Cosa è successo:
Seni seviyorum: l’amore sulle rive del Bosforo (prima parte)
Seni seviyorum: l’amore sulle rive del Bosforo (seconda parte)
Seni seviyorum: l’amore sulle rive del Bosforo (terza parte)
“Il molo di Eminönü, traballante punto di congiunzione tra Oriente e Occidente, è deserto, stranamente deserto. Laddove transitano e si incontrano, ogni giorno, migliaia di persone, adesso regna la desolazione, nonostante l’ora di punta: pochi, sparuti individui attraversano la zona a passo svelto, lo sguardo diffidente e guardingo, attento ad evitare anche la minima vicinanza con l’altro, il volto in parte coperto da uno spesso scialle.
Le banchine, sempre assiepate di gente, ora vedono scivolare nel vuoto la brezza che lambisce il Corno D’Oro; il sole riflette la sua vacua eco sui vetri delle biglietterie semichiuse delle compagnie di trasporto: come la vita umana, rallentano le acque prive dei sobbalzi delle imbarcazioni e soltanto i gabbiani, con i loro poderosi battiti d’ali, con i loro richiami acuti, provano a riempire quello spazio così inaspettatamente ampio, insolito.
L’uomo che vende i simit in prossimità del molo, assonnato, con la testa reclinata, pare quasi inebetito dal frastuono del silenzio che lo circonda: ai suoi piedi, alcuni passerotti beccano indisturbati i semi di sesamo caduti dalle ciambelle, sembrano meravigliati per l’assenza del solito calpestio giornaliero; a poca distanza, gli uomini della polizia municipale controllano la situazione, richiedono ai passanti le generalità e se la motivazione della loro presenza in quel posto è giustificata.
L’aria sa di paura e preoccupazione, un vago odore di disinfettante soppianta persino il benefico effluvio del mare, percorre i viali del quartiere con i negozi dalle saracinesche abbassate; chiusi nelle proprie abitazioni trasformate in prigioni, i cittadini alienati osservano dalle finestre il mondo esterno, come fosse un luogo ignoto: gli occhi spaesati viaggiano in ogni direzione, dal cielo alla strada devastata dalla solitudine e dall’incertezza, fino a chiudersi a guisa di frontiere e confini invalicabili…
Finalmente Özge riapre gli occhi dall’incubo assurdo, accolta da un respiro affannoso e da un mal di testa causato dallo stress di una riflessione malvagia quanto involontaria; ella non ama la folla, il caos spesso ingestibile di un’esistenza legata al rapporto con una società che spesso non la comprende: ha bisogno di momenti di profondo isolamento mentale, di quiete e di distacco dal clamore umano.
Eppure, appoggiata alla balaustra che delimita il molo, immersa nella sua usuale lontananza dalla realtà, si rende conto di non poter fare a meno di osservare quel vivace crocevia, quell’andirivieni frenetico e felice di gente ricca di impegni, ma anche di sogni prossimi alla realizzazione: c’è chi ha un importante incontro di lavoro, altri sono pronti per salpare verso nuove mete.
Proprio in questa cruciale e frizzante zona di scambio, in bilico tra due continenti, Özge stessa si sente protesa tra due universi, ancorata alla sua terra natia e, contemporaneamente, proiettata verso nuove frontiere, alla scoperta di luoghi colmi di odori, di forme, di colori ancora sconosciuti; per Özge non c’è privilegio più grande: la possibilità di viaggiare, di circolare liberamente tra città, nazioni, continenti, senza avere paura di ammalarsi, di morire, muoversi senza ostacoli alla conquista pacifica di frontiere, costruendo una propria interiorità in perenne divenire… per poi tornare a casa con un bagaglio di ricordi imperituri.
La ragazza ha fatto solo un brutto sogno: la vita gaudente e curiosa è proprio lì, davanti a lei, nelle sue più multiformi espressioni, impaziente di accogliere e di conoscere, in un continuo moto di passi, di battiti, di liberi respiri.
Özge, immobile sul bordo del molo, si prende del tempo per riflettere, per accumulare tutte le energie di cui necessita per riprendere a scorrere, con serenità, nell’emozione incontenibile di un viaggio concreto; chiude nuovamente gli occhi, ma, questa volta, rimane connessa con l’esterno tramite l’udito, analizzando doni e fastidi che giungono alle sue orecchie: venendo meno la vista, ancor più acuta è la confusione, la mescolanza di suoni, voci, grida, lingue differenti e incomprensibili, non più calibrate dalla forza, in parte chiarificatrice, delle immagini.
Una babele indistinta di rumori e vibrazioni sonore diffonde un insieme complesso di messaggi e di quesiti, ai quali è difficile trovare una risposta: si impone un’incomunicabilità più criptica di decine di silenzi, una sovrapposizione di idee, opinioni e pensieri tra cui cogliere ciò che serve, ma anche ciò che nobilita e distrae dalla bieca legge del quotidiano…”.
Ilker, infervorato dalla giusta ma un po’ prolissa digressione, che ha allentato il ritmo scenico del suo racconto, si prende una breve pausa: Elsa e Julian lo guardano mentre manda giù un generoso sorso di tè, per placare la gola secca, e si asciuga la fronte imperlata di sudore con un fazzoletto fresco di bucato e di lavanda; entrambi sono stupefatti ma compiaciuti e non esitano a chiedergli di continuare nella sua filosofica narrazione.
