Cosa è successo: Seni seviyorum: l’amore sulle rive del Bosforo (prima parte)
Seni seviyorum: l’amore sulle rive del Bosforo (seconda parte)
È mattino abbastanza presto al quartiere Balat: l’alba opaca e scialba, che confonde i colori con un velo di nebbia sottile, si è già dissolta da un po’, lasciando il posto ad un cielo limpido e così azzurro che sembra essere stato depredato dagli ampi spazi della foresta lappone, per concedere qualche ora di purezza all’aria della città, prima che si riempia di smog.
I raggi del sole, che rilucono nel cielo scevro di imperfezioni, sono decisi, ma tradiscono la loro veste invernale: la temperatura è rigida, come ogni anno a febbraio, eppure, dopo giorni biancastri di nevicate intermittenti, vogliono comunicare che una parte dell’inverno è ormai alle spalle e che la primavera non tarderà ad arrivare; la neve per le strade si è sciolta in fretta, lasciando ai bordi soltanto un po’ di poltiglia fangosa.
Come al solito, Ilker ha aperto la sua bottega di buon’ora, poiché sa che i turisti migliori, i più curiosi, sono degli instancabili mattinieri: dopo aver spazzato davanti all’ingresso e messo l’acqua a bollire per il suo abitudinario tè alla vaniglia, sfrutta al meglio la luce solare che, proprio tra le otto e le dieci, illumina completamente il minuscolo negozio.
Con tutte quelle lampade artigianali appese all’interno, i riflessi luminosi si moltiplicano senza l’ausilio dell’elettricità: non c’è condizione più privilegiata per poter lavorare e Ilker ne approfitta per continuare a spezzare e perfezionare quei frammenti di vetro che andranno a comporre la prossima lampada, questa volta dedicata alle mille sfumature del verde, intersecando gradazioni che vanno dallo smeraldo al menta, dall’erba al foresta.
In queste ore preziose, l’atmosfera circostante è quasi surreale, distante dal fragore metropolitano; il silenzio pervade la via ed è interrotto solo da qualche discreto rumore, ulteriormente ovattato dalla sonnolenza: le finestre che, poco alla volta, si aprono per accogliere il buongiorno, qualche portone che, invece, si chiude dietro chi esce per andare a scuola, a lavoro o, semplicemente, a fare una passeggiata contemplativa.
Si ode il garbato stridio delle saracinesche che si alzano, dal tabaccaio al fruttivendolo, che sistema sul bancone scatole, appena scaricate, di olive dell’Anatolia e di vari tipi di frutta secca, mentre alcune signore dalle ampie sottane e con il grembiale sporco di passata di pomodoro lavano il marciapiede vicino alle loro dimore con acqua e varechina.
I gesti quotidiani diventano più piacevoli grazie a quel sole che, nonostante il rigido abito invernale, elargisce senza risparmiarsi un tepore avvolgente, richiamando allo scoperto ogni creatura: tra lucertole e passerotti infreddoliti, anche Kemal e Mustafà escono a godere dei serici raggi sulla pavimentazione stradale già intiepidita, fino a sdraiarsi e a lasciarsi andare a languide e feline contorsioni.
Ilker aveva cominciato a lavorare da nemmeno venti minuti ed ecco arrivare i primi turisti: una giovane coppia si guarda attorno felice, i loro passi sono pacati ma entusiasti, forse per quel rigenerante sole mattutino o perché hanno deciso di intraprendere un itinerario più tranquillo prima di immergersi nella folla del Viale dell’Indipendenza.
I due ragazzi notano quasi subito la bottega del sapiente artigiano e, affascinati dalle composizioni vitree ancora più lucenti delle sue lampade, si avvicinano e restano a fissarle come se queste ultime li avessero ipnotizzati: Ilker riesce a risvegliarli e, nonostante il suo inglese imperfetto, presenta la storia e la realizzazione dei suoi piccoli capolavori; alla conversazione si aggiungono sorrisi genuini ed educate affermazioni di circostanza.
Elsa e Julian, di Amburgo, dopo aver condiviso tante mostre d’arte, giornate trascorse al giardino botanico della città ad ammirare giochi d’acqua e fioriture di rose e pomeriggi uggiosi a leggere Mann e Goethe, si sono fidanzati ufficialmente da un paio di settimane e, per festeggiare l’evento, hanno deciso di fare il loro primo viaggio insieme: la scelta del luogo è ricaduta per entrambi sulla città di Istanbul, attratti dall’identità speziata del Medio Oriente, innestata su una mai sopita cultura occidentale.
Elsa e Julian desiderano assaporare sulla propria pelle una salsedine che sia diversa da quella del Mare del Nord, uno spirito marinaro differente dalla pesca selvaggia delle aringhe e dal richiamo della vicina Scandinavia.
I due giovani tedeschi non tardano ad acquistare una lampada da portare a casa: optano per una multicolore, forse la più evocativa, che maggiormente incarna l’indole di quel momento speciale, di quel luogo ricco di quiete a pochissima distanza dal tripudio della modernità; è come possedere un pezzo di arcobaleno da poter accendere in qualsiasi occasione, anche nelle giornate buie di noia, freddo, stanchezza.
