ad esempio delle strategie note con il nome di “problem solving”, “role playing” “brainstorming” e “tinkering”.

Il “problem solving”, che prevede varie tecniche e modalità da applicare caso per caso, riguarda le situazioni in cui il soggetto desidera passare da uno stato “dato” ad uno “desiderato”, e ci si attiva per raggiungerlo.                                                                      Il termine sta a indicare il processo cognitivo che si avvia per analizzare il problema e trovarne la soluzione.
Il “role playing” invece può essere inteso come una simulazione, in cui i partecipanti diventano gli attori concreti della situazione, rappresentata con ruoli attivi, identificandosi in specifici personaggi e in determinati contesti.                                                          Quello che si apprende nel “role playing” è il comportamento, vero obiettivo dell’apprendimento.

La strategia di “brainstorming” mira invece ad una migliore e più sicura esposizione delle proprie idee: nell’esempio più classico, ci si esprime liberamente intorno ad un tema predeterminato. Questo metodo permette e privilegia la libera espressione, l’unico vincolo sono l’aderenza al tema prefissato ed il riguardo verso le idee altrui.
Non meno importante poi, deve essere considerato il “tinkering”: una forma di apprendimento informale in cui si “impara facendo”.                                                          Il fine è quello di incoraggiare a sperimentare, di stimolare l’attitudine alla risoluzione dei problemi e di insegnare a lavorare in gruppo, così come a collaborare per il raggiungimento di un obiettivo.

Stravolgente ed incredibilmente efficace è stata poi la rivoluzione introdotta con il concetto di “didattica inclusiva”: qualificata come una “didattica di qualità per tutti”, ormai da tempo ha smesso di essere considerata come una corsia d’accesso solo per allievi con disabilità o bisogni educativi speciali.
Possiamo considerarla sempre più come uno stile d’insegnamento, un orientamento educativo e didattico quotidiano che si prefigge di rispettare, valorizzare e capitalizzare le differenze individuali presenti in tutti gli allievi, con una particolare attenzione alle situazioni in cui tali differenze creano consistenti barriere all’apprendimento e alla partecipazione alla vita sociale.

La didattica inclusiva prevede e si struttura poi su quattro pilastri reputati indispensabili ai fini dell’efficacia di questa: collaborazione, progettazione, efficacia, relazioni ed emozioni.
L’idea di fondo che si cela dietro questa nuova tipologia di insegnamento risulta essere la medesima per tutte le tipologie di studenti che ne risultano coinvolti: l’obiettivo è quello di una scuola che deve passare dall’integrazione degli studenti ad una reale inclusione degli stessi, in un clima partecipativo e collaborativo.

In conclusione, la didattica con tutte le evoluzioni, forme e strumenti che l’hanno contraddistinta, si erge oggi come mai prima d’ora, a baluardo di una crescita consapevole e strutturata, legandosi quasi indissolubilmente ai concetti di consapevolezza ed educazione.

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