LA LOTTA PER LA LIBERTA’: HONG KONG COME TIANANMEN

Non è facile accorgersene quando ci si è dentro. La vista tende ad offuscarsi a causa della nebbia. Passo dopo passo però, con un po’ di attenzione, appare una figura racchiusa in un’imponente cornice. Non ci sono dubbi che si tratti del ritratto di Mao Zedong, apposto esattamente al centro delle mura che circondano la città proibita a Pechino. Il suo sguardo non incute timore, sembra perso, orientato verso l’infinito di Piazza Tiananmen.

Proprio qui l’atmosfera è quasi silenziosa, come se ci fosse un’aurea di religioso rispetto. Ogni tanto da un angolo spunta un uomo in uniforme. Se sei occidentale vieni osservato con attenzione, con curiosità, forse anche con sospetto. Probabilmente la stessa atmosfera si respirava nell’apparentemente lontano 1989 e gli incaricati alla sicurezza si saranno sentiti minacciati da quel gruppo di giovani studenti che iniziava a sparpagliarsi nella piazza.

Il 15 Aprile di quell’anno prendeva forma la prima vera protesta per la democrazia della storia della Cina. Nessuna violenza da parte dei manifestanti. L’esercito non era della stessa opinione: il 4 Giugno venne aperto il fuoco ed insieme nasceva anche una delle più abominevoli dimostrazioni della violenza del regime cinese. Tutt’ora non ci sono informazioni precise su ciò che avvenne né sono stati mai diffusi i nomi dei responsabili della strage. Dopo quei pochi giorni ritornò il silenzio, un silenzio forzato, un silenzio scatenato dalla paura. Da sempre le autorità negano, ma tutti sanno e c’è chi potrebbe portare a galla la verità a trent’anni di distanza: una città, due parole. Un paese, due sistemi: Hong Kong.

COSA C’ENTRA HONG KONG 2019/20 CON TIANANMEN 1989 ?

Tra democrazia e dittatura cosa scegliereste? Dal 1842 in cui era sottoposta al controllo del Regno Unito come colonia, nel 1997 Hong Kong si ritrova catapultata nelle mani della Cina. Ha assunto il nome di Regione Autonoma, le è stata concessa una costituzione, una garanzia delle libertà fondamentali ed il potere legislativo, esecutivo e giudiziario. Nonostante ciò parlano di lei come di un sistema parte di un paese, al massimo di una regione che non si è mai sentita né CinaInghilterra, ma solo Hong Kong. Lo scoppio delle proteste nel 2019 ha aperto un nuovo spiraglio per le speranze di cambiamento nel regime politico cinese. Questo perché si possono notare numerose somiglianze con l’esperienza di Tiananmen. Proviamo ad analizzarle.

