Da febbraio del 2022 sembra che il Mondo intero si sia dimenticato delle altre guerre, i media ormai si soffermano soltanto sul conflitto russo-ucraino. Ma nel mondo non c’è pace. I dati di “Caritas italiana” contano 23 conflitti ad alta intensità nel Mondo. Tra il 2020 e 2021 sono aumentate del 40% le persone bisognose di assistenza umanitaria.

Uno dei conflitti più preoccupanti è quello siriano che dura da 11 anni. Durante la Primavera Araba del 2011 il governo di Bashar al-Assad ha colpito obiettivi civili, le vittime sono state 500.000. Più di 13 milioni di persone sono fuggite dal Paese o sono sfollate all’interno dei suoi confini. Oggi il 60% della popolazione soffre la fame.

La storia della Siria 

Per oltre quattro secoli l’Impero ottomano ha dominato la Siria, dal 1516 al 1918. Il dominio ottomano non ha recato danni al popolo siriano, in quanto i turchi, essendo musulmani, rispettavano l’arabo come lingua del Corano e accettavano i difensori della fede. Damasco divenne il principale punto di transito per la Mecca e come tale acquisì un carattere sacro per i musulmani.

Dopo la dissoluzione dell’Impero ottomano nel 1922, il Regno Unito ottenne la Palestina e la Francia il Libano e la Siria. Per ventisei anni la Siria è stata nelle mani francesi, come era stabilito dalla Società delle Nazioni per le popolazioni ritenute incapaci di autogovernarsi.

Con la fine della Seconda Guerra Mondiale, la Francia lasciò il controllo della Siria e le concesse l’indipendenza che chiedeva da anni. Dopo l’indipendenza, in Siria ci fu un lungo periodo di instabilità politica con continui cambi di governo e tredici colpi di stato. Il Paese entrò a far parte della Repubblica Araba Unita, nata all’inizio del 1958 in seguito all’unione politica con l’Egitto. Non funzionò e dopo solo tre anni la Siria abbandonò il progetto.  Un nuovo periodo di disordine si ebbe con il Partito Ba’th. Un colpo di mano interno al partito portò a cambiare la linea politica, da quella panaraba si passò a una socialista e filosovietica.

Il regime di Hafiz al Assad

La Guerra dei Sei giorni nel 1967 portò a un nuovo periodo d’instabilità e a un nuovo colpo di stato interno al Ba’th. Queste instabilità si risorsero nel 1970 con l’insediamento del regime di Hafiz al Assad, il padre dell’attuale presidente siriano Bashar al Assad. Il nascente regime si presentava come uno “Stato canaglia”, punto di riferimento del radicalismo arabo e sostenitore di gruppi terroristici.

Tra il 1971 e il 1977 al-Asad partecipò al tentativo di creare una Federazione delle Repubbliche Arabe con Egitto e Libia. Negli anni Ottanta la Siria si schierò a favore dell’Iran nella guerra Iran-Iraq e venne quindi isolata all’interno del mondo arabo.

I Fratelli Musulmani tra il 1976 e il 1982 condussero una rivolta armata contro il regime laico del partito Ba’th, che fu abbattuta da al-Asad in una sanguinosa repressione. Il culmine della battaglia è stato il bombardamento della città di Hama, centro dell’opposizione fondamentalista.

La Siria partecipò alla prima guerra del Golfo nel 1991 al fianco della coalizione multinazionale contro l’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq di Saddam Hussein. Questo comportò cambiamento nelle relazioni internazionali con gli altri Stati arabi e con il mondo occidentale. Nel 1991 partecipò alla Conferenza multilaterale di pace per il Medio Oriente, che si è tenuta a Madrid. Iniziò ad avviare anche trattative di pace con Israele, ma non si giunse mai ad una conclusione.

L’eredità del padre

Il 10 giugno del 2000, Hāfiz al-Asad morì. Per permettere al figlio di prendere il suo posto, il parlamento modificò la costituzione in merito all’età minima per la carica presidenziale. Il suo partito venne eletto con il 97,29% dei voti.

La Siria, dopo l’11 settembre 2001 è stata inserita nella cosiddetta “asse del male” dagli Stati Uniti. Bashār al-Asad opponendosi all’invasione americana dell’Iraq è stato accusato dagli Stati Uniti di finanziare la guerra irachena.

