I Fori Imperiali
Una storia tormentata
Nel cuore di Roma si trova l’area archeologica, forse, più famosa al mondo: i Fori Imperiali, un articolato complesso urbanistico sviluppatosi nel periodo di massimo splendore dell’Impero romano tra il primo secolo avanti Cristo ed il primo secolo dopo Cristo.
Nel corso dei secoli l’area ha subito diversi cambiamenti, ma fino al periodo tardo antico i “Fori” restavano il centro della vita religiosa, politica e amministrativa della città. Nel medioevo, dal quinto secolo in poi, l’area fu gradualmente, anche se non del tutto, abbandonata e divenne oggetto di recupero dei materiali edilizi, fra cui i preziosi marmi che ricoprivano gran parte degli edifici e dei monumenti imperiali, per essere riciclati altrove in città. L’area dell’antico Foro Traiano venne urbanizzata e nel tredicesimo secolo assumeva le caratteristiche tipiche di un quartiere basso medievale, che restò vivo fino all’impaludamento della zona. I Fori Imperiali vissero, quindi, un lungo periodo di declino. Con il decadimento dell’antico sistema fognario, tanto da risultare inservibile, gran parte dell’area tornò ad essere paludosa. Con la rovina degli antichi edifici e monumenti, l’intera area vide l’edificazione di case rurali, di alcuni monasteri e il restante territorio veniva utilizzato per piccole attività agricole o di pastorizia. Dopo un periodo di relativa decadenza, conseguente all’impaludamento di buona parte del luogo, dovuto all’originale sistema fognario, diventato nel tempo inservibile, l’area, nonostante tutto, vide nel medioevo il sorgere di nuove abitazioni e luoghi di culto, ma solo nel sedicesimo secolo l’intera zona fu dapprima bonificata e successivamente ripopolata con la realizzazione del quartiere Alessandrino.
Realizzazione del quartiere Alessandrino
Fu nel corso del sedicesimo secolo, tra il 1566 e il 1572, che l’intera zona dei Fori Imperiali mutò radicalmente aspetto, con la realizzazione di un intero quartiere, voluto da Pio V e su progetto del cardinale Michele Bonelli, nato ad Alessandria, città da cui deriva il nome del quartiere. Questo fu possibile poiché il cardinale era, fra l’altro, Gran Priore della sede romana dei Cavalieri di Malta, i quali erano, a loro volta, proprietari di terreni incolti siti nell’ambito del Foro di Augusto. Il Cardinale, grazie alla sua posizione in seno all’Ordine cavalleresco, poteva disporre di tali appezzamenti di terreno e, infatti, dopo aver provveduto alla bonifica dell’intera area, con la riattivazione della Cloaca Massima e innalzando il livello del calpestio stradale sul ristagno delle acque con opere di interramento, li affittò a privati al fine di edificarvi le proprie abitazioni.
L’intervento urbanistico fu dettato dalla necessità di far fronte all’incremento demografico che in quel periodo interessava Roma, che dopo un periodo di declino stava rivivendo uno sviluppo anche economico, grazie al ritrovato ruolo di principale punto di riferimento della cristianità.
Nel nuovo quartiere, che occupò all’incirca l’area tra il Foro di Nerva e la Colonna Traiana, nel corso degli anni, prese vita un impianto urbanistico, caratterizzato da una serie di strade che facevano cappo all’asse viario principale costituito da via Alessandrina. L’area fu interessata dall’edificazione di abitazioni generalmente povere, anche se non mancarono edifici di prestigio, quali: il palazzetto di Sisto IV o dei Ghislieri, il palazzetto di Flaminio Ponzio, il Conservatorio di Santa Eufemia nato come convento delle “Sperse di Sant’Eufemia”, la chiesa di Sant’Urbano a Campo Carleo. Il quartiere era ricco anche di botteghe artigiane, di piccoli negozi e di osterie. Dal punto di vista architettonico, il quartiere, unitamente a ciò che restava di alcuni edifici dell’epoca medievale, presentava il classico stile cinquecentesco.
Lo sviluppo del quartiere Alessandrino comportò l’interramento di gran parte delle antiche vestigia imperiali, la cui evidenza sostanzialmente scomparve sotto il nuovo insediamento urbanistico, dove restò in vista la sola Colonna di Traiano. È fu questa circostanza che in futuro ne decretò la sua fine.
Roma capitale d’Italia
La Roma preunitaria era poco più di un borgo rurale e non era certo tra le città più importanti in Italia, era racchiusa all’interno delle mura aureliane e l’impianto urbanistico della città risaliva al 1500, con papa Sisto V.
