Myanmar, i Rohingya stranieri in patria e la mano dei militari

Breve storia del Myanmar

Myanmar, i Rohingya stranieri in patria e la mano dei militariIl Myanmar è uno stato del Sudest asiatico. Storicamente, i primi gruppi a stabilirvisi sono i Mon, che provenivano dalla Cina. Nel IX secolo, giungono i birmani. Una certa importanza ottiene il Regno Pagan, nato nell’849 e che prende il nome dalla capitale. La scure dei mongoli segna la fine di questo periodo e della capitale Pagan, menzionata da Marco Polo nel suo libro “Il Milione”. Una cospicua riunificazione avviene nel secolo 17. Da sempre la zona è stata un melting pot di etnie e religioni. Per la maggior parte, troviamo buddisti ma non mancano minoranze cristiane e musulmane, così come gli Indù. A fine 800′ la Gran Bretagna la rende una sua colonia, unendola all’India. Nel 1937 ottiene lo status di colonia indipendente. La capitale diventa Rangoon oggi Yangon. La seconda guerra mondiale causa l’occupazione del territorio da parte del Giappone. I nipponici nel 1943 favoriscono la libertà per il paese e mettono a capo del governo Aung San, nazionalista e comunista. Il carattere invasivo e i conflitti con la gente minano il rapporto di fiducia con i “liberatori”. Così, dopo alcune rivolte, sostenute dagli inglesi e dall’Esercito di liberazione birmana (BIA), la situazione torna com’era nel 1945. Lo stesso Aung San collabora con gli inglesi e lotta per vedere la sua patria fuori da ogni condizionamento estero. Viene assassinato nel 1947. Il 1948 è la data dell’indipendenza dagli inglesi e l’entrata della nazione nell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Nel 1961 U Thant, presidente birmano, ottiene la segreteria generale dell’Onu. Un anno dopo, attraverso un colpo di stato, sale al potere il generale Ne Win. Comincia l’era della dittatura militare. L’unica forza politica accettata diventa il braccio civile e politico del regime. Si chiama Partito per il Programma socialista della Birmania ed è l’unico autorizzato fino agli anni 90′.
Nel 1988, una rivolta popolare, causata dalla crisi economica, è repressa nel sangue e porta al comando un’altra forza militare. Si da vita al Consiglio di Stato per la Restaurazione della Legge e dell’Ordine e il nuovo presidente è Saw Meung. Dal 1989 la Birmania modifica la sua denominazione in Myanmar. Poco dopo, nasce la Lega Nazionale per la Democrazia, formazione politica che predica la non violenza. Il consenso per questo partito è garantito da una stretta alleanza tra popolo ed élite. Da una parte i monaci Myanmar, i Rohingya stranieri in patria e la mano dei militaribuddisti, dall’altra gli studenti. A farne parte Aung San Suu Kyi, figlia di Aung San e tra gli altri, il suo vice Thura Tin Oo. Tin Oo, ex generale dell’esercito birmano,era stato accusato di tradimento nel 1977 e tornato libero nel 1980. Le elezioni del 1990 sono le prime libere dal 48′. Si presentano molti partiti territoriali, la LND e il partito di governo. La LND ottiene l’80% dei consensi e 392 su 485 seggi. Le consultazioni sono presto annullate dalla giunta militare che non si aspettava questi risultati. Gli oppositori politici vengono arrestati o viene imposto loro il silenzio. Suu Kyi viene condannata agli arresti domiciliari a Rangoon. Ottiene nel 1991 il Nobel per la Pace e ottiene un forte sostegno da parte della comunità internazionale. Al suo vice nel partito, erano stati dati 3 anni di galera nel 1989. Nel 1997 il regime cambia nome in Consiglio di Stato per la Pace e lo Sviluppo. Naypyidaw è la nuova capitale dal 2005. A ribellarsi nel 2007 per l’aumento dei prezzi sui beni di prima necessità, sono i monaci. Dopo elezioni farsa nel 2010, qualcosa cambia. Aung San Suu Kyi è libera e può candidarsi alle elezioni come deputata. Siamo nel 2012. Stravince. Il voto decisivo però è quello del 2015, la LND raggiunge i 291 seggi riesce ad eleggere il primo presidente non militare dal 62‘, Htin Kyaw.

