Le impervie alture che dalla parte orientale della penisola anatolica degradano verso la Mesopotamia sono il centro di una complessa vicenda che contribuisce ad aggrovigliare l’intreccio della questione mediorientale. Questa zona, dall’apparente scarso valore strategico, è teatro di una delle più aspre controversie di tutto il Medio Oriente. Da qui si dipana il problema del popolo curdo in relazione agli attori della regione. Un popolo che da decenni lotta perché venga riconosciuta la sua identità. Stati virtuali: la questione curda Direttore Claudio Palazzi
Le inospitale alture al confine tra Turchia, Siria, Iraq e Iran (più piccole porzioni di Azerbaijan e Armenia) sono meglio note come Kurdistan. Non stiamo parlando di una stato, ma di un semplice toponimo geografico che con il passare del tempo si è caricato di un significato politico, ideologico e geo-strategico. Una storia già di per sé troppo lunga e complicata per poter essere letta secondo una visione faziosa, rispondente alle sensibilità politiche più disparate.
Rivolte, repressioni, tentativi eversivi. Da qui la gramigna germogliata all’ombra di questioni politiche ben più incombenti. Perché tanto fervore da ambo le parti? Soprattutto, quali le parti in scena?
Si potrebbe semplificare la questione riconducendola alla legittima aspettativa da parte curda di uno stato riconosciuto. A opporsi gli stati nazionali sui quali il Kurdistan insiste. Pensando ai curdi, ci piace immaginare un popolo unito che combatte strenuamente per la libertà contro forze titaniche. Spesso però il tentativo di “romanticizzare” le cose finisce per semplificarle.
Il confine turco-siriano
Se ci si prende la briga di osservare la situazione più da vicino si rimane quasi smarriti, circondati da una marea di sigle dietro ognuna delle quali si cela un movimento, un partito, una corrente d’opinione. Il famigerato PKK è solo il più noto stemma di un universo politico più frammentato e talvolta in contrapposizione.
D’altra parte i curdi, pur vivendo da diversi secoli la medesima porzione di mondo, non potevano non risentire dei vari particolarismi sorti con la creazione degli stati odierni. Per quanto arbitrari e fittizi, i confini creati dall’uomo hanno finito per diluire le flebili tracce di un’unità curda. La particolarizzazione in atto da secoli si ravvisa, d’altronde, persino nelle varie espressioni in cui la lotta si declina. Infatti, sebbene si distinguano degli elementi comuni nei vari casi presi in esami, questa si svolge in tempi e modalità sempre diversi.
Radici storiche e caso turco
La maggior parte del Kurdistan è situata all’interno dei confini turchi, suddivisa in diciotto province della Turchia sud-orientale. Zona prevalentemente montuosa, ricca di numerosi minerali e, soprattutto, petrolio. Questo è il vero epicentro della questione curda. E’ qui che la violenza raggiunge i livelli più allarmanti.
Con il Trattato di Sèvres del 1920 le potenze occidentali accordano ai curdi la creazione di un Kurdistan indipendente. Ataturk, destinato a raccogliere i cocci dello sfacelo ottomano, ha altre idee. Più che alla costituzione di un organismo esterno e potenzialmente antagonista, egli vede nell’assimilazione la soluzione ottimale per la neonata Repubblica turca. Questo progetto, portato avanti con tenacia, arriva persino a negare l’esistenza stessa di una minoranza curda.
Dopo anni di attriti che vedono un sostanziale fallimento di questo progetto, giungiamo alla fine degli anni ’70. Ora, elementi di tensione pregressa si trasformano in scontro aperto. Una rivalità insanabile che finisce per sfociare in episodi raccapriccianti. Deportazioni, distruzioni di villaggi, omicidi e sequestri di giornalisti, arresti e torture. Questa la sanguinosa scia di delitti condannati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Macchie indelebili che ancora pesano sulla coscienza della Turchia, costretta a fare i conti con le proprie responsabilità.
Il Risiko ottomano
Intrappolata tra ambizioni neo-ottomane e aspirazioni a inserirsi nella UE, Ankara gioca attualmente una partita pericolosa all’interno della quali i curdi sono spesso vittime designate. L’obiettivo è semplice: guadagnare peso internazionale e, soprattutto, potere negoziale. La guerra civile siriana continua a protrarsi e, proprio a ridosso dei confini turchi, Isis e curdi si contendono il controllo di un paese incapace di ristabilire l’ordine.