  1. LA DEMOCRAZIA Quando ad Hong Kong è esplosa la protesta che aveva lo scopo di bloccare l’approvazione del decreto di estradizione non ci si poteva immaginare che si sarebbe poi sviluppata come un vero e proprio grido per il riconoscimento della democrazia. Ecco il primo punto che ci rimanda a Tiananmen 1989. In quell’anno veniva eretta nella piazza persino la bozza di una statua che aveva l’intento di rappresentare la stessa Statua della Libertà di New York. L’intento era richiamare l’attenzione sull’unico vero scopo della manifestazione: ottenere la democrazia. Quell’idea non è mai scomparsa, nonostante tutti gli sforzi del governo di cancellare anche la minima testimonianza. Nel 2020 ricorre la celebrazione dei 31 anni dalla strage di Tiananmen e l’unica città che ha osato dimostrare che nulla è stato dimenticato, è stata proprio Hong Kong. Infatti, nonostante i divieti posti dalle autorità di sicurezza, i manifestanti si sono radunati per una veglia in onore delle vittime.
  2. I MANIFESTANTI Un altro aspetto di non secondaria importanza è legato al genere di persone coinvolte nelle proteste. In entrambe si tratta per lo più di giovani, la maggior parte sono studenti. Trentuno anni fa, forse, incontrandosi nelle università, era facile diffondere un’idea e coinvolgere tutti i membri parte di uno stesso ambiente. Non appena quei rappresentanti furono azzittiti, non essendo garantita alcuna forma di associazione, né di libertà di espressione, nessuno ha più avuto la possibilità di entrare in contatto con quegli ideali. Gli anni 80 non conoscevano ancora la tecnologia così come la conosciamo oggi, ed è stato anche questo il successo di Hong Kong. Il bello è che, come nel passato, proprio degli studenti hanno preso in mano la situazione, proprio loro, su cui il governo crede di avere il maggior controllo. Esiste un documentario distribuito da Netflix che racconta la storia di Joshua Wong, il ragazzo di 14 anni che ha sfidato la Cina (il nome del documentario è “Joshua: Teenager vs Superpower” diretto da Joe Piscatella). Dapprima fonda il movimento di nome “scholarism” che gli fa acquistare notorietà. Joshua è stato infatti in grado di coinvolgere la stragrande maggioranza degli studenti a mobilitarsi contro la National Education Reform ed ottenere l’abrogazione del provvedimento. In seguito un professore universitario appoggia il lavoro dell’attivista, che diventerà l’immagine simbolo del notissimo “umbrella movement”. La posizione privilegiata di Hong Kong come regione autonoma e la natura della comunicazione dell’era digitale hanno permesso alla protesta di andare oltre l’ambiente studentesco e di prolungare, quindi, la durata delle manifestazioni. Infatti è più di un anno che la gente non si ferma, che continua a far sentire la sua voce ottenendo anche il consenso di moltissimi Paesi nel resto del mondo. Questa costanza fa paura al governo centrale che, quasi mai, risponde in maniera adeguata.
  3. LA SICUREZZA E qui ci ritroviamo al terzo punto di convergenza tra i due movimenti. Il primo mezzo da utilizzare per ristabilire l’ordine è, naturalmente, la polizia. Nel 1989, tramite l’azione dell’esercito, non ci fu alcuna cura nel prevenire qualsiasi catastrofe. Probabilmente la Cina aveva una percezione di sé fin troppo sicura per pensare che un evento del genere avrebbe potuto fare il giro del mondo. La sua immagine, invece, venne scalfita, anche per la noncuranza con cui tutti i dati rimasero nascosti. Non ci si poteva permettere una nuova Tiananmen quando gli infiniti cortei di milioni di persone continuavano a sfilare incessantemente per le strade di Hong Kong. Eppure ciò che sembrava essere una protesta pacifica è stata costretta a trasformarsi in una resistenza. Gli assalti della polizia mascherati da pretese legate alla “sicurezza dei cittadini di Hong Kong” non potevano definirsi proporzionati alle azioni dei manifestanti. E non si tratta solo di violenze fisiche, si tratta anche di arresti immotivati, legati alla mera presenza nei cortei. Per aggravare la situazione si va anche ad aggiungere il fatto che molto spesso non ci sono notizie certe sul trattamento di coloro che vengono fermati. Come può un cittadino sentirsi al sicuro se è la stessa autorità che dovrebbe garantire l’ordine ad incutere timore? Come può esistere una costituzione che include la garanzia delle libertà di associazione e di espressione ma nella pratica non è realizzabile? Infatti, se si guarda alla Costituzione della Regione Autonoma di Hong Kong, all’articolo 27 si può leggere “Hong Kong residents shall have freedom of speech, of the press and of publication; freedom of association, of assembly, of procession and of demonstration”. Così come all’articolo 28 si può notare che “No Hong Kong resident shall be subjected to arbitrary or unlawful arrest, detention or imprisonment”. Le basi legali, dunque, non mancano.

COSA STA FACENDO LA CINA?

