Somalia: Lo stato che non c’è

La Somalia è un paese africano che si trova nell’ovest del continente nero. Si affaccia sull’Oceano Indiano e il Golfo di Aden. Confina con il Kenya, l’Etiopia e il piccolo fazzoletto di terra noto come Gibuti. La presenza somala è cospicua in questi stati confinanti. La peculiarità della popolazione, è che è divisa in clan e sottoclan che vanno ben oltre una semplice definizione etnica. I principali sono Hawiye, Darod, Issaq, Rahanwein, Dir e Digil. La religione praticata è quella islamica. La nazione è stata una colonia italiana dal 1905 fino alla seconda guerra mondiale. A quel punto, l’Inghilterra, che aveva ottenuto come protettorato la parte nord conosciuta come Somaliland, se ne appropria e la governa per meno di dieci anni. L’Onu, nel 1949, concede all’Italia l’amministrazione fiduciaria del territorio somalo. 10 anni per condurre i somali verso l’indipendenza. Nello stesso periodo, nasce la Somali Youth League che si struttura come partito ed è un movimento indipendentistia. E’ fortemente contraria alla decisione Onu, appoggiata invece dai filo-italiani. Decisione che provoca manifestazioni, cortei che provocano la morte di molti italiani e alcuni somali. E’ del 1956 la creazione di un Assemblea legislativa somala per la creazione di una Costituzione. La Somalia è una repubblica dal 1960 e comprende anche la zona del Somaliland. Aden Abdullah Osman è il primo presidente e verrà confermato con un referendum per 6 anni. Il ruolo del premier è svolto da Abdirashid Ali Scarmarke. Il periodo di tranquillità è brevissimo. Solo 4 anni dopo, comincia una guerra con l’Etiopia per la regione dell’Ogaden, e con il Kenya per il territorio del North Frontier District. Sono zone abitate da cittadini somali e c’è il desiderio di unire tutti i popoli in uno solo stato unitario. Il 1969 è un anno chiave. E’ tempo di campagna elettorale, decine di partiti si presentano. Il clima è violento, vengono uccise 50 persone nei giorni che precedono il voto. Il presidente Ali Scarmarke perde la vita per mano di un poliziotto al suo seguito. Passano sei giorni e un generale prende il potere, arresta il primo ministro e scioglie il Parlamento. Si chiama Mohammed Siad Barre al suo regime viene dato nome di Repubblica di stampo socialista. Non sono tollerati formazioni partitiche e la Costituzione diventa carta straccia.  Barre si è formato nell’Arma italiana e non è un dettaglio. L’Italia riconosce la nazione. Il somalo assume lo status di lingua ufficiale nel 1973, pur già parlato dalla popolazione locale. In politica estera il regime conduce il paese nella Lega Araba e stringe rapporti con l’Unione Sovietica tra il 1974 e il 1978. Da quest’ultimo legame, prende forma l’idea di un Partito Socialista rivoluzionario somalo, l’unico a concorrere in elezioni plebiscitarie.  La conquista dell’Ogaden è un pallino anche per Barre e la Somalia torna in guerra con l’Etiopia. Qui succede l’imprevedibile. L’Urss si schiera con gli etiopi e rovescia le sorti del conflitto. I somali cercano l’appoggio degli Stati Uniti che concede aiuti militari e umanitari. In cambio, la base di navale di Berbera passa agli statunitensi, dopo il periodo russo. La situazione economica non è delle migliori. Le nazionalizzazioni e l’intervento statale fanno sprofondare il paese che si regge solo sull’aiuto occidentale. Non mancano siccità e conseguente crisi del settore agricolo. Barre aumenta la sua forza repressiva verso le opposizioni che nei territori del nord si armano. Sono gli anni 80′ e con l’Etiopia si giunge ad accordi nel 1988. La dittatura termina nel 1991. Le truppe ribelli, capitanate dal generale Mohamed Farah Hassan Aidid , conquistano Mogadiscio. Siad Barre scappa prima in Kenya e poi in Nigeria.

