La pena di morte, ancora in vigore in molti Paesi, è applicata per reati molto diversi tra loro, che vanno da quelli più gravi, come il genocidio, a quelli che nelle democrazie non sono neanche considerati come tali: stiamo parlando per esempio del reato d’opinione, per il quale fu giustiziato Socrate nel 399 a. C. Da allora alcuni Paesi hanno fatto passi da gigante con l’obiettivo di raggiungere la libertà di pensiero, in altri chi sta al governo ha tuttora una mentalità molto chiusa, così da far vivere in una condizione di perenne angoscia e terrore.
Socrate, filosofo dell’antica Grecia, nasce ad Atene nel 470 a. C. Dopo circa quarant’anni, la città è impegnata nella guerra del Peloponneso, che termina nel 404 a. C. con la sua sconfitta e con l’instaurazione del regime dei Trenta Tiranni, ma dopo pochi mesi ritorna la democrazia. Socrate entra in politica nel 406 a. C. diventando membro della Bulè, il Consiglio dei Cinquecento. I democratici al governo lo perseguitano, poiché ritenuto troppo vicino ai Trenta Tiranni. Viene accusato di empietà, avendo portato nuove divinità nella città, e di corruzione dei giovani. In verità, Socrate praticava la maieutica, l’arte del far partorire: come le levatrici facevano nascere bambine e bambini, così lui faceva nascere le menti di coloro che dialogavano con lui, sia che fossero grandi sofisti sia che si trattasse di semplici individui. Erano soprattutto i giovani che avevano il piacere di parlare con il filosofo, il quale insegnava loro la verità, che gli altri pensavano già di conoscere. Invece si trattava di semplici opinioni, che Socrate metteva in discussione attraverso il dialogo. Insegnava alle persone che per raggiungere la verità bisognasse partire da un’unica certezza: la consapevolezza di non sapere e solo in seguito era possibile scardinare le false verità. È proprio per questo che fu considerato “scomodo” da chi stava al governo, in quel periodo caratterizzato da corruzione e mancanza di competenza. Nel 399 a. C. il filosofo venne condannato alla pena capitale, che all’epoca consisteva nel bere una sostanza velenosa, la cicuta. Socrate era ben cosciente del fatto che se “avesse riconosciuto la propria colpa”, avrebbe potuto salvarsi la vita, ma preferì morire in nome della libertà.
La pena di morte è ancora presente in 53 Paesi. In alcuni di questi si applica per reati quali omicidio, rapina, stupro, traffico di droga. In altri, anche per il reato d’opinione – come l’abbandono di una religione, per incesto e omosessualità.
In Italia è stata in vigore fino al 1889, per essere poi ripristinata durante il periodo fascista, precisamente a partire dal 1926. Dopo la caduta del fascismo rimase soltanto per i reati fascisti, di collaborazione e militari. Infatti, tra il 1945 e il 1947 furono giustiziate 88 persone che avevano collaborato con i Tedeschi. Questa fu l’ultima volta che in Italia si applicò la pena capitale. La sua abolizione definitiva avvenne nel 1948 con l’entrata in vigore della Costituzione italiana. Nel 1994 la pena di morte venne esclusa anche nel Codice penale Militare di Guerra e sostituita con l’ergastolo.
La pena di morte, secondo alcuni, non dovrebbe essere abolita, perché per atti come l’omicidio la reclusione in carcere non basterebbe. Essa è considerata l’unico strumento per abbattere il tasso di criminalità e per educare gli individui a non commettere gli stessi errori di chi è stato giustiziato. Nel passato, in base alle diverse culture, esistevano varie tipologie di pena capitale: la crocifissione, l’impiccagione, la sedia elettrica, la fucilazione, l’annegamento, la ghigliottina, la decapitazione, il colpo di pistola sulla nuca, il rogo e molte altre. Secondo altri lo Stato non dovrebbe abbassarsi allo stesso livello di chi viene giustiziato, macchiandosi del reato più grave in assoluto, l’omicidio.
Dovrebbe, invece, assicurare il diritto alla vita ad ogni singolo individuo. Chi ha commesso un reato deve essere educato, così da poter reintegrarsi in società. Non esiste ancora uno studio, inoltre, che provi la riduzione del tasso di criminalità grazie alla pena di morte, poiché l’eliminazione di soggetti pericolosi fungerebbe da deterrente a possibili nuovi crimini. C’è anche da dire che la pena di morte infligge molto dolore alle persone vicine alla vittima e potrebbe essere applicata erroneamente ad innocenti.