E’ un vero e proprio braccio di ferro quello che attualmente vede protagonisti il Presidente del Consiglio Renzi e il leader della Cgil Camusso.

Le tensioni si sono inasprite negli ultimi mesi, arrivando alla rottura definitiva in questa fine di ottobre. L’incontro con il mondo sindacale del 27 ottobre è stato anticipato dalla conferenza storica della Leopolda, durante la quale il Premier non ha esitato a lanciare frecciatine alla sinistra democratica e al sindacato, restando fermo sulle sue convinzioni legate all’inutile ricorso alle manifestazioni per combattere il precariato. “Il posto fisso non esiste più. E questo è il risultato dei cambiamenti economici e sociali che hanno colpito la nostra realtà” pertanto fare appello all’art. 18, secondo le sue parole “risulta inutile e anacronistico”.

Il giorno seguente alla kermesse fiorentina di Renzi, si è tenuto presso il Ministero del Lavoro un incontro che ha visto contrapposte le principali forze sindacali e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio, insieme ai ministri Padoan (Economia), Poletti (Lavoro), e Madia (Semplificazione e P.A.). Susanna Camusso, leader della Cgil, lo ha definito “surreale”.

Il dialogo, che ha avuto ad oggetto la Legge di Stabilità, ha permesso al Governo di ottenere la fiducia delle imprese che hanno chiesto a gran voce di proseguire su questa linea in modo ancora più incisivo. Dello stesso avviso non sono state invece le risposte dei sindacati confederati,  in nome dei quali la Camusso ha espresso vivamente il proprio disaccordo osservando che “il Governo non intende neanche provare a misurarsi con le parti sociali” e che la riduzione degli oneri e dell’Irap per le imprese non darà l’inversione di tendenza tanto sperata per la ripresa dell’occupazione. Un orientamento ostile condiviso anche dalla Uil e dalla Cisl che risultano intenzionate a proseguire con la mobilitazione per giungere allo sciopero generale. Dura è stata al riguardo la replica del Premier Renzi il quale ha voluto sottolineare che “i sindacati non sono chiamati a fare trattative con il Governo e che le leggi si fanno in Parlamento”.

Le tensioni tra il Presidente del Consiglio e le organizzazioni del lavoro hanno raggiunto in questi giorni il culmine della loro intensità a seguito degli scontri del 29 ottobre a Roma tra la polizia e il corteo dei lavoratori della Acciai Speciali di Terni (Ast), impegnati nella loro lotta contro la chiusura e gli esuberi previsti nei prossimi mesi. La manifestazione è iniziata davanti all’ambasciata tedesca proseguendo poi verso il ministero dello Sviluppo economico e verso Piazza Indipendenza, dove  si sono verificati violenti scontri con le forze dell’ordine. La ThyssenKrupp si sta impegnando insieme al Governo a ridurre i licenziamenti annunciati dalla società tedesca per la controllata di Terni.

Il conflitto si è concluso con 4 operai feriti. “Quello che è successo è inaccettabile. Chi ha dato l’ordine è responsabile”, ha dichiarato il leader della Fiom,Maurizio Landini, presenta al corteo.

All’indomani degli scontri di Roma, il segretario generale della Cgil ha condannato fermamente gli episodi accaduti, invitando il premier ad “abbassare i manganelli dell’ordine pubblico”. Dopo diversi tentativi di dialogo intrapresi dal Governo, lo strappo si è reso definitivo: la Fiom ha così programmato due grandi manifestazioni nazionali di sciopero che si svolgeranno il 14 novembre a Milano e il 21 novembre a Napoli. A nulla sono serviti i tentativi di mediazione di Alfano e l’inefficacia del suo intervento si è tramutata nella presentazione di una mozione di sfiducia presentata alla Camera da Sel e M5S.

Un susseguirsi di eventi a catena ha creato inevitabilmente il gelo tra il Governo e le organizzazioni sindacali. Matteo Renzi, promotore del suo “movimento dei rottamatori”, si è reso leader di un vento riformatore che ha incontrato, forse inaspettatamente, le resistenze dei sindacati. Uno strappo annunciato? Probabilmente negli ultimi decenni le organizzazioni sindacali hanno modificato, volontariamente o meno, la propria configurazione originaria, finendo per cadere nel vortice della politica e dei compromessi “facili”. Una contraddizione epocale per quelle organizzazioni che dovrebbero proteggere i diritti dei datori e dei lavoratori in un’ottica contestualizzata e ragionevole. Un’avversione ormai consacrata nei confronti del Premier fiorentino, spesso accusato di elargire perle di saggezza in stile berlusconiano e di non tenere in considerazione le reali difficoltà legate alla disoccupazione. Dal canto suo Matteo Renzi è forse il simbolo di un’Italia che tenta di aprirsi al cambiamento; è un leader a cui piace il rischio, il rischio di incontrare forti resistenze nelle vecchie bandiere del Pd e di ricevere obiezioni annunciate da parte dei sindacati, la cui utilità è stata inevitabilmente messa in dubbio dall’appoggio parziale che offrono alla collettività  (tutelando spesso solo alcune realtà a discapito di altre) e mostrando sempre obiezione per qualsiasi iniziativa volta a promuovere lo sviluppo delle imprese e a ridurre (si spera) il livello di disoccupazione.

 

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