Ilker prende un quotidiano, che riporta la data di tre giorni prima, e comincia ad incartare il manufatto; mentre sovrappone almeno quattro strati di fogli, a fatica riesce a staccare lo sguardo da Elsa e Julian: si lanciano occhiate telepatiche e ridono con garbo, gesticolano appena, commentano chissà cosa in un tedesco incomprensibile.
Nel frattempo, la gradevole visione dei due fidanzatini si incontra con un altro elemento di distrazione: i panni stesi su un filo tirato tra due imposte dirimpettaie sventolano come fieri stendardi, rafforzando ancor più l’indole sincera e identitaria del contesto.
Il bucato fresco e profumato, ormai quasi asciutto, simulacro di semplicità nel cuore antico di Istanbul, fa entrare in scena quella tenue brezza, il cui morbido tocco sfida persino l’abbraccio accogliente del sole.
I due ragazzi, lontani dall’aria tagliente di uno dei porti più grandi d’Europa, hanno finalmente il privilegio di sentire la carezza gentile, il soffio aereo del Mar di Marmara con tutta la sua salinità, intanto che si mescola al refolo del rigido vento balcanico; quest’ultimo pare non voler disturbare l’attimo presente, come se esso, con la sua tenue nenia di lenzuola spiegazzate e sbuffi tra le persiane, fosse foriero di nuove scoperte su infiniti mondi reali e fantastici.
Fruscii, sciabordii, il mondo naturale comunica, rilassa, risveglia, rievoca, stimolando riflessioni e memorie, si fa portavoce di epifanie e avvertimenti: essi sono difficili da cogliere perché nascosti tra le pieghe della normalità ma, una volta individuati, è impossibile non cedere al fascino della ricerca di una loro sublime interpretazione.
Anche Ilker cede al ricatto dell’istante multisensoriale moltiplicatore di immagini e la sua memoria inizia improvvisamente a viaggiare, collegando il presente con il passato e con un’ambientazione parallela forse inventata: il processo di un collegamento multiplo tra persone, luoghi e sensazioni si è ormai innescato.
Continuando ad incartare con cura la lampada, l’artigiano narratore si prepara a divulgare la sua storia, ispirandosi in parte anche ai suoi teneri clienti, i cui profondi occhi azzurri gli aprono nuovi confini letterari.
Dopo aver finito di avvolgere la preziosa creazione, invece di riscuotere il pagamento dai due turisti Ilker rifiuta quello sbrigativo congedo: ormai assuefatto dal moto ondeggiante del bucato sospeso sulla strada, mescolato alle effusioni delle acque salmastre e alla bellezza della sua clientela, si lascia andare alle libere parole, unione di umanità vissuta infarcita di dettagli tanto realistici quanto inventati; egli, per amore dei suoi racconti, riesce a superare anche la sua atavica diffidenza per l’inglese.
“Cari ragazzi, nonostante l’età, la mia mente non smette mai di confondere la vita vera di tutti i giorni con quegli improvvisi salti dell’immaginazione: essi mi permettono di viaggiare in più dimensioni spaziali e temporali, valicando il confine di una consuetudine troppo noiosa da non poter essere costantemente aggirata e arricchita di pause in altre liberatorie atmosfere.
Chissà perché, eppure alcuni periodi dell’anno si prestano meglio a questo gemellaggio estemporaneo di sogni e realtà: oggi, per esempio, pur essendo inverno, anche se gli avallamenti dell’asfalto nascondo ancora i postumi di una nevicata recentissima, il cielo è azzurro come le vostre iridi innamorate; il clima, soprattutto nelle ore centrali della giornata, tradisce un desiderio precoce di primavera, tanto da indurre al risveglio un geco frastornato e fioriture di mimose troppo in anticipo per la festa della donna.
Siamo a febbraio, tradizionalmente considerato un mese invernale, ma ormai annoverato tra i pionieri dell’afflato primaverile: un mese che vuole scrollarsi l’inverno di dosso, sempre più luminoso, così distante dai giorni bui dell’Avvento.
L’aria frizzante è ambasciatrice di una rinascita imminente e culla di pensieri sulla propria esistenza, di nuovi progetti e idee da concretizzare in un futuro vicinissimo, quali segni di ottimismo e prosperità.
Capita molto spesso di ritrovarsi a riflettere in quei tempi definiti “morti”, ma non esiste classificazione più errata: in questi istanti si raccolgono quelle riflessioni che celano un’autostima determinante per qualsiasi azione successiva.
Gli istanti scorrono ma non consumano, si dilatano e forniscono energia alla mente infervorata ma, all’apparenza, a riposo, che nasconde gelosamente gli stimoli ricevuti dall’esterno; il corpo si attiene allo stesso indifferente comportamento, per dimostrarsi isolato dalla vita circostante.
Una figura umana tra tante resta immobile sul molo: è incorruttibile, chiusa in sé, nell’intransigenza di un sogno da finta dormiente; si avvicinano timidamente i flutti del Bosforo, i motori insistenti delle navi, l’odore scortese dei panini al pesce.
Özge apre gli occhi, azzurri e vivaci come quelli di Elsa e Julian: reduce dal suo piccolo dissidente universo, è pronta a riconnettersi con il mondo, spaesata ma speranzosa, gettata nella confusione che avverte dentro e fuori; una sola congruenza forse saggia e sufficiente, forse ingiusta e passibile di miglioramento…”
Direttore responsabile: Claudio Palazzi