La Turchia, celandosi dietro il pretesto della lotta allo Stati Islamico, può agevolmente intervenire contro i curdi, ritenuti una minaccia nel sud del paese. D’altra parte, la straordinaria posizione geografica della penisola anatolica risulta imprescindibile tanto ai russi quanto agli americani. Per questo motivo, Erdogan può permettersi di irritare alcuni massimi pesi senza troppe conseguenze.
Il caso siriano e l’esperimento di confederalismo democratico
Brevemente cerchiamo di ricostruire le vicende che hanno permesso a Erdogan di insediarsi al di là del confine turco-siriano. Dal 2012 le forze curde dell’YPG ( Unità di Protezione Popolare) sono molto attive nella lotta contra Daesh, impropriamente noto come Isis. L’YPG, approfittando dello stato di caos della Siria, riesce a ottenere un controllo de facto di alcune zone al nord del paese. Questa regione sotto amministrazione curda prende è definita Rojava.
Sarà bene ricordare che la questione curda in Siria è intimamente connessa a interessi superiori che la relegano in secondo piano. Su tutte, la lotta a Daesh, la necessita turca di avere una zona cuscinetto a nord della Siria, la volontà russa si accedere ai mari caldi attraverso i porti siriani e l’annosa questione relativa alla permanenza di Bashar al Assad.
Nonostante l’efficacia dimostrata dalle milizie curde nel combattere lo Stato Islamico, queste vengono fermate proprio da coloro che si prefiggevano di volerlo sconfiggere. La Turchia non può accettare difatti l’ingombrante presenza di una strutturata compagine curda nella zona cuscinetto che tanto sta faticando a realizzare. Erdogan inizia dunque a percepire i successi dell’YPG come un pericolo per i confini del suo paese. Decide allora di intervenire contro le milizie curde. Ambigua come sempre la posizione di Washington rispetto agli equilibri di quell’area.
Oltre la Mesopotamia: la lotta curda in Iran e in Iraq
Una Repubblica in Persia
Decisamente meno note sono le vicende curde in Iran. Anche qui, le peculiarità del rapporto tra i curdi e l’etnia di riferimento del paese, i persiani, è storia a sé, un unicum. In Iran abbiamo il caso singolare della Repubblica di Mahabad, iniziata nel 1946 sotto la guida del leader curdo Qazi Muhammad. Partecipe di questo esperimento è l’altra grande figura di riferimento della lotta curda, Mustafa Barzani, di origine irachena, già attivo negli anni ’30 in Iraq. La Repubblica si distingue per l’attenzione rivolta all’istruzione, all’identità curda e per il tentativo di dotarsi di tutti gli apparati funzionali a uno stato.
La breve e originale esperienza di Mahabad finisce quando i sovietici, protettori di Qazi Muhammad, smobilitano dall’Iran lasciandolo inerme di fronte al potere centrale. Da allora non assistiamo più a grossi moti di indipendenza. Attualmente i curdi iraniani sembrano contentarsi di chiedere una mera tutela culturale. Tuttavia, l’intransigenza del governo iraniano spinge molti curdi su posizioni di stampo jihadista e salafita.
Osserviamo, dunque, ancora una volta, l’impossibilità di ridurre il magmatico mondo curdo ad un’unica matrice. Se in Siria l’YPG curdo è stato e rimane in prima linea contro Daesh, in Iran si verifica un avvicinamento.
L’esperimento meglio riuscito
Infine concludiamo gettando un rapido sguardo sulla situazione curda in Iraq. Qui la lotta curda ha condotto alla nascita di uno Stato autonomo dal contorno più netto e definito. Un primo tentativo di resistenza assertiva risale all’intervento di Mahmud Barzani (leader curdo). Nel 1923 l’aviazione inglese bombarda i villaggi e le città che, dopo il Trattato di Sèvres, insorgono in nome dell’indipendenza.
La lotta autonomista si mostra rapsodica per tutto il XX secolo. Dopo violenti scontri e qualche vittoria, i curdi arrivano a un cessate il fuoco con il governo di Baghdad nel 1970. Molte le concessioni ottenute, tra cui il riconoscimento del popolo curdo come etnia e cultura. I curdi si stabilizzano su alcune regione dell’Iraq settentrionale, a eccezione delle aree con i maggiori giacimenti petroliferi.