Andando a curiosare tra i siti d’informazione cinesi è interessante notare alcuni dettagli. Innanzi tutto, provando a scrivere “Tiananmen 1989” nella barra di ricerca dei giornali online non vengono evidenziati risultati di alcun tipo. Questo probabilmente era ben prevedibile. Tuttavia, in riferimento alle proteste di Hong Kong non si risparmiano gli articoli che parlano di terrorismo (“homegrown terrorism” per utilizzare le parole dell’articolo). Proseguendo nella lettura degli articoli, è ben visibile come tutti tendano a lodare l’operato del governo in qualsiasi ambito. All’opposto è più che evidente la posizione fortemente critica su qualsiasi aspetto legato agli Stati Uniti o, nel caso di Hong Kong, all’Inghilterra. Per esempio, questo articolo del China Daily, una delle testate più importanti del Paese, denuncia le pretese del Regno Unito di immischiarsi negli affari di Hong Kong. In base alla dichiarazione Sino-Inglese del 1984, le problematiche della regione possono essere gestite solo dalla Cina.

Da sottolineare, però, che sono solo gli ambiti legati alla sicurezza e agli affari esteri quelli in cui è ammesso l’intervento del governo centrale. Proprio per questa ragione, ancora una volta, la scusa ricade sulla perdita di controllo sulla sicurezza nazionale. Il ministro degli affari esteri Wang Yi, infatti, giustifica la nuova legge sulla sicurezza proprio come una conseguenza dell’influenza dell’UK sulle proteste. Tuttavia non è ben chiaro quali siano i punti base di questa nuova risoluzione. Le poche informazioni a disposizione parlano di criminalizzazione dei tentativi di secessione, di qualsiasi azione violenta, di interferenze straniere e di attentati all’integrità della nazione. Nonostante i dettagli insufficienti, i manifestanti sanno che legge sulla sicurezza equivale a maggiori limitazioni delle libertà.

Quindi, alla fine del lockdown dovuto alla pandemia, le strade si sono nuovamente riempite. Non c’è ancora nulla di fatto ma, se Pechino dovesse approvare tale provvedimento, sicuramente la governatrice Carrie Lam e tutto l’esecutivo saranno favorevoli alla sua applicazione ad Hong Kong. Sembra che i manifestanti, dunque, vogliano prevenire piuttosto che curare ma, probabilmente, non sarà comunque un’altra legge a fermarli. Pechino dovrà inventare veramente qualcosa di nuovo per poter vincere, questa volta.

IL PASSATO INCONTRERA’ IL FUTURO?

Cosa aspettarsi, quindi, dopo le impressionanti analogie con il triste passato delle proteste democratiche in Cina? Potrà mai ripresentarsi lo scenario del 4 giugno 1989? E’ difficile prevedere come una dittatura si comporterà. Purtroppo il mancato riconoscimento dei diritti fondamentali è una grave limitazione alla possibilità di uno stravolgimento della situazione politica nel Paese. Inoltre la mancanza di informazione attendibile e soprattutto libera, non aiuta il popolo nella creazione di un’opinione. Se persino Hong Kong dovesse perdere accesso alle fonti straniere d’informazione sarebbe un vero dramma per una possibilità di liberazione in futuro.

Al contempo, però, limitando le influenze occidentali la Cina perderebbe, molto probabilmente, anche una fonte importantissima di risorse economiche. E’ anche questa una delle ragioni (forse la principale) che spinge Xi Jinping a non agire in maniera azzardata sulla città. Hong Kong è un hub economico troppo importante perché vi si possa rinunciare. Da un lato la libertà e da un altro la ricchezza. Non sembra possibile averle entrambe in un mondo come quello raffigurato dalla Cina. Nel 1989 quel gruppo di ragazzi, invece, credeva nella realizzazione di quel sogno. In questi mesi la loro idea sembra non si sia mai spenta davvero tra le strade di Hong Kong. In piazza Tiananmen, però, lo sguardo di Mao resta sempre uguale, il silenzio non è mai cambiato eppure resta ancora l’attesa. Attesa di verità e, forse, di un futuro che non vuol più essere un passato che si ripete.

Direttore responsabile: Claudio Palazzi

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