LA GUERRA CIVILE

Nemmeno il tempo di chiudere l’era Barre e subito parte una guerra civile. Ali Mahdi e Aidid si contendono i territori. Entrambi facevano parte del Congresso della Somalia Unita, organo politico e militare. Mahdi viene eletto presidente dopo la caduta di Barre, nel gennaio 1991.  Aidid si ribella a questa scelta e scatena le proprie milizie. Nel frattempo, il Somaliland si autoproclama stato indipendente, per opera del Somali National Movement del clan Issaq. La presidenza Mahdi viene riconosciuta a livello internazionale fino al 1995. Si comincia a parlare di Warlords, Signori della guerra. Sono capi clan che si finanziano tramite traffici di droga, armi, saccheggi e mercato nero. Fame e morte sono all’ordine del giorno. Un anno scorre e 14.000 persone periscono, i feriti arrivano ad oltre 27.000. L’Organizzazione della Nazioni Unite interviene. Usa e Italia sono chiamate all’azione. Restore Hope e Operazione Ibis sono le missioni che dovrebbero cambiare la situazione ma ciò non avviene. Lo straniero è malvisto dalla popolazione e le missioni Onu falliscono miseramente. Il generale Aidid, che aveva cacciato Barre, guida alcuni attacchi contro gli americani e i caschi blu. Per tutta risposta, gli Stati Uniti ritirano le proprie truppe. Lo stesso fa l’Italia, che ha subito decine di defezioni e la morte della giornalista Ilaria Alpi e del suo operatore. E’ il 1994. Dopo 24 anni non sappiamo ancora chi sia il colpevole. Alpi indagava su traffici di rifiuti e armi. L’Onu getta la spugna definitivamente nel 1995, abbandonando il paese con la sua operazione Onusom. Aidid è riconosciuto capo del governo dai suoi alleati locali e a livello internazionale solo dalla Libia. Muore nel 1996 e gli succede il figlio. La diplomazia internazionale non riesce a sedare gli scontri. Aggravati dall’epidemia e le inondazioni del 1997.  Nel frattempo, la regione del Puntland, nord-est somalo, segue l’esempio del Somaliland e proclama l’autonomia, pur riconoscendo il governo centrale. Il conflitto tra i milizini pro Aidid e quelli di Mahdi terminano nel 1998. Le zone che comprendono Mogadiscio e dintorni vengono unite nell’amministrazione del Benadir. E’ un atto favorito dai signori della guerra che ottengono così benefici territoriali. Benadir viene sovvenzionata da Egitto, Libia ed Italia. 

Un Governo Nazionale di Transizione (GNT) è favorito dalla comunità internazionale nel 2000 con la Conferenza di Arta. La situazione non si placa affatto, a nord e sud le fazioni sono scontente. Altre conferenze hanno luogo fino al 2004. Si percorre la strada di un Governo federale con presidente, ad interim, Abdullahi Yusuf Ahmed. L’esecutivo viene varato a Nairobi in Kenya e nel 2005 si insedia a Boidoa nel sudest del Paese. Questo sta ad indicare come fosse forte il controllo dei clan a Mogadiscio. Si elegge anche l’Assemblea parlamentare transitoria. La base rappresentativa comprende i 4 clan maggiori che contano in maniera uguale, per le minoranze rimane lo 0,5 dei posti. Il 2006 vede la creazione dell’Alleanza per la Restaurazione della Pace e contro il Terrorismo. E’ prerogativa dei signori della guerra che tentano di bloccare l’influenza islamica nel paese, cercando di procacciarsi l’aiuto degli Usa. Ottengono l’effetto opposto. Le Corti islamiche, appoggiate dalla popolazione somala, prendono il controllo della zona centro-meridionale e arrivano fino a Mogadiscio, delegittimando il governo. Tentano di imporre la sharia, legge islamica, ma la popolazione si oppone, quindi mantengono solo un controllo politico. Meno di un anno dopo, l’Etiopia da una mano alla Somalia. Riconquista la capitale e gli islamici si spostano a sud dove si organizzano nell’Alleanza per la Ri-liberazione della Somalia, coadiuvati dal governo eritreo. Le Corti si rifugiano anche in Eritrea e Yemen, continuando la loro lotta con i soldi dei paesi arabi.