Rohingya, senza patria in fuga

I Rohingya sono una popolazione musulmana di rito sunnita. Vivono per la maggior parte nello stato di Rakhine e nella sua capitale Sittwe. Forse la zona più povera del Myanmar. Ci troviamo nella parte nord-ovest del paese. Sono 1 milione i cittadini di etnia rohingya nel Myanmar. Ritengono di discendere da mercanti islamici stanziati dal Medioevo nella regione di Arakan, oggi chiamata Rakhine. Da sempre sono considerati illegali o bengalesi, dalle autorità e dalla componente buddista. La convinzione è che siano approdati nelle terre birmane solo dopo l’intervento degli inglesi e che quindi non siano autoctoni e degni di cittadinanza. Nel libro “The Rohingyas. Inside Myanmar’s hidden genocyde, Azeem Ibrahim mostra le tappe storiche che li vedono protagonisti. Nel VII secolo D.C. arrivano sulle coste occidentali, popolazioni islamiche e solo 2 secoli dopo buddiste. Arakan alterna periodi di indipendenza a quelli di subordinazione verso il regno della Birmania. Nel 1784 Arakan venne annessa ufficialmente alla Birmania. La regione viene conquistata dagli inglesi nel 1826 che a fine 800′ la includono nel territorio della nuova colonia della Birmania. Viene favorito un ampio flusso migratorio di lavoratori in ingresso dall’India e dal Bangladesh. Da qui l’idea che questo popolo sia straniero e immigrato. Ibrahim del succitato libro, documenta le prove di una presenza Rohingya precedente alla colonizzazione britannica. Il chirurgo Francis Buchanan, arriva in Birmania nel 1799 per conto della Compagnia delle Indie orientali. Qui, incontra una comunità “che da tempo è stanziata ad Arakan e si definisce Rooinga“. Lo stesso termine è presente nel Classical Journal del 1811. Un compendio di linguaggi parlati nella nazione, scritto in lingua tedesca da J.S.Vateri nel 1815, cita un gruppo etnico chiamato “Ruinga”.
Nonostante queste evidenze l’ex ambasciatore britannico Derek Tonkin, cita un censimento del 1826 voluto dal Regno Unito. In questo resoconto, non ci si riferisce direttamente ai Rohingya ma a gruppi di musulmani. In un report successivo, gli unici menzionati etnicamente sono i Kaman. Giunti nel 1660 dall’Afghanistan, fanno parte delle 135 etnie riconosciute nel 1982. La tesi è che questi ultimi documenti, siano stati redatti per ragioni pratiche e non c’era la necessità di fare troppe divisioni all’interno della società.

Negli anni 40′ i giapponesi perseguitano i Rohingya per la loro fedeltà al governo inglese. 100 mila sono i morti e 80 mila le persone che varcano i confini del paese per non tornare più. Raggiunta l’indipendenza nel 1948, il governo li vede con diffidenza. Nonostante ciò, mantengono il diritto di voto e ottengono (pochissimi) seggi nel Parlamento. Fino al 1965 si parla anche di un loro coinvolgimento nel Partito del programma socialista della Birmania. Le cose cambiano presto e lentamente. L‘Emergency Immigration Act del 1974, stabilisce rigidi criteri per la cittadinanza. I Rohingya possono aspirare solo a documenti per stranieri. Non è un caso che un milione di profughi musulmani raggiunga il Bangladesh in quel decennio. Con conseguenti rimpatri.

In questo arco temporale le forze di sicurezza cominciano ad usare la forza. In aperto spregio dell’Art. 2 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo, una legge del 1982 stabilisce la regolarità di 135 etnie e la successiva concessione della cittadinanza. Requisiti imprescindibili: fornire prova della presenza di generazioni prima del 1948 e saper parlare almeno una lingua nazionale. Sono ancora esclusi i Rohingya. Dopo le elezioni del 1990, i militari fanno costruire villaggi per cittadini buddisti nel Rakhine, usando terre e manodopera musulmana. La nuova Costituzione del 2008 non cancella la discriminazione. La situazione non migliora sotto la nuova dittatura del Consiglio di Stato per la Pace e lo Sviluppo che dura fino al 2011. Dopo la vittoria alle elezioni del 2015, molti speravano nell’intervento di Aung San Suu Kyi e del suo partito. Non è successo nulla. Altri esodi si sono succeduti, 168 mila nel 2012, nel 2016-2017 87 mila. Le condizioni di vita dei rifugiati non sono ottimali, tutt’altro. Pericolose sono le traversate verso la “libertà”. Sono praticati aspri respingimenti in paesi come la Malaysia e la Thailandia,  In quest’ultimo, abbondano i trafficanti di uomini. E’ del 2015 il ritrovamento di una fossa comune vicino ad un accampamento. Un report delle Nazioni Unite di Febbraio, menziona violenze e stupri su donne e bambini nel territorio di Maungdaw, Myanmar. “Le operazioni militari della Birmania contro i Rohingya sembrano applicare i principi della pulizia etnica“. Queste le parole di Zeid Ràad al Hussein, alto Commissario dei diritti umani delle Nazioni Unite. “Il governo birmano, che ha negato l’accesso ai nostri osservatori, fermi subito questa crudele operazione militare, sproporzionata e irrispettosa del diritto internazionale“. L’ASEAN, associazione che comprende gli stati del Sudest asiatico, è stata spesso interpellata a riguardo. L’ente però non interviene negli affari interni dei singoli stati perciò non può imporre decisioni.
I governi del Myanmar e del Bangladesh si sono accordati nel Novembre 2017 per il rimpatrio di 650 mila rifugiati in 2 anni. Nello stesso anno anche l’ONU ha cominciato delle trattative con la giunta. I tempi non saranno brevissimi. Sono necessarie strutture adeguate e si rende obbligatoria la possibilità di reinserire i rimpatriati nei loro luoghi di origine. Secondo il governo, l’accordo con l’organizzazione garantirà un “ritorno volontario in sicurezza e dignità”. Per ora, i rimpatriati vivranno in campi di transito. Permane l’idea che solo i Rohingya con i documenti necessari potranno tornare. Sentito dal Guardian, Knut Ostby, coordinatore umanitario di stanza nel paese, auspica che i cittadini musulmani vengano trattati da persone normali nella società e che possano avere un’identità. Coloro che hanno lasciato la nazione, non si fidano molto della compagine governativa. Hanno paura di nuovi scontri e di non trovare più le loro abitazioni.

