“Prometeo rubò il fuoco agli dèi e lo diede agli uomini, per questo fu incatenato ad una roccia e torturato per tutta l’eternità”
CHRISTOPHER NOLAN: è un regista, sceneggiatore e produttore cinematografico britannico. Può vantare di essere uno dei registi con maggiori incassi nella storia del cinema (oltre 5 miliardi di dollari). Conosciuto maggiormente per la trilogia del Cavaliere oscuro, Inception, Interstellar, Nolan e i suoi film sono diventanti una pietra miliare nella cinematografia.
Il regista ha uno stile personale inconfondibile. Nonostante la profonda diversità dei film da lui editi, si può riconoscere un fil rouge proprio dello stile artistico del regista: il mistero che avvolge personaggi o questioni essenziali, una quasi costante narrazione temporale non lineare, turbe esistenzialistiche e ancestrali dei protagonisti che palesano l’essere umano come essere fragile, per non parlare della sofisticazione dei mezzi tecnologici da lui utilizzati per rendere i suoi film capolavori assoluti.
Il nuovo film di Christopher Nolan sta conquistando il mondo.
Scienza, vita, presagi e mistero si intersecano nella trama che racconta la storia dello scienziato Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica, brillantemente interpretato da Cillian Murphy.
Christopher Nolan, con l’abilità propria solo di un grande maestro, catapulta da subito gli spettatori in una posizione scomoda: siamo difronte al Prometeo dell’umanità che dà agli uomini (irrazionali e inconsapevoli) lo strumento che permette di portare morte e distruzione come mai prima, oppure siamo difronte all’uomo fragile, insicuro, turbato e geniale, che, da pioniere e scienziato, agisce pensando di fare il “bene”?
È forse proprio questa la potenza del film -che da storico diventa etico-: essere costretti ad accettare una posizione contraddittoria.
Il nuovo legame: fisica e guerra
Nella cornice della poesia e della paradossalità della nuova scoperta scientifica del millennio, la meccanica quantistica, Robert Oppenheimer rappresenta un fisico visionario, una mente indipendente, che riesce a “sentire la musica dell’universo”, in un periodo dove non tutti (in primis Einstein) riescono ad accettare l’intrinseca paradossalità delle nuove formule appena scoperte: “Dio non gioca a dadi con l’universo”, o forse lo fa?
Mentre il brillante Oppenheimer è intento a districarsi tra calcoli che dovrebbero spiegare cosa succede durante la morte di una stella – e ci potremmo chiedere se lo studio del buco nero, che risucchia e distrugge ogni cosa, sia il perfetto prologo teorico della bomba atomica-, gli arriva la notizia che l’ennesimo paradosso fisico si è realizzato: in Germania hanno diviso il nucleo di un atomo, cosa considerata fino a quel momento impossibile.
È proprio questa scoperta a consentire il processo di fissione nucleare alla base del funzionamento della bomba atomica.
Nell’ormai rotto equilibrio politico della Seconda Guerra Mondiale, la possibilità di creare un’arma di distruzione di massa è aperta: per la prima volta gli scienziati diventano le pedine fondamentali nello scacchiere geopolitico.
Ha così inizio il Progetto Manhattan, con a capo Robert Oppenheimer, dove le reclute sono i più insigni scienziati.
Il dilemma etico dell’utilizzo perverso della scienza è difficile da districare: se prima l’immoralità della guerra era attribuibile ai politici, ora vediamo occupate nei conflitti le menti più illustri.
Ma quanto sono realmente imputabili?
Se vogliamo citare uno dei maggiori collaboratori del Progetto Manhattan, Enrico Fermi, ci rendiamo conto che le cose sono più complicate di quello che sembrano: “Qualunque cosa la natura abbia in serbo per l’umanità, per quanto spiacevole possa essere, gli uomini devono accettarla, perché l’ignoranza non è mai meglio della conoscenza.” Dunque, in linea con gli interessi del progresso dell’umanità, la scienza ha l’obbligo morale di continuare la ricerca a prescindere dalla direzione che possa prendere.
Tuttavia, mai come ora il volto della scienza cambia: dagli albori dell’umanità si è sempre considerato il progresso come qualcosa che potesse disvelare all’uomo il vero volto della Natura, Robert Oppenheimer rappresenta il simbolo della cesura che ci insegna a vedere le possibilità nefaste della tecnica.
La pericolosità delle scoperte scientifiche è anche sottolineata dallo scarto inevitabilmente presente tra teoria e pratica, Christopher Nolan palesa tutto questo in un emozionante dialogo tra Oppenheimer e Leslie Groves (un ufficiale del corpo degli ingegneri dell’esercito degli Stati Uniti che supervisionò il Progetto Manhattan):
L.G.: Stiamo dicendo che c’è una possibilità che spingendo quel pulsante distruggiamo il mondo?
R.O.: La probabilità è quasi zero.
L.G.: Quasi zero?
R.O.: Che vuole dalla sola teoria?
L.G.: Zero, sarebbe meglio.
È arrivato il Prometeo dell’umanità: quel che era mito, è diventato carne.
In questa cornice Bohr dice a Oppenheimer: “Lei è l’uomo che ha dato loro il potere di distruggere sé stessi, e il mondo non è pronto.”
Chi sono i veri nemici?
Christopher Nolan ci restituisce la complessità di quello che un uomo possa considerare “il bene” all’interno di uno scenario apocalittico. Non c’è un’unica verità né per l’umanità, né all’interno della storia di un singolo individuo.
