Perché il Libano è in crisi?

Il Libano è un Paese che non ha mai avuto pace. Il 7 marzo di quest’anno, il primo ministro Hassan Diab ha annunciato il default. Il Libano per la prima volta nella storia non sarà in grado di pagare i suoi debiti. Una crisi così drammatica non si era mai vista ed è ancora più umiliante per un Paese che basa la sua economia su servizi bancari e finanziari. Il debito pubblico ha raggiunto un livello insostenibile per le casse dello stato: si tratta del 170% rispetto al Pil. Ripagare un Eurobond da 1,2 miliardi di dollari sarebbe un suicidio e peserebbe sulle vite dei libanesi. Infatti prima ancora della recente decisione del premier, l’inflazione continuava a crescere e la disoccupazione era a livelli critici.

Di conseguenza la tassazione elevata grava sui beni di consumo e il valore della sterlina libanese rispetto al dollaro è calato a picco.  Si tratta di una situazione che non ci si aspettava ma che poteva sicuramente essere presa in considerazione come ipotesi. La ragione di questa affermazione si può ritrovare andando ad indagare gli innumerevoli aspetti che caratterizzano società, politica ed economia del Libano e che lo hanno reso uno degli Stati più instabili del Medio Oriente.

LE FONDAMENTA

Per capire i tumulti tra i quali il Libano si è sempre trovato coinvolto, basta pensare alla sua posizione geografica: a nord confina con la Siria e a sud s’incontra con Israele affacciandosi sulla parte orientale del Mediterraneo. Questa localizzazione ha comportato un’influenza determinante per la storia e la cultura del Libano. E’ necessario, infatti, sapere che fin dal 1973, anno in cui scoppia la prima guerra civile libanese, il sud del Paese viene dominato dai profughi palestinesi in fuga dalla Giordania. Tra i palestinesi vanno considerati anche i miliziani dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), i quali avevano pieno diritto di restare in Libano continuando la loro lotta contro Israele.

Questa legittimità derivava dagli Accordi del Cairo, firmati nel 1969 da OLP e Libano per tentare di metter fine alle incomprensioni che dilagavano fin dalla guerra del 1958. La composizione della popolazione è sempre stata particolarmente mista su base religiosa, includendo cristiani (maroniti e greci-ortodossi), musulmani (sunniti e sciiti) e una piccola percentuale di drusi. Queste divisioni hanno sempre portato i governi e la struttura sociale a numerose incomprensioni e con lo scoppio della prima guerra civile appariva chiaro il sostegno dell’OLP alle fazioni musulmane, in risposta al senso di mancata rappresentazione derivante da un governo, al tempo, di stampo cristiano maronita. Teatro del conflitto fu la capitale Beirut che venne letteralmente divisa in due parti, portando i cristiani, appoggiati da Israele, ed i musulmani, appoggiati dalla Siria, ad uno scontro che si sarebbe poi sviluppato in una vera e propria guerra tra Stati nel 1978.

Le guerre israelo-libanesi

Nel momento in cui sembrava che l’OLP stesse per instaurare un vero e proprio Stato nella parte meridionale del Libano, Israele iniziò a far muovere le sue truppe per provare a creare una barriera di sicurezza contro gli attacchi che i palestinesi lanciavano da quelle aree. Le conseguenze sono ben immaginabili. Con lo scoppio della prima guerra nel 1978 non si risolse il problema di allontanare l’OLP dal confine con Israele e, anzi, fu necessario l’intervento delle Nazioni Unite per permettere la realizzazione di una pace provvisoria grazie all’allontanamento delle truppe israeliane dal Libano.  Provvisoria in quanto nel 1982 Israele invase di nuovo il Libano ed fece espellere l’OLP lasciando inalterata la presenza israeliana sottoforma di ELS, cioè Esercito del Libano del Sud.

