Nell’alta Valle del Sagittario è situato un piccolo borgo che affonda le proprie radici storiche fin dal Paleolitico. Tuttavia, le prime abitazioni risalgono all’età dei metalli. Scanno (deriv. dal latino scamnum, “sgabello”, poiché poggia su un rilievo che rende il paese visivamente simile a uno sgabello), è attualmente un borgo di circa 1700 abitanti, in provincia dell’Aquila e a quasi un’ora di auto dalla cittadina di Sulmona. Vi sono anche altre teorie sull’etimologia del nome, ma ho riportato qui quella maggiormente accreditata.
Sappiamo con certezza che il borgo era abitato già in epoca romana attraverso dei ritrovamenti di epigrafi e statuette rinvenute nel territorio del comune. Molti di questi reperti sono ad oggi conservati nel Museo della Lana, nel centro storico di Scanno. È nel XII secolo che il borgo assume le forme che appaiono ai nostri occhi: durante il medioevo, più precisamente all’epoca della lotta per le investiture, Scanno inizia ad accogliere abitanti provenienti dalle località circostanti. Questo processo di urbanizzazione è frequente e peculiare in tutta Italia, fenomeno che dà origine alle realtà urbane definite Comuni.
Fu sotto il controllo di Rinaldo di Sangro (XIII secolo) prima e di suo figlio, il conte di Anversa, poi che Scanno assume i caratteri di un importante borgo nel centro d’Abruzzo. Tuttavia, è solo dopo la metà del XVI secolo che il borgo ottiene un’apparente indipendenza come vero e proprio Comune quando acquista (spendendo in un primo momento 5600 ducati a Bernardino di Sangro e in un secondo momento 4800 per ottenere i feudi di Jovana e Collangelo).
Anche Scanno conobbe il fenomeno del brigantaggio: nel 1807 Giovanni Ventresca di Introdacqua, borgo limitrofo, uccise a Frattura il prete di Villalago, Luigi De Nino. Altre bande utilizzano come rifugio l’Altopiano delle Cinquemiglia e occasionalmente invadono i centri vicini. Uno di questi briganti, Antonio Casparoni, scrisse nella sua cronaca “Mia vita di brigante” le imprese del suo capobanda Michele Magari, quando, nel 1821 riesce a penetrare a Scanno, ma un massaro avvertendo i gendarmi costrinse Michele e i suoi briganti alla fuga. Il brigantaggio nel territorio subì una brusca frenata grazie alle gesta quasi eroiche del carabiniere Chiaffredo Bergia nel 1862.
Scanno e l’età contemporanea
Durante il ventennio fascista, il comune scannese subì una violenta decrescita demografica a causa di una pesante emigrazione verso le Americhe. Con un decreto del 1936 dichiarò illegale l’emigrazione, fatto che fece stabilizzare la popolazione del borgo a circa 5000 abitanti.
Così scrive Guido Calogero, illustre scrittore e pensatore italiano che soggiornò a Scanno durante la seconda guerra mondiale: «Il vostro – stavo per dire il nostro – paese non ha sofferto per la guerra, a paragone di tanti altri. Tuttavia è rimasto tagliato fuori da ogni comunicazione stradale; ha rischiato il pieno isolamento annonario, ha visto gran parte dei suoi cittadini abbandonare le proprie case per andare a cercare nelle lontane pianure della Puglia». In seguito, anche l’allora partigiano Carlo Azeglio Ciampi si rifugiò a Scanno per un periodo di circa sei mesi.
La posizione geografica del paese, rese Scanno uno snodo importante per le varie stazioni di rifornimento naziste situate lungo la Linea Gustav che, partendo da Cassino fino a Ortona, passava necessariamente anche per il borgo abruzzese. Fu per tale motivo massiccia la presenza tedesca nel territorio scannese: nel 1943 operarono ripetuti rastrellamenti per ottenere manodopera da utilizzare per il lavoro di logistica presso le già citate stazioni di rifornimento. Tra i rastrellati figura anche il mio bisnonno Annibale di Marco, tenuto lontano dalla sua famiglia almeno fino alla fine del conflitto.
Il nuovo millennio
Ad oggi Scanno è un borgo ridimensionato, a iniziare dalla popolazione. Ho citato i numeri demografici attuali e dell’inizio del XX secolo e possiamo notare come il numero di abitanti censiti nel 2021 siano il 34% rispetto a quello risalente al 1936. In meno di 90 anni le cose sono cambiate in tutta Italia: lo svuotamento dei borghi a favore delle città rende sempre più preziose le tradizioni secolari dei piccoli paesi sempre più abbandonati. Scanno ha una tradizione importante che risale almeno all’epoca medievale. I suoi abitanti fanno di tutto per mantenerla e renderla ancora viva, rinnovandola ogni anno, ma da una tradizione di borgo, identitaria e comunitaria, si sta arrivando a un fenomeno turistico. Si pensi ad esempio a “Ju Catenacce”, attualmente considerata una festa tradizionale che permette al paese di raggiungere le 10mila persone durante la settimana dell’evento (ogni 14 agosto), ma nient’altro non è che un corteo nuziale di origini antichissime e rispettabili: testimonianze ci giungono nitide dal 1765 da Romualdo Parente nel suo poema in dialetto scannese “Zu matremuónie a z’euse”. Un esperto delle caratteristiche essenziali è Pasquale Caranfa, custode delle tradizioni scannesi nel XXI secolo.
Il turismo è dunque il primo strumento di ricchezza per le varie amministrazioni comunali, maggiormente rivolte storicamente al centro-sinistra, che si susseguono nel tempo. Nell’ultimo periodo si è cercato di fornire ai turisti delle valide proposte di trekking con il Sentiero del Cuore, giungendo fino al belvedere sul Lago di Scanno, famoso in tutto il mondo per la sua forma a cuore, appunto.
Localmente si praticano l’agricoltura e la pastorizia, come a dire che nulla è cambiato dall’epoca romana, quando in realtà tutto è cambiato. I giovani cercano possibilità lavorative nelle grandi città come Pescara, L’Aquila, Roma, Milano; altri si muovono addirittura verso l’estero, dirigendosi a Londra o in Germania. In pochi sono coloro che tornano.
Conclusioni
Lo svuotamento dei borghi in Italia è un fenomeno sempre più ricorrente. A causa della globalizzazione, dell’alto tasso di disoccupazione e del desiderio di cercare fortuna altrove, i giovani si allontanano, almeno geograficamente, dalle proprie radici, lasciando le sorti del paese di provenienza a un destino incerto e triste. Ritengo ci sia, in questo fenomeno, una matrice filosofica da rintracciare in Martin Heidegger: il pensatore tedesco parlava ne “La questione della tecnica” di un abbandono e conseguente ignoranza concettuale dell’Essere, preferendo i sistemi automatici e macchinosi dei processi tecnici. Cosa c’entra questo con la nostra questione? La ricerca di un lavoro “tecnico”, automatico, come può essere ad esempio un lavoro da ufficio, fa dimenticare l’essenza della natura, luogo dove risiede l’Essere, dove il Tempo si ferma e al tempo stesso scorre, come un fiume, e si eleva, come il vento, nella Realtà delle Cose.