Per quanto ci si illuda che l’arte sia immortale, esistono dei mezzi espressivi che risentono più di altri dello scorrere del tempo.

Ciò è dovuto principalmente a fattori tecnici e tecnologici ma, a volte, anche il mutare del contesto storico e sociale rispetto a quello dell’epoca in cui l’opera è stata sviluppata svolge un ruolo importante nella percezione di un prodotto come “vecchio”.

Il mondo videoludico negli ultimi anni sta vivendo letteralmente una inondazione di remake di titoli del passato più o meno recente, tanto che i giocatori, ma anche la stampa specializzata, iniziano a domandarsi se non siano poi troppi.

Anche il cinema sembra soffrire di una cronica mancanza di nuove idee. Sono sempre più rare le sperimentazioni e le sale sono riempite da saghe infinite dell’universo Marvel o da remake di film usciti solo qualche anno prima.

REMASTERED E REMAKE

Per provare a sottrarre un’opera dalle grinfie del tempo, si può ricorrere alla restaurazione o la rimasterizzazione, un procedimento che tende a salvaguardare l’integrità artistica e stilistica del prodotto originale riproponendolo però “tirato a lucido”.

In alternativa si può ricorrere al remake ovvero il rifacimento totale dell’opera.

In questo caso, a differenza della rimasterizzazione, si riparte completamente da zero ricreando in ogni sua parte il prodotto. Parlando di videogiochi dunque, un remake consiste nella modellazione di nuovi personaggi, scenari, asset, texture (ecc…).

Nella maggior parte dei casi l’opera è un rifacimento 1 ad 1 di quella originale ma con una qualità grafica ed estetica al passo con i tempi. È il caso ad esempio di Demon’s Souls Remake, gioco originariamente pubblicato su Play Station 3 che ha avuto nuova vita grazie ad un colossale lavoro di remake ad opera di Blue Point Games

In altri casi il divario tecnologico rispetto al prodotto originale è incolmabile con un semplice rifacimento estetico. È quindi necessario mettere mano anche al comparto del gameplay, dando vita ad un’esperienza di gioco completamente nuova che dell’opera d’origine mantiene soltanto scenari, trama e personaggi.

L’esempio più alto in questo senso è senza ombra di dubbio il remake di Resident Evil 2.

Uscito originariamente nel lontano 1998 (all’epoca della prima Play Station, per capirci), l’opera di Capcom è rimasta impressa nei cuori e nelle menti dei videogiocatori che ne attendevano con ansia una riproposizione.

Le meccaniche di gioco originali però prevedevano un sistema di movimento del personaggio scomodo già per l’epoca e assolutamente improponibile per gli standard attuali (i cosiddetti “tank control”).

Il remake ha senso e funziona perché va a svecchiare completamente questa formula adattando il gioco ai comandi di movimento a cui siamo abituati nei moderni giochi in terza persona.

Allo stesso tempo vengono rimossi i fondali pre-renderizzati e sostituiti con un mondo di gioco modellato in 3 dimensioni dando al videogiocatore la possibilità di muovere liberamente la visuale.

REMAKE CINEMATOGRAFICI

Anche il cinema fa da tempo immemore ricorso a questa tecnica con la quale riportare sul grande schermo opere del passato riadattate ai tempi moderni o rivisitate dal regista dando loro una nuova chiave di lettura.

Per questo medium il ricorso al rifacimento è più frequentemente collegato al cambiamento storico/sociale che a quello dell’invecchiamento dei mezzi tecnologici.

Nel cinema internazionale a fare da padrone è stata ed è ancora Hollywood, per questo motivo è frequente avere a che fare con produzioni di altri paesi che vengono riproposte in salsa USA.

Per fare un esempio in tal senso potremmo citare Mou gaan dou (Internal Affairs) non vi dice nulla? E se invece vi nominassi la sua controparte statunitense, The Departed con la magnifica “I’m shipping out to Boston” dei Dropkick Murphys come colonna sonora?

Un caso eloquente dell’importanza dello “svecchiamento” nel cinema è senza dubbio Scarface di Brian De Palma.

Ebbene sì, anche in questo caso stiamo parlando di un remake, sebbene sarebbe meglio dire che si tratti di un riadattamento, più che di un rifacimento, del film omonimo del 1932.

Chissà quanti di noi, me compreso, non avrebbero probabilmente mai avuto l’occasione di gustare questo capolavoro se non ne fosse stato realizzato un remake.

REBOOT

Un altro modo di riproporre sotto nuove vesti un prodotto del passato è quello del Reboot, termine con il quale ci si riferisce ad una ripartenza, un nuovo inizio.

I reboot sono quei titoli che riprendono un prodotto del passato, ne portano lo stesso nome, gli stessi personaggi ed ambientazioni ma le ripropongono in maniera differente magari dando loro una nuova trama.

È quanto accade con saghe molto longeve che, però, nel tempo hanno perso il loro appeal o che si sono andate ad impelagare in trame troppo complesse che non lasciano più molto margine di interesse narrativo. Un nuovo inizio, con una trama originale ma con personaggi già noti al pubblico possono rappresentare una ventata di aria fresca.

Per il mondo videoludico possiamo prendere ad esempio la saga di Tomb Raider, le avventure della famosissima esploratrice Lara Croft che dopo una striscia di successi tra il finire degli anni ’90 e i primi del 2000 aveva visto la fama del suo brand in forte calo.

Nel 2013 gli sviluppatori hanno deciso di ripartire da zero rilasciando un gioco intitolato per l’appunto “Tomb Raider” e hanno messo le basi per una nuova saga di Lara Croft.