Queste incursioni violente ed immotivate hanno spinto gruppi di musulmani sciiti a fondare il partito di Hezbollah, con l’obiettivo di fermare con la forza qualsiasi sopruso israeliano. E’ proprio Hezbollah l’elemento contro cui vengono indirizzati tutti gli attacchi da parte di Israele e che hanno poi condotto alla seconda guerra nel 2006. Sebbene il Libano nella sua interezza non fosse coinvolto, le autorità del Paese spesso tendevano a supportare Hezbollah e richiesero anche l’intervento degli USA affinché premessero su Israele per ritirare i militari. Gli Stati Uniti vedevano il partito musulmano come un’organizzazione terroristica e non avrebbero ceduto facilmente alla richiesta rischiando di far prolungare i tempi prima di porre fine al conflitto.

Anche questa volta l’intervento dell’ONU fu fondamentale. La risoluzione approvata, infatti, permise di promuovere il disarmo di Hezbollah e di far allontanare l’esercito israeliano dal Libano. Bombardamenti, danni alle infrastrutture e la perdita di numerosissimi civili e militari, però, indebolì fortemente un Paese che era già allo stremo delle forze dopo i precedenti scontri. Ecco perché nel 2018 hanno avuto inizio le più grandi manifestazioni di protesta contro l’operato di un governo che non riesce a superare le sue divisioni ed è costantemente in guerra.

LA DIFFICILE POLITICA LIBANESE

Le radici della crisi vanno ad essere individuate non solo sulla base dei precedenti storici, bensì anche su come il Paese tende a gestire la politica. In questa prospettiva non ci si riferisce solo all’esistenza di numerosissimi partiti politici ma anche soprattutto al fatto che questi siano organizzati su basi religiose. Esistono, infatti, circa 11 gruppi religiosi organizzati nel Parlamento monocamerale a seconda dei risultati delle elezioni popolari. Attualmente il Primo Ministro Hassan Diab è appartenente alla scia sunnita ed è stato nominato dopo le dimissioni di Saad al-Hariri a causa del dilagare delle proteste. La parte sciita è rappresentata da Hezbollah, appoggiato da Iran e Siria; i cristiani maroniti sono sostenuti dall’FPM (Free Patriotic Movement), i drusi dal Partito Socialista Progressista e poi numerosi altri partiti di stampo cristiano e musulmano legati ad Hezbollah o ad esponenti politici ricollegabili alla Siria.

Le regole centrali restano comunque quelle secondo cui il Primo Ministro debba essere un sunnita, il Presidente un cristiano maronita e lo speaker del Parlamento uno sciita. Le manifestazioni del 2018/19 erano esattamente orientate verso lo smantellamento di tale ordinamento politico che veniva visto per lo più come creato appositamente per soddisfare interessi particolari dei politici e sfruttare le risorse nazionali a proprio beneficio. Si parlava di una vera e propria élite che non doveva essere solo sostituita ma rimossa per creare un sistema totalmente nuovo. Inoltre è da non dimenticare l’intromissione dei Paesi vicini nelle questioni interne che sono da sempre stati determinanti nelle vicende libanesi. Si tratta infatti di Siria, Iran, Stati del Golfo arabo ed anche, inevitabilmente, gli Stati Uniti.

LA DISCESA DELL’ECONOMIA PIU’ FORTE DEL MEDIO ORIENTE

Mentre il mondo soffriva ancora a causa della crisi del 2008, il Libano nel 2010 risultava stabile grazie al settore bancario privato. L’attività finanziaria era pari a 128,9 miliardi di dollari ed i depositi privati erano 107,2 miliardi, sempre in crescita rispetto all’anno precedente. Le banche inoltre vanno di pari passo con i settori dell’immobiliare e dei servizi, quindi attività non-produttive che sono, però, compensate da investimenti ingenti provenienti dall’estero.

I tassi d’interesse garantiti dalle banche libanesi sono molto alti e per questo attraggono business straniero, anche in relazione ai convenienti tassi di cambio col dollaro. E’ da ricordare inoltre che perfino durante le guerre questo Paese ha ripagato i suoi debiti ed il direttore della Banca Centrale del Libano, Riad Salameh, è considerato il miglior governatore di banca centrale al mondo, facendo rimanere stabile il cambio con il dollaro ad 1,5 sterline libanesi. Fa paura pensare che ad oggi questo cambio corrisponda a 4 sterline e fa paura anche l’emergere di un mercato nero. Dal 2019 la crescita del Paese è stata pari a zero e le uniche entrate su cui poteva fare affidamento erano le rimesse dei libanesi fuori patria.