Oppenheimer, lasciatosi ammaliare in un primo momento dai sogni comunisti -influenzato dai propri cari tesserati al Partito-, torna sui propri passi spinto dalle pressioni dei dirigenti del Progetto Manhattan e giura fedeltà all’America contro il nazismo.
Questioni di spionaggio e tradimenti infittiscono la trama del film rendendo sempre più palese l’idea della precarietà del sistema di alleanze, dietro cui si cela la fame di potere da parte di ciascuno Stato impegnato nella guerra.
Nel languido equilibrio geopolitico, il nemico americano, Hitler, muore, eppure la bomba -ciò che farà vedere al mondo chi è la vera potenza egemone- non è stata ancora sganciata: bisogna trovare nuovi nemici.
Christopher Nolan riesce restituire l’idea di come all’interno di uno stato di guerra non ci siano innocenti, di come si cerchi di demonizzare un nemico per cercare di giustificare il proprio comportamento immorale, di come si ricorra a mezzi di distruzione di massa nascondendosi dietro lo stendardo della libertà.
Lo spettatore piomba in questo stato di costante contraddizione grazie allo stile del racconto del film: si intersecano scene che ci fanno vedere il mondo con gli occhi di un uomo, Oppenheimer (soggettivismo), con scene che ci fanno vedere il giudizio su quello stesso uomo (oggettivismo).
Come spiega in un’intervista Nolan: “La tensione che c’è tra il personale e l’universale è ciò che trovo davvero interessante.”
La bomba della pace
Sempre all’interno delle posizioni contraddittorie, emerge la visione americana della bomba che si può riassumere con le parole del capo del Progetto Manhattan, Oppenheimer, rivolte agli scienziati reclutati “il vostro lavoro garantirà una pace che l’umanità non ha mai visto”.
È difficile accettare una posizione di questo tipo -che va a scontrarsi con la logica stessa-: come può un’arma di distruzione di massa, portatrice di morte, essere, al contrario, portatrice di pace?
E perché le menti più brillanti del XX secolo radunate a Los Alamos, non si sono rese conto di tutta la distruzione che avrebbero portato?
Vari interrogativi sorgono nella testa dello spettatore.
La cortina di confusione si infittisce quando Nolan ci fa entrare nella mente di una persona sinceramente convinta di star lavorando per il bene e per una nazione che si fa portavoce della libertà.
L’invenzione di Oppenheimer ha segnato un punto di cesura nella storia: si inaugura l’era atomica, dove tutt’oggi viviamo.
Questo film, che si presenta come storico, diventa, se letto con gli occhi dell’attualità, un film etico-morale, che ci invita a ragionare sulla condizione di precarietà della vita dell’essere umano, in un’epoca dove diventa possibile lo sterminio senza precedenti.
Come dice il regista in un’intervista: “Le armi nucleari sono una cosa estremamente pericolosa da avere nel proprio paese. Dopo aver girato questo film, e quando ha iniziato ad uscire nel mondo, mi sono reso conto che il nostro rapporto con il ruolo delle armi nucleari va e viene a causa della situazione politica, e non dovrebbe, perché la minaccia è costante. Alcuni dei momenti più vicini a un disastro nucleare sono stati effettivamente in periodi di relativa calma.”
Di fronte alla costante minaccia nucleare, molti filosofi si sono interrogati su come questa epoca possa trovare un epilogo, uno di questi è il filosofo tedesco Günther Anders, secondo il quale indipendentemente dalla sua lunghezza e dalla sua durata, quest’epoca è l’ultima poiché la sua differenza specifica, la possibilità dell’autodistruzione del genere umano, non può aver fine – che con la fine stessa.
D’altro canto, la convinzione di fare il giusto, dell’ottenere una “pace senza precedenti” con l’utilizzo della bomba atomica, non si può dire che sia del tutto inesatta (seppure illogica): dagli eventi di Hiroshima e Nagasaki, nessuna bomba atomica è stata più utilizzata.
I conflitti perdurano, come quello in Ucraina, ma coinvolgono solo indirettamente le grandi potenze mondiali, oppure, la sola minaccia dell’utilizzo della bomba, come nel caso della guerra fredda o della stessa guerra in Ucraina, diventa di per sé una mossa di guerra sufficiente a far ristabilire gli equilibri grazie allo stato di terrore che si propaga.
Le parole del leader bielorusso Lukashenko “le sanzioni spingono mosca verso una guerra nucleare” si collocano in questo paradigma.
I danni
A prescindere dal pensiero morale e politico dietro ciascuna delle menti del Progetto Manhattan, l’imago degli scienziati di certo non poteva prevedere la reale entità della distruzione delle bombe: 250 000 furono le vittime di Little Boy (l’ordigno ad uranio sganciato su Hiroshima il 6 agosto 1945) e Fat Man (l’ordigno a plutonio sganciato il 9 agosto su Nagasaki). Bilanci mai visti prima.
Tuttavia, nel film di Nolan non sono presenti scene che riguardano la distruzione di Hiroshima e Nagasaki, e in un’intervista ne spiega il perché: “Sappiamo molto più di quello che vive lui in quel momento. Ha sentito parlare dei bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki alla radio, proprio come il resto del mondo. Non è un documentario. È un’interpretazione. È il mio lavoro. Penso che sia un cinema narrativo drammatico”.
La verità non deve offuscare un film biografico.