Al cinema assistiamo molto più spesso a reboot, sia perché i diritti di questo o quel brand non sono legati ad una specifica casa produttrice (come invece avviene per i videogames) sia perché registi e sceneggiatori preferiscono lavorare su materiale proprio piuttosto che continuare lavori altrui.

Negli ultimi anni nelle sale sono usciti una marea di reboot: la saga di Halloween, quella di Nightmare; passando per Jumanji; senza dimenticare le varie interpretazione dell’uomo pipistrello (il Cavaliere Oscuro di Nolan e The Batman di Matt Reeves) o Diabolik dei fratelli Manetti.

RISCHIO ECONOMICO ELEVATO E FASCINO DEL PASSATO

Lo sviluppo di un videogioco ad alto budget (cosiddetti titoli tripla A) richiede un investimento economico sempre più ingente.

Questo a causa del fatto che nei team di sviluppo lavorano sempre più persone, gli strumenti e i software sono più sofisticati e costosi. Bisogna poi contare le spese per gli attori per il motion capture, il doppiaggio, la localizzazione, la distribuzione e soprattutto la pubblicità del prodotto stesso.

L’industria videoludica allo stesso tempo è diventata una delle più remunerative, toccando picchi di guadagno clamorosi con GTA V (costato 137 milioni di dollari) che nel 2018 è diventata l’opera d’intrattenimento più remunerativa di sempre (6 miliardi di dollari). Un dato che andrebbe aggiornato al 2022 considerando che il gioco ha continuato a vendere molto ed è stato riproposto, ancora una volta, sulla nuova generazione di home console.

Non tutte le ciambelle escono con il buco però e non tutti gli studi di sviluppo possono permettersi di investire al buio cifre così importanti senza la garanzia di un rientro economico.

Proporre una remastered, un remake o un reboot fornisce la certezza di conoscere già i gusti dell’utenza riguardo a quello specifico brand, il che permette di sapere, in linea di massima, cosa aspettarsi in termini di vendita.

È un modo per andare sul sicuro prendendo un rischio calcolato al costo però di sacrificare l’originalità della proposta.

Il successo di queste operazioni nostalgia si fonda su due principali fattori:

  • La percezione, negli utenti, che i prodotti del passato fossero di qualità migliore e più affascinanti rispetto a quelli presenti
  • La nostalgia della propria infanzia di molti di coloro che negli anni ’90 erano bambini e oggi, da adulti, hanno un potere di acquisto che gli consente di investire in prodotti che li facciano tornare con la mente a quei tempi.

Sotto alcuni aspetti è un piacere poter rimettere le mani su titoli del passato rimessi a nuovo grazie alle nuove tecnologie che rendono giustizia anche a delle idee che, per limiti tecnici, erano state realizzate un po’ superficialmente.

L’altra faccia della medaglia è però un vero e proprio abuso di questa strategia commerciale che porta con sé il desiderio delle software house di spremere quanto più possibile i propri brand al fine di ricavare il maggior tornaconto con il minimo sforzo.

A farne le spese sono gli utenti oltre che l’arte stessa.

Pensiamo soltanto, per rimanere in casa Rockstar games, al remake della trilogia GTA III; GTA Vice City; GTA San Andreas, un prodotto a dir poco imbarazzante sotto tutti i punti di vista.

IL TROPPO STROPPIA

Le operazioni nostalgia hanno riscosso grande successo, al punto tale che quasi tutte le case di sviluppo hanno deciso di buttarcisi a capo fitto.

Ecco un elenco, senza pretesa di esaustività, delle remastered e dei remake degli ultimi anni, tanto per dare un’idea della quantità di riproposizioni:

Crash N’sane Trilogy; Spyro Reignited Trilogy; Medievil; Mafia; XIII; Mass Effect Legendary Edition; Final Fantasy VII; Tony Hawk Pro Skater; Pokémon Mistery Dungeon; Alan Wake; ecc…

Si è arrivati addirittura a proporre nel 2022 la versione rimasterizzata di Life is Strange Before the Storm la cui data d’uscita originale risale addirittura al 2017!

E per il prossimo futuro non sembra previsto un cambio di rotta, sono già in fase di sviluppo ad esempio i remake di Dead Space e Max Payne.

La quantità comincia ad essere eccessiva.

UNO SGUARDO ALL’INDIE

Ben vengano le riedizioni di capolavori del passato quando questi progetti sono frutto di un’evoluzione tecnica, di un lavoro certosino di ottimizzazione e riadattamento del gameplay.

In questo modo le nuove generazioni possono riscoprire perle del passato e i vecchi videogiocatori possono rivivere esperienze note in chiave moderna.

Quando però si tratta solo di operazioni commerciali, fatte anche male, non si può che storcere il naso e domandarsi che fine abbia fatto la voglia di stupire e far sognare che dovrebbe caratterizzare lo sviluppo di questo tipo di prodotti di intrattenimento.

Una boccata di aria fresca la si prende osservando la vastità di sviluppatori indipendenti (Indie) che continuano a sfornare capolavori e piccole perle al riparo da questo marasma commerciale.

Titoli indie come Hollow Knights, Limbo, Cuphead, Celeste, Undertale, The Binding of Isaac e soprattutto Minecraft hanno dimostrato che si può avere successo pur essendo originali e dirompenti.

Basta avere delle ottime idee e sapere sviluppare in maniera semplice ma efficace, un concetto molto semplice che la grande industria sembra aver dimenticato.

Una lezione che è stata certificata anche dal successo ai The Games Awards 2021 del videogioco semi-indie It Takes Two che è stato in grado di compere e surclassare tutti i titoli tripla A usciti nello scorso anno grazie proprio alla sua originalità e varietà nello stile di gioco.

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