Nel 2004 i Curdi siriani protestarono per violenze subite nel nord-est della Siria. Nel 2005 il governo siriano fu accusato dell’omicidio dell’ex primo ministro libanese Rafīq Ḥarīrī. Le pressioni internazionali indussero la Siria a far rientrare in patria le forze armate che erano in Libano dal 1976.

L’inizio delle proteste

L’evento scatenante che ha causato la guerra civile in Siria è iniziato nel gennaio del 2011, quando migliaia di persone sono scese in strada per chiede delle riforme politiche come le elezioni libere. I manifestanti chiedevano la fine del regime di Assad e l’istaurazione della democrazia.

Nel marzo 2011 le proteste si sono intensificate, ispirandosi alle “primavere arabe”. Una rivoluzione iniziata in modo pacifico, che ha coinvolto persone appartenenti a diverse classi sociali, etnie e religioni, che è stata repressa dal governo con violenza.

Il 15 marzo a Damasco si svolse una grande protesta, il 18 marzo le forze di sicurezza aprirono il fuoco contro i manifestanti a Daraa, uccidendo quattro persone. La gente in piazza chiedeva maggiori libertà e diritti. Nessuno si aspettava l’intervento della polizia, dell’esercito e dei mukhabarat, i servizi segreti, che hanno iniziato a schedare i manifestanti e a cercarli per condurli in carcere per torturarli. Per proteggere i cittadini, gli ex soldati dell’esercito di Assad creano l’Esercito Libero Siriano la prima formazione militare antigovernativa. Il regime risponde bombardando le zone controllate dai ribelli. Tra gli episodi più tragici c’è l’attacco al villaggio di Houla, con 100 vittime di cui la metà sono bambini.

Nell’estate del 2011 le regioni vicino la Siria e le Potenze mondiali, hanno iniziato a dividersi in campi pro e anti-Assad. Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ed altri capi di stato europei chiesero al presidente siriano di dimettersi. Un blocco anti-Assad composto da Qatar, Turchia e Arabia Saudita si è formato nell’ultima metà del 2011. Mentre gli Stati Uniti, l’Unione Europea e gli arabi avevano introdotto sanzioni contro i membri più anziani del regime di Assad.

L’inizio della feroce guerra civile

Nel 2012 ormai era diventata una vera e propria guerra civile. La battaglia più importante è stata quella di Aleppo, città al nord della Siria. Aleppo è stata divisa in due per quasi quattro anni: a ovest c’erano le forze fedeli ad Assad, a est i ribelli.  Il regime decise di applicare la tattica chiamata starve-or-submit (“morite di fame o arrendetevi”). Nell’agosto 2013 più di 1400 civili muoiono per un attacco di armi chimiche a Ghouta. Dopo forti pressioni da potenze internazionali, il regime di Assad accetta di mettere il suo arsenale chimico sotto controllo internazionale.

Da questo momento in poi il regime inizia a vivere momenti difficili, arrivano le prime sconfitte. I ribelli conquistano diverse città del nord e del sud, fino a minacciare il territorio della costa, dove si trovano le principali comunità alauite e cristiane. Invece a est lo Stato Islamico conquista Palmira.

Sono gli anni in cui il terrorismo cresce. Gruppi che si definiscono jihadisti prendono il sopravvento, con loro si uniscono anche combattenti stranieri, i foreign fighters, giunti in Siria per sopprimere il regime di al-Assad. All’Esercito siriano Libero si unisce una branca siriana di al-Qaida e dello Stato Islamico in Iraq: Jabhat al-Nusra. Iniziano a compiere attentati suicidi e attacchi con autobombe. Con il sostegno da parte dell’Iraq iniziano a progettare di creare uno Stato Islamico in Siria.

Gli Stati Uniti, la Francia, la Gran Bretagna e la Turchia supportano i ribelli. Russia, Cina, Iran e Venezuela supportano il regime di al-Assad.

La regione strategica di Raqqa viene conquistata da Jabhat al-Nusra e dall’Esercito libero siriano. A questi si aggiunge un’altra forza estremista, lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS). Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, vedendo questa grande influenza dei terroristi jihadisti nel nord della Siria sono costrette a sospendere ogni tipo di sostegno ai ribelli siriani in quelle zone.

La nascita del Califfato islamico 

L’Esercito libero siriano si stacca dall’estremista Fronte al-Nusra e dall’ISIS. All’ISIS si oppongono le forze curde. L’ONU per la crisi siriana, organizza una conferenza di pace a Ginevra, che si conclude senza nessuna decisione.