Come riporta il Guardian, anche i Kachin sono discriminati. Parliamo di una minoranza cristiana che vive a nord, al confine con la Cina. Il conflitto con le forze armate ha inizio dal 1961, nello stesso anno si forma il KIA. E’ un’organizzazione militare simile all’ARSA. Da Aprile più di 6 mila villaggi sono stati attaccati.
San Htoi è membro della Kachin Women’s Association Thailand. Intervistata dalla testata inglese si è detta delusa. Le Nazioni Unite si stanno concentrando maggiormente sullo stato di Rakhine . E’ una guerra invisibile. Hanno lasciato il paese senza sapere dei Kachin“. La gente è costretta a lasciarele proprie case per motivi economici. L’area è ricca di miniere di giada che viene smerciata illegalmente e genera alti profitti. Hanna Hindstrom, che lavora per il Global Witness, è certa che i guadagni non arrivino mai al governo. Sono divisi tra i membri dell’esercito e i cinesi. Se non bastasse, il progetto per la costruzione di una stazione idroelettrica ha causato l’inondazione di alcune zone dello stato di Kachin. La città di Myitkyina è diventato il luogo in cui queste persone sono costrette a fuggire. Può considerarsi una località neutrale ed è la capitale . Altro riparo è la Cina. Nel 2015 Aung San Suu Kyi ha proposto un accordo per il cessate fuoco ma il KIA ha rifiutato, visto che la presenza armata è ancora costante.

Aung Sang Suu Kyi, dal carcere alle critiche

Figlia del generale Aung San. Nata nel 1945 a Yangon, capitale birmana. Studia in India, seguendo la madea ambasciatrice. Nel 1967, si laurea in Filosofia, Scienze Politiche ed Economia al St Hugh’s College di Oxford in Inghilterra. Lavora per le Nazioni Unite e poi si sposa con Michael Aris, con lui ha due figli maschi. Il ritorno in Birmania, è dovuto alla malattia della madre ma le permette di impegnarsi attivamente per il suo paese di nascita. Il tumultuoso anno 1988, la vede diventare leader della Lega nazionale per la democrazia, partito che ha contribuito a fondare. Il regime militare la condanna agli arresti domiciliari, dopo il voto del 1990. Quella che sembrava una misura temporanea, si prolungherà fino al 2010. Nel 1991 ha ricevuto il premio Nobel per la pace. La sua lotta non violenta, influenzata da Gandhi  contro la giunta al governo, ha trovato supporto nelle nazioni occidentali, tra queste gli Stati Uniti. Le pressioni internazionali le hanno garantito nel 1995 un attenuamento delle restrizioni. Fino al 2010 le ha negato l’espatrio, non può vedere i figli e il marito inglesi. Il coniuge muore di cancro nel 1999, Aung non può salutarlo per l’ultima volta. All’inizio degli anni 2000, ottiene la semi libertà ma dopo uno scontro a fuoco viene rimessa ai domiciliari. Dopo la fine della sua prigionia, riesce a candidarsi per un posto da deputata e a vincere con ampio margine. Le elezioni del 2015 vedono il trionfo del suo partito. Non può diventare primo ministro per un emendamento della Costituzione. Ha due figli con passaporto straniero. Norma strumentale, fatta apposta per delegittimarla. Dal 2016 è Ministro degli Esteri e dell’Ufficio del presidente. E’ anche Consigliere di Stato, carica creata per lei. Un modo per essere a capo, di fatto, del governo. Luc Besson, regista francese, ha dedicato alla sua vita il film The Lady.