Nel 1991 una “no fly zone” sull’Iraq istituita da Gran Bretagna e USA crea le condizioni per una maggiore autonomia anche se questa, nella sua forma più compiuta, è ancora lontana. Successivamente il territorio curdo finirà nel mirino della politica di Saddam Hussein, volta “all’arabizzazione” di alcune aree ricche di risorse, Kirkuk su tutte. Tuttavia, è proprio a seguito della guerra civile irachena e la caduta del raìs che queste problematiche trovano una parziale soluzione con la costituzione di uno Stato federale caratterizzato da un certo grado di indipendenza.
Intervista
Per chiarirci le idee ed evitare di esaminare gli eventi con uno sguardo eccessivamente eurocentrico, abbiamo deciso di allargare il nostro punto di vista. Per questo abbiamo chiesto a Murat Yildirim, nato nel sud-est della Turchia (nella città di Urfa) e cresciuto a Istanbul, di spiegarci le cose per come vengono percepite in Turchia, hub della questione curda.
Sappiamo che fino a qualche decennio fa in Turchia si respirava un clima di forte tensione tra curdi e turchi. Quali sono le differenze tra l’approccio di allora rispetto a quello odierno?
-La situazione per i curdi è sempre stata estremamente complessa. Il momento più critico inizia, però, intorno agli anni ’80, quando il PKK è stato identificato come gruppo terroristico. Questo perché la presenza curda era percepita dal governo come una reale minaccia all’equilibrio della Repubblica. E’ in quel periodo che vengono imposte le restrizioni più severe.
I curdi si videro negato il diritto di esprimersi nella loro lingua. Dichiarare apertamente la loro origine poteva esporli a gravi pericoli. Questo regime di terrore andò avanti per anni, fino agli anni ’90. Le discriminazioni non terminarono da un giorno all’altro, ma lentamente la situazione cominciò a migliorare. Attualmente, al di là delle aspirazioni di Erdogan, tra curdi e turchi non si avverte affatto tensione. I curdi sono ben integrati nel tessuto sociale.
Hai la sensazione che ci sia una sorta di pensiero condiviso tra i curdi in merito alla creazione di uno Stato autonomo?
-E’ difficile rispondere a questa domanda. I curdi sono distribuiti in maniera disomogenea, geograficamente parlando. La maggior parte si è stabilita nell’area a sud-est del Paese, ma molti vivono e lavorano nella zona occidentale. Per rispondere alla domanda bisogna prima fare una distinzione tra “curdi dell’est” e “curdi dell’ovest”. I primi credono fermamente nell’idea di un Kurdistan unito e riconosciuto. Nelle loro vene scorre il desiderio di rivalsa. Ho tuttavia la sensazione che l’approccio alla questione sia spesso più emotivo che pratico, soprattutto perché gli ideali vengono trasmessi di generazione in generazione.
Diversa è invece la visione di molti curdi che vivono perlopiù nella zona tutta a occidente della Turchia. Molti di questi, come già detto, sono perfettamente integrati nel mondo lavorativo e sociale turco. Garantiscono allo Stato un cospicuo contributo economico. Dunque, pur simpatizzando per la causa curda, rimangono distaccati da qualsiasi forma di lotta per la creazione di uno stato autonomo.
Spazio alle riflessioni
Da quanto visto si evince che senza il preliminare riconoscimento di un’identità curda, altra da quelle che tentano di assorbirla. La nascita di uno Stato curdo rimane una chimera. Un contenitore vuoto. Il riconoscimento di un’identità tutt’altro che monolitica, in grado di declinarsi e adagiarsi sulle entità statuali sulle quali poggia.
Qualora fosse mai esistito l’archetipo di un curdo, va ricordato che un curdo del confine siriano-iracheno non è sovrapponibile a un altro che vive nelle regioni occidentali della Turchia. A rendere questo nodo gordiano ancora più inestricabile, alle ambizioni curde va sommata la questione del Kurdistan come area geografica. Qui, le più stringenti e remunerative problematiche di sfruttamento delle risorse e dei giacimenti completano il quadro.
Va da sé che, per individuare i singoli fili di questa enorme matassa, occorre mettere a fuoco le differenze di ciascun caso, senza tralasciare le particolari istanze che si celano dietro la lotta per una grande causa comune.