Nel 2008 si cerca un accordo con la parte islamica moderata. L’ex leader delle Corti, Sheik Ahmed assume l’incarico di presidente. Le frange estreme si riorganizzano nella cellula terroristica Al-Shabaab. In estate, le zone del Galgudud e Mudug si uniscono nello Stato indipendende di Galmudug. Ulteriore frammentazione di uno stato ormai fuori controllo da tempo.  Le violenze e gli scontri non cessano. Periodico è l’intervento dell’Etiopia e l’invio di soldati da parte dell’Onu. Gli etiopi, cattolici, hanno il timore di un’avanzata islamica che utilizzia la Somalia come base per fare proselitismo in altre nazioni africane.  Il presidente Yusuf ammette che il governo controlla solo le città di Mogadiscio e Baidoa. L’avanzata islamica è inarrestabile e si spinge verso la capitale. Nel febbraio del 2010, Al-Shabaab tenta di impadronirsi del palazzo presidenziale a Mogadiscio. Inoltre, sabota l’operato dell’Onu, vietando la fruizione degli aiuti alimentari. Un contingente della Unione africana riesce a cacciare i terroristi nel 2011 ma non da tutte le regioni somale. Il governo cambia annualmente ministri e alleanze politiche. Nel 2012 viene redatta la nuova Costituzione. La nazione esce dal periodo di transizione ed è riconosciuta come Repubblica federale di Somalia.

Il nuovo parlamento è composto da 275 membri e Sheikh Mohamud presidente. Le elezioni parlamentari sono indirette. 135 anziani dei clan scelgono i parlamentari che poi a loro volta decidono il presidente. Il rischio, in questo sistema, è la compravendita di voti.  I primi ministri che si susseguono fino al 2014, governano per un anno solo senza dare continuità amministrativa. Nel 2014 Ali Sharmarke è premier per 3 anni, un record. Gli Stati Uniti riconoscono lo stato somalo dal 2013 e hanno  stanziato 2,4 miliardi di dollari per la ricostruzione post-conflitto. Al-Shabaab non molla la presa, frequenti sono gli attentati e l’uso della sharia contro le donne. A fronteggiare questo pericolo, oltre all’Etiopia, si inserisce il Kenya. L’intervento kenyota è punito dall’attentato al centro commerciale Westgate Mall di Nairobi del 21 settembre 2013.

 Nel 2016 le elezioni a suffraggio universale, da tempo annunciate, non si tengono per motivi di sicurezza. Le Assemblee statali scelgono i membri della Camer alta e quelli della Camera bassa. I delegati sono 14.025 persone, meno dello 0,2 per cento della popolazione. I membri dei clan fanno ancora la voce grossa nella scelta.

Arriviamo lentamente al 2017.  A febbraio è nominato nuovo presidente della Repubblica Mohamed Abdullahi Mohamed, soprannominato Farmajo. Il voto parlamentare che lo ha designato, avviene in un hangar dell’aeroporto di Mogadiscio. Alla sua elezione la gente somala è scesa in strada per festeggiare, vedendo in lui un salvatore ed unificatore. “Quest’uomo non solo ci porterà finalmente il buon governo, ma sarà anche capace di unificare i somali” , riportano le cronache di quel giorno. Anche se qualche critica gli è stata mossa poco dopo. Specie nel caso dell’estradizione, senza processo, di un cittadino somalo verso l’Etiopia. Paese contro cui aveva combattuto nel 1977, rimanendo ferito.

Distintosi nel ruolo di ambasciatore somalo negli Stati uniti negli anni 80, Mohamed non è nuovo in politica. Si ricorda la sua breve esperienza di primo ministro nell’ottobre 2010. Stimato dalla popolazione, fu vittima della diatriba tra il presidente Sheikh Ahmed e il presidente del Parlamento Sharif Hassan. Il motivo del contendere era la data delle elezioni che si dovevano tenere nell’Agosto 2011. Ahmed voleva posticiparle mentre Sharif si opponeva, pensando ad una candidatura. A quel punto, si decise di formare un nuovo governo e indire le elezioni nel 2012. La popolazione stimava a tal punto Farmajo che scese in piazza a manifestare in sua difesa. Ci furono scontri e proteste, anche da parte della comunità somala all’estero. Il presidente Ahmed, ritirò l’accordo il 28 giugno prima del voto in Parlamento ma aveva già fatto dimettere Farmajo, prolungando di un anno la legislatura.

ATTENTATO DEL 2017

L‘attentato del 14 ottobre è stato definito l’11 settembre somalo. Al-Shabaab ha ucciso più di 300 persone. Due esplosioni in zone differenti di Mogadiscio. Un’autobomba è esplosa vicino all’hotel Safari, un’altra esplosione è avvenuta nel quartiere della Medina. Centinaia anche i feriti. La campagna social IamMogadishu ha voluto sottolineare il silenzio dei media internazionali, rispetto ai casi di Manchester e Londra. L’attività terroristica, dunque, non si è mai fermata.