Gli obiettivi del governo continuavano ad essere rivolti al finanziamento di materiale per la difesa e per il servizio civile, lasciando scoperte le restanti necessità. Le infrastrutture per questa ragione non sono efficienti, così come i servizi energetici e di telecomunicazione. Basti pensare al fatto che la società elettrica nazionale non era stata più in grado di fornire il servizio dalle 3 alle 6 ore al giorno nei centri più abitati, fino ad arrivare alle 10 ore nelle zone meno densamente popolate. Questo spingeva all’affermazione di costose compagnie private, spesso legate ad organizzazioni criminali e comunque incapaci di fornire qualsiasi profitto allo Stato.

La corruzione è arrivata a livelli talmente insostenibili che nel momento in cui il governo ha annunciato una tassa imposta sull’utilizzo dell’app di messaggistica “Whatsapp”, le proteste sono letteralmente esplose in tutto il Paese. Le città più povere, come Tripoli, sono state centri di violenze nonostante le manifestazioni più che pacifiche. La stragrande maggioranza dei coinvolti è giovane, è la generazione che è stanca di non riuscire a lavorare nel proprio Paese a causa di una disoccupazione ormai superiore al 37%. Proprio a Tripoli uno di questi ragazzi, il 27 aprile scorso, è stato ucciso dall’esercito e da allora continuano i cortei nelle strade per vendicare la sua ingiusta sorte e, al contempo, per tentare di denunciare le condizioni politico economiche non più sopportabili.

COSA ACCADRA’

Nel 2011, con lo scoppio della guerra in Siria, milioni di rifugiati fuggono in Libano andando a premere in maniera esagerata sul sistema economico libanese. In quel momento tutta la fragile struttura inizia il tracollo. Le banche perdono fiducia da parte degli investitori, vengono imposti dei limiti ai prelievi ed ai trasferimenti in dollari e le riserve valutarie straniere iniziano a sparire e non rientrare più. Con l’avvicinarsi del pagamento dell’Eurobond e delle scadenze di altri debiti da saldare, il governo ha deciso quindi di mettere le mani avanti e dichiararsi in fallimento perché non può fare altro. La risposta per chi domanda quale sarà il futuro del Libano è incerta quanto è incerta la stabilità della sua politica.

Per recuperare le perdite finanziarie il Paese potrebbe richiedere dei prestiti al Fondo Monetario Internazionale ma prima che qualsiasi decisione venga presa è necessario un accordo tra le fazioni politiche, se non una vera e propria riforma costituzionale. L’influenza di Hezbollah non è positiva in quanto i suoi membri sono contrari a qualsiasi accordo a livello internazionale ed al contempo non è pensabile una decisione unilaterale essendo il partito sciita una componente principale del Parlamento. Prima che il presidente Hariri si dimettesse, il suo gruppo aveva proposto delle riforme che però non erano risultate soddisfacenti agli occhi dei manifestanti.

Con il successivo insediamento del premier Diab si sperava in una reazione positiva ma nulla è ancora cambiato. Con gli stessi nomi di sempre, le pressioni sulla popolazione non si fermeranno e qualsiasi aiuto richiesto o qualsiasi taglio nei debiti da ripagare, costerà enormi sacrifici ai civili, già fin troppo stremati. Gli sforzi dei leader non sono sufficienti ed i libanesi iniziano a non avere più pazienza. Come biasimarli, in fin dei conti. Il Libano è un Paese straziato, è un posto in cui le differenze avrebbero potuto convivere in pace ma si è stati in grado di porle solo in lotta tra loro. Questa crisi è stata l’ulteriore colpo di grazia ed ancora una volta la nuova generazione cerca di risolvere il male apportato da quella precedente. Magari questa sarà la volta buona che il Libano si rialzerà senza più cadere.

Direttore responsabile: Claudio Palazzi

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