Nel giugno del 2014 si svolgono le elezioni presidenziali, i seggi elettorali vengono installati soltanto nelle zone controllate dal governo, in questo modo tagliano fuori i ribelli siriani, lo Stato Islamico e i curdi. Al-Assad viene rieletto presidente per la terza volta con l’88,7% dei voti favorevoli.

Il 29 giugno, Abu Bakr al-Baghdadi, leader dello Stato Islamico, proclama la nascita del Califfato islamico. Il sedicente Stato Islamico conquista molti territori strategici tra la Siria e il nord dell’Iraq. Cacciano i militanti del Fronte al-Nusra dalla città di Raqqa, decapitando chi si oppongono al Califfato. I profughi che scappano verso la Turchia sono 300.000 ed Erdoğan schiera le proprie truppe al confine.

L’ISIS punta a eliminare il Fronte al-Nusra. A settembre, una coalizione guidata dagli Stati Uniti bombarda i territori della Siria in mano a ISIS.

L’accordo con la Russia

La Russia entra nel conflitto a favore del regime siriano. Grazie al supporto russo, l’esercito siriano riconquista in parte la città di Aleppo. Il presidente Putin e Assad aveva firmato un patto di alleanza. Aleppo è divisa in due: la parte orientale è sotto il controllo delle forze ribelli e la parte occidentale è controllata dal regime.

Diventa sempre più difficile creare corridoi umanitari e far entrare aiuti destinati alla popolazione civile. L’esercito governativo e l’esercito russo lanciano pesanti bombardamenti sulla città. Il 15 dicembre viene annunciata una tregua. Russia e Turchia permettono alle ultime cellule jihadiste di uscire da Aleppo e di raggiungere Idlib.

Le sconfitte dell’ISIS e l’arrivo della pandemia

L’esercito siriano inizia a vincere numerose battaglie. Un nuovo attacco chimico in provincia di Idlib provoca 72 morti. Nel giugno del 2018 le forze governative siriane iniziano una campagna per riprendersi tutti i territori controllati dai ribelli. Dopo aver ripreso le aree intorno a Damasco, e Homs, l’ultima regione rimasta sotto controllo dei ribelli è Idlib.

Gli attacchi aerei, i combattimenti via terra e i bombardamenti si intensificano nel 2020. Centinaia di civili vengono uccisi e si contano più di 850.000 persone sfollate. Sono incalcolabili i danni causati negli anni.

L’arrivo della pandemia da Covid-19 non ha certo aiutato. Gli sfollati ammontano a 6 milioni di siriani e 11 milioni di persone necessitano di assistenza umanitaria.  Nel marzo del 2020 il presidente turco Erdoğan e il russo Putin stipulano un accordo per un cessate il fuoco a Idlib.

Nel 2021 ci sono stati meno combattimenti e meno violenze rispetto ai 10 anni precedenti. Resta però una grave crisi economica e umanitaria. L’attuale situazione dal punto di vista militare è rimasta invariata negli ultimi mesi. La guerra civile siriana è ormai entrata da più di un anno in una fase di bassa intensità. L’assenza di operazioni militari su larga scala si accompagna alla preminenza degli attori esterni su quelli locali.  Non sono gli attori locali, ma le potenze regionali e internazionali a determinare le dinamiche del conflitto. I principali alleati presenti nel paese sono Iran e Russia per le forze governative, la Turchia per una parte delle forze ribelli e gli Stati Uniti per le milizie curde.

Le elezioni del 26 maggio riconfermano al potere il presidente Bashar al-Assad, non si potevano considerare né libere né democratiche e sono state definite internazionalmente come una farsa. I ministri degli Esteri di Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Stati Uniti avevano pubblicato un comunicato prima delle elezioni in cui le definivano illegittime e dicevano che non sarebbero regolari senza la supervisione delle Nazioni Unite. Ma per Assad l’opinione dell’Occidente conta “zero”.

La questione dei profughi

Il termine diaspora siriana indica la dispersione del popolo siriano che, costretto ad abbandonare il Paese d’origine per la guerra civile. I Siriani che vivono fuori dalla Siria sono tredici milioni, quasi la metà dell’intera popolazione del Paese. L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati riporta che il flusso emigratorio ha coinvolto solo nel 2015 ben 4.9 milioni di persone. Le disposizioni legislative siriane affermano che i siriani coinvolti nella diaspora non hanno il diritto di rimpatriare.