ULTIMI SVILUPPI

Nel dicembre 2017, il Site, sito che monitora l’estremismo islamico sul web, da notizia di un video che attesterebbe la presenza di combattenti Isis in Somalia. Per la maggior parte disertori di Al-Shabaab, nella zona del Puntland. Un’inchiesta della CNN rivela, invece, come la cellula Al-Shabaab continui ad ottenere i soldi degli aiuti della comunità internazionale. La tecnica prevede posti di blocco ai commercianti locali che vendono beni di prima necessità agli sfollati. Questi ultimi ricevono aiuti per 80-90 dollari al mese. L’Onu ha stimato in 5000 dollari al giorno il bottino dei terroristi, specie nei pressi della città di Baidoa. Un altro sistema prevede pedaggi per chi trasporta cibo. I terroristi hanno annunciato, nel maggio di quest’anno,  di aver lapidato una donna, colpevole di essersi sposata 11 volte senza divorziare. Come se non bastasse a fine maggio c’è stato in Somalia, il passaggio del ciclone Sagar che ha causato decine di vittime. Il 9 giugno, un soldato americano è stato colpito dal fuoco dei terroristi ed è deceduto. L’attacco è avvenuto nel Jubaland, regione del sud somalo. In quella zona, era presente un contingente di 800 somali e kenioti che, coadiuvati dalle forze Usa, combattevano la minaccia fondamentalista.

Considerazioni finali

Negli anni, il clima di anarchia ed instabilità ha operato un revisionismo nei confronti della dittatura di Barre. Luciano Pollichieni, ne parla in un acuto testo per conto dell’Alpha Institute of Geopolitics and Intelligence. Prova a confutare l’idea l’idea che sotto il regime, non c’erano clan a controllare il territorio. Sottolinea, infatti, come Barre abbia stretto un’alleanza col clan Darod per mantenere un controllo politico. In più, il tentativo di ampliare i confini mise in subbuglio gli abitanti del Somaliland. La guerra “di conquista” portò il paese alla bancarotta e già negli anni 80′ l’economia venne portata avanti dall’intervento straniero; Russia e Usa a seconda del periodo. L’impossibilità di mantenere i servizi essenziali per i cittadini, li rese disponibili a rivolgersi ai clan. Da qui l’avvento dei signori della guerra, padroni di zone e milizie. Alex De Waal definisce questo sistema “mercato politico”. Ovvero un luogo in cui lo stato centrale è debole e altri personaggi usano la forza per ottenere una posizione di dominio e obiettivi politici. Pollichieni, spiega anche il termine “failed state” cioè stato fallito. Uno stato che ha perduto la forza di controllare i propri territori, fallisce. Secondo lui, nel caso della Somalia, il potere non è sparito del tutto ma si è trasferito in altri soggetti. Sarebbe quindi lecito definirla “regione a potere decentrato”, in associazione con lo studio di Haidén che parla di  “sistema nascente di stati”.  I clan, in certi casi riescono persino a cooperare. Per esempio nei periodi di siccità. Il concetto di stato fallito, può essere utilizzato a vantaggio delle nazioni che si introducono in quel territorio. Il Kenya, per esempio, oltre a motivazioni religiose, è anche interessato ad una posizione predominante nel Corno d’Africa. Il ricercatore e professore italiano all’Università di Nottingham, si concentra anche sul ruolo del terrorismo e della criminalità nella nazione di cui ci siamo occupati. Si fa riferimento al trattamento di rifiuti tossi, contrabbando e pirateria. Le due rotte principali di questi fatti,  riguarderebbero l’Oceano Indiano e Sahel, zona che comprende parecchi stati africani tra deserto, savana e mari. In quest’ultima parte, si attesta il commercio di droga che giunge dall’Asia.  Un esempio di compenetrazione tra le varie componenti è quello del porto di Chisimaio. I militanti di Al-Shaabab, lo usavano per i loro rifornimenti e traffici. I pirati come porto sicuro. Si arriva, infine, a teorizzare una legittimazione dei clan. “Il riconoscimento dell’autorità dei singoli clan su alcune porzioni di territorio, potrebbe portare a una situazione di cogestione del potere tra imprenditori e capi dei clan con l’ausilio della comunità internazionale”.

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