“Perdonatemi se, ogni tanto, mi lascio andare ad improbabili speculazioni esistenziali; tuttavia, in questo determinato frangente storico, avverto l’esigenza di riconsiderare tutte quelle piccole e semplici libertà che spesso l’umanità dà troppo per scontato…
Ma torniamo alla nostra protagonista: Özge, dopo aver superato quel brusco risveglio, si lascia cullare dagli stimoli sensoriali che le giungono dall’esterno e, di nuovo ad occhi chiusi, sente ancora più piacevoli e preziosi il tocco della brezza del Mar di Marmara, il singhiozzo delle onde che si infrangono sulle imbarcazioni, l’aroma divino della cannella e dello zucchero caramellato dei baklava…
Una voce la distoglie dalla sua attiva contemplazione: Özge apre definitivamente gli occhi perché Engin, il venditore ambulante di baklava, con il vassoio carico di quei dolcetti lucidi e zuccherosi, la sta salutando, come ogni mattina, in quell’angolo di Istanbul assolato e portatore di venti lontani.
Prodigo di sorrisi e gentilezze, Engin le offre una delle sue prelibatezze, ma non una qualsiasi: aveva preparato apposta per lei non il classico dolce a rombo, ma un baklava speciale, a forma di cuore, con una colata aggiuntiva di cioccolato fondente e una generosa guarnizione di granella di pistacchio «Visto che devo sempre preparartelo a parte perché non vuoi il burro, ho deciso di modificarlo un po’ nell’aspetto e nel gusto» afferma il ragazzo con modestia «almeno provo a distoglierti dalle tue peregrinazioni mentali!».
L’interlocutrice risponde con un fugace sorriso: la sua è un’anima allegra ma solinga, non le piace essere disturbata, ma, in questo caso, apprezza il gesto non solo per la bontà indiscussa del baklava, ma anche per la cortesia del ragazzo, una virtù troppo rara per non essere, anche minimamente, ricambiata; alla fine, emozionata e lusingata, non può fare a meno di arrossire.
Engin, prima di riprendere il giro di turisti e cittadini, fa compagnia ad Özge mentre si gusta la sua merenda; entrambi osservano in silenzio un traghetto che sta per raggiungere la sponda asiatica, poi rimangono ipnotizzati dalla Maiden’s Tower, dalla sua imperturbabilità di fronte a turisti, flotte nemiche, guarnigioni imperiali e cortei reali che hanno formato una sfilata ininterrotta lunga secoli, un movimento incessante quanto lo scorrere della natura e della discutibile evoluzione umana.
Nella luce chiarissima e palingenetica del sole che pervade l’etere, una piccola gattina nera si fa notare: Özge non è la prima volta che la incontra e la prende subito in braccio, senza che il piccolo batuffolo dagli occhi smeraldo opponga resistenza; il suo manto scuro quanto l’ossidiana è ancora più lucido in una giornata già stupenda e abbacinante.
La ragazza pensa che la gattina abbia solo pochi mesi ma, purtroppo, non ha mai visto né la mamma né degli ipotetici fratellini nei paraggi: arriva a mattino inoltrato, si fa coccolare per un po’, infine se ne va chissà dove, tanto giovane ma molto sicura delle sue scelte feline.
«Tenendo conto della bel tempo foriero di ottimismo, ho deciso di approfittare della tua pazienza» sentenzia Özge, rivolgendosi con timidezza ad Engin «accompagnami a comprare un panino con il pesce per la gattina, poi ti lascerò andare» conclude ironicamente.
Il tizio grassoccio con i sandwich imbottiti di pesce è a pochi metri da loro. «Allora, piccola Şafak, cosa preferisci: tonno, salmone o merluzzo?» domanda Özge alla gattina; la fanciulla non ha occhi che per quella creatura: non smette di accarezzarle il mento, di giocare con le sue zampine, quasi si è dimenticata di Engin il quale, a sua volta, non fa che osservare Özge mentre si preoccupa amorevolmente per la bestiola.
«Vedo che non hai perso tempo a darle un nome» si intromette il ragazzo, con timore di disturbarla.
«È stata un’illuminazione improvvisa: Şafak è l’alba, l’alba di un giorno diverso, un nuovo inizio» Özge comincia ad argomentare «è come se l’arrivo di Şafak nella mia vita
voglia comunicarmi che qualcosa di bello e inaspettato sta per accadere… a partire dalla sua dolce presenza».
L’immaginazione della ragazza ha già ripreso a viaggiare verso chissà quali località parallele, pensieri novelli o irrisolti… ma pensa anche al presente concreto: stringe a sé la gattina, che mangia voracemente i bocconi di merluzzo dalle sue mani, poi sminuzza il pane ormai smembrato e lo getta ai piccioni e ai gabbiani.
«Se vuoi… possiamo fare un giro a Sultanahmet oggi pomeriggio: mi prendo mezza giornata» propone Engin tutto d’un fiato. «Ovviamente porta anche Şafak con te, andiamo tutti e tre insieme. E poi… andiamo a cenare in uno dei ristorantini lungo il Bosforo».
Engin aveva tirato fuori tutto il suo coraggio per fare quella proposta, ed era riuscito nell’intento, dopo giorni ad attendere l’attimo perfetto; Özge non si è minimamente accorta della fatica del ragazzo nel pronunciare quelle fatidiche parole, ma il suo buonumore la rende, senza sforzi, ben disposta ad accettare un invito così educato e sincero: adora passeggiare per il centro storico.
Entrambi, ognuno a modo suo, proveranno, in questa giornata dalla veste primaverile, la propria piccola grande gioia e troveranno la giusta direzione, un altro tratto di strada nella chilometrica dispersione del vivere.”
Direttore responsabile: Claudio Palazzi