Vista la situazione dei Rohingya e il suo immobilismo, l’Occidente le ha chiesto di intervenire. Ex premi Nobel hanno censurato il suo comportamento. Alcuni premi, come quello della città di Oxford per la Libertà le sono stati revocati dopo questi avvenimenti. “La nostra reputazione è macchiata dall’aver dato credito a chi ha chiuso un occhio nei confronti della violenza” hanno detto gli organizzatori. In un colloquio con la BBC, The lady, così ha argomentato sulle persecuzioni e sulla convivenza tra etnie. “Non sono preda della paura solo i musulmani ma anche i buddisti“. Nel 2017, ha visitato per la prima volta lo stato del Rakhine.”Vivete in pace, siamo qui per aiutarvi” avrebbe detto Suu Kyi alle persone che ha incontrato lungo il tragitto.

Nel suo discorso dopo la vittoria del Nobel, sognava di “creare un mondo libero per chi non ha speranza, per chi non a casa. Un mondo in cui ogni angolo diventi un vero santuario dove gli abitanti possano essere liberi e  vivere in pace.”  Per molti commentatori, come Bernard Guetta, l’atteggiamento silente sui diritti dell’etnia musulmana è dovuto al timore di rappresaglia da parte delle forze armate.Controllano ministeri di peso come quello dell’Interno e della Difesa. Potrebbe trattarsi anche di una tattica politica. La LND non vuole supportare apertamente una minoranza perché perderebbe l’appoggio dell’elettorato buddista e così i voti per restare al timone del paese.

L’ARSA

Si tratta di un esercito per la salvaguardia dei cittadini Rohingya. Sorto nel 2013, si è distinto per alcuni attentati a stazioni di polizia o giri di vita nei confronti di altre etnie. Per la prima volta, nel corso dell’Agosto 2017, l’ARSA ha risposto agli interventi delle forze di sicurezza con attacchi a posti di blocchio e stazioni di polizia. “Dicono di trattarci bene e di darci diritti ma non è vero. Non possiamo viaggiare di luogo in luogo, non possiamo aprire un’attività né iscriverci all’università”, ha detto ad Aljaazera uno dei suoi membri. Hanno molti modi per annientarci. Torturano, picchiano e umiliano. Per questo ci siamo ribellati.  I combattenti non hanno molta fiducia in Aung San Suu Kiy. “ Non ha mantenuto le promesse, noi pensavamo che ci avrebbe concesso i diritti che meritiamo. Alcuni credono ancora in lei, altri sono delusi. Ha ancora il potere di cambiare le cose.” Secondo Amnesty International, l’Arsa ha compiuto diversi massacri nel 2017. Rapimenti e uccisioni di 99 persone anche bambini, tutti di stirpe indù. La località colpita è Myo Thu Gyi, nella zona di Maungdaw . “Avevano coltelli e lunghi cavi metallici. Ci hanno legato le mani dietro la schiena e bendati. Ho chiesto loro cosa avessero intenzione di fare e uno di loro ha risposto, nel dialetto rohingya: ‘Voi e i rakhine siete la stessa cosa, praticate una religione diversa dalla nostra, non potete vivere qui!’ “Così un testimone sentito dalla tv qatariota.

Dure le reazioni  delle organizzazioni umanitarie.  Tirana Hassan, direttrice di Amnesty International per le risposte alle crisi, ha condannato gli atti dell’Arsa, puntando il dito anche contro la giunta. I feroci attacchi dell’Arsa sono stati seguiti dalla campagna di pulizia etnica condotta dall’esercito di Myanmar contro l’intera popolazione rohingya. La condanna dev’essere totale: le violazioni commesse da una parte non possono giustificare quelle commesse dall’altra. Ogni sopravvissuto e ogni famiglia delle vittime hanno diritto alla giustizia, alla verità e alla riparazione per l’immensa sofferenza che hanno patito“, ha precisato Hassan.  Ata Ullah leader del fronte armato su Twitter ha negato ogni accusa. 

L’ International Crisis Group,  sostiene che l’Arsa sia nata tramite il finanziamento di facoltosi cittadini del Pakistan e dell’Arabia Saudita. La fonte ha riferito al Washington Post che armi e denaro arrivano da cittadini del Golfo persico e dal Bangladesh. Cresce l’adesione in Birmania ma è anche causa di rappresaglie da parte del governo. Quindi in qualche modo si possono rilevare controproducenti perché favoriscono l’ideologia del regime che considera tutti i Rohingya terroristi. 

 

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