Costretti a scappare con solo quello che hanno indosso, senza voltarsi e senza possibilità di tornare indietro, molti hanno perso di vista i genitori o li hanno visti morire sotto i loro occhi. Migliaia di siriani hanno trovato rifugio nella Valle del Bekaa, in Libano, dove l’90% della popolazione vive sotto la soglia di povertà.

Il primo paese per numero di rifugiati è la Turchia. Una parte minore di questi profughi ha come obiettivo l’Europa e i suoi paesi più avanzati economicamente. Nel settembre 2015 il Consiglio Giustizia e Affari interni dell’Unione europea ha votato per ridistribuire più di 100.000 migranti concentrati in Grecia. Questa proposta è stata tuttavia stigmatizzata e rigettata dai paesi del Gruppo di Visegrád nonché dalla Romania, paesi con amministrazioni ostili a massicci flussi migratori in entrata.

La maggioranza di loro vive negli insediamenti informali in Libano, in piccoli appartamenti in Giordania o in alloggi di prima accoglienza in Turchia. Milioni di uomini, donne e bambini hanno bisogno di posti di lavoro, assistenza sanitaria, istruzione.

Ci sono profughi veri e profughi finti

Polonia e Ungheria negli anni sono stati molto criticati per aver respinto i migranti, in particolare quelli siriani. Ma cosa sta succedendo adesso?  I due Stati hanno aperto le porte agli ucraini, ma la solidarietà è solo per chi scappa dalle bombe di Putin? Per gli altri, a quanto pare i confini sono chiusi.

Il ministro degli Interni polacco Mariusz Kaminski, fino a pochi mesi fa definiva “terroristi, drogati e pervertiti zoofili” i profughi afghani, siriani e iracheni, che tentavano di entrare in Polonia dalla Bielorussia. Cinque mesi dopo assicura che “la Polonia sarà una seconda casa per tutti i profughi ucraini”. Le bombe di Putin hanno riabilitato la solidarietà?

La Polonia nel 2015 aveva rifiutato di accogliere qualche centinaio di siriani in fuga dall’ISIS. È lo stesso Paese che lascia uomini, donne e bambini a ghiacciare nei boschi senza acqua né cibo e che li rinchiude in centri di detenzione illegali dove non possono incontrare operatori umanitari e avvocati. Sono quelli che stanno costruendo una barriera al confine di oltre 186 chilometri e che hanno lasciato morire almeno 21 persone l’anno scorso. Incapaci di utilizzare le vie legali per entrare in Polonia, queste persone rischiano la vita. I volontari lasciavano di nascosto pacchi umanitari nei boschi, fuori dalla “zona rossa” istituita per non far avvicinare nessuno al confine, compresi giornalisti e operatori umanitari.

Secondo le disposizioni della Convenzione di Ginevra ogni persona in fuga da persecuzioni e violenze dovrebbe avere il diritto a un rifugio sicuro. Malgrado ciò, Il governo polacco ha preso la decisione di prorogare il divieto di ingresso nelle zone di confine con la Bielorussia dal 2 marzo fino al 30 giugno 2022, estendendo la permanenza della “zona rossa”.

La Siria undici anni dopo

La Siria devastata dalla guerra cominciata più di un decennio fa non si può più nemmeno chiamare “Paese”, di quello che c’era allora non è rimasto quasi niente. Sono rimaste solo le ragioni per cui sono iniziate le proteste del 15 marzo 2011, ed è rimasto al potere il regime di Assad, vincitore della guerra, ma che si ritrova oggi un paese che di fatto non esiste più.

Sono oltre 6,5 milioni gli sfollati interni e altrettanti profughi. Questi ultimi sono concentrati nei Paesi confinanti con la Siria. Secondo l’Onu oltre 3,5 milioni sono in Turchia, circa 1 milione in Libano e oltre 700mila in Giordania. Importante anche la fuga verso la Germania e la Svezia, dove si trovano oltre 1 milione di rifugiati. La forte recessione dell’economia siriana, l’aumento dei prezzi, il tasso di disoccupazione elevato hanno portato ad un grande aumento dell’insicurezza alimentare. Il conflitto ha devastato la vita di una generazione di bambini che conoscono solo la guerra e che vivono con la paura quotidiana di perdere i loro cari. Un altro problema importante è quello della disparità di genere e l’aumento delle violenze contro le donne.

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