Il primo luglio 1871, Roma fu proclamata capitale del Regno d’Italia. Gli anni a seguire la città ebbe un rapido sviluppo sia sul piano demografico, sia su quello urbanistico. Era necessario rendere Roma una moderna capitale europea, definita da Camillo Benso Conte di Cavour, circa dieci anni prima, “la necessaria capitale d’Italia”. L’intera città fu oggetto di ristrutturazioni, di abbattimenti, di nuove edificazioni. Fu ammodernato l’assetto viario cittadino, con la creazione di nuove vie, perché collegassero direttamente i principali uffici governativi ed economici istituendi nella città.
L’area dei Fori Imperiali dovette attendere alcuni decenni, ma anch’essa fu interessata da importanti stravolgimenti, che restarono epici per dimensione ed esecuzione.
Nei piani regolatori romani postunitari, già si prevedeva l’apertura di una strada che collegasse piazza Venezia e il Colosseo e rientrava nel più ampio progetto urbanistico dell’epoca, votato alla creazione di nuove strade più ampie per rendere il traffico cittadino più scorrevole. Del resto, era un periodo di grandi cambiamenti, soprattutto dal punto di vista tecnologico: si passava dai mezzi a trazione animale a quelli a motore e di lì a pochi anni la mobilità di massa necessitava di strutture adeguate.
A tale esigenza se ne impose un’altra, questa volta di natura politica e propagandistica, con l’avvento del regime fascista. Lo stesso Mussolini, il 31 dicembre 1925, proclamò un discorso dedicato al governatore di Roma: “Tra cinque anni Roma deve apparire meravigliosa a tutte le genti del mondo; vasta, ordinata, potente, come fu ai tempi del primo impero di Augusto. Voi continuerete a liberare il tronco della grande quercia da tutto ciò che ancora lo intralcia. […] I monumenti millenari della nostra storia debbono giganteggiare nella necessaria solitudine.” Ovviamente, da queste poche parole è facile intendere i propositi del Duce afferenti all’area dei Fori Imperiali.
Tuttavia, sull’importante sito archeologico dei Fori Imperiali insisteva l’intero quartiere Alessandrino e già alla fine dell’Ottocento si era pensato a opere di demolizioni nell’area per il recupero dei monumenti romani. In ogni caso, già dal 1885 ci si preoccupò a demolire gli edifici medievali dell’Aracoeli e altri palazzi, fra i quali il palazzo Torlonia, per far posto al cantiere destinato alla costruzione del Vittoriano, inaugurato poi nel 1911, in occasione delle celebrazioni del cinquantesimo Anniversario dell’Unità d’Italia, ma completato definitivamente solo nel 1935.
Realizzazione di via dell’Impero (oggi via dei Fori Imperiali)
Una linea retta, lunga novecento metri e larga trenta: via dei Fori Imperiali, nel ventennio fascista conosciuta come via dell’Impero. Questa via rappresentava la materiale realizzazione dell’idea di Benito Mussolini di collegare il Vittoriano, che con l’inumazione del milite ignoto era diventato simbolo del sacrificio per la patria, e il Colosseo, simbolo della grandezza del passato di Roma, maggiormente esaltata dalle vestigia dei Fori Romani ai lati del percorso. Un progetto ritenuto necessario non solo per l’esaltazione del simbolico legame tra l’antico impero e il nuovo regime, ma anche per permettere un adeguato palcoscenico alle parate militari che s’intendeva promuovere.
Nel piano regolatore del 1926 fu prevista la demolizione di tutto ciò che era stato costruito dal medioevo in poi. La distruzione del quartiere Alessandrino iniziò gradualmente nel 1924 e si concluse definitivamente nel 1933. Tuttavia, il 28 Ottobre 1932 Mussolini inaugurò via dell’Impero in occasione del decimo anniversario della marcia su Roma. La strada, del cui assetto fu incaricato Antonio Muñoz, direttore della decima Ripartizione Antichità e Belle Arti del Governatorato di Roma, fu completata in appena sedici mesi.
Per la realizzazione di tale progetto fu necessario avviare il più vasto piano di demolizioni della storia moderna, con lo sventramento del quartiere Alessandrino. Le cronache raccontano che ci vollero circa 1500 operai, che con pale e picconi asportarono 300.000 m³ di rocce, terra e detriti. Fu necessario sfollare circa 2000 persone che furono trasferiti nei sobborghi della capitale. Tutti gli edifici medioevali, rinascimentali e barocchi che nel corso dei secoli furono edificati sull’area dei Fori, furono abbattuti, senza alcun riguardo per gli aspetti storici e artistici. Gli edifici di pregio, già citati, quali il palazzetto di Sisto IV o dei Ghislieri, il palazzetto di Flaminio Ponzio, il Conservatorio di Santa Eufemia, tutti di epoca rinascimentale, la chiesa di Sant’Urbano a Campo Carleo (anno 1264), la chiesa di Santa Maria in Macello Martyrum (anno 1145), la chiesa di san Lorenzolo ai Monti (1860) furono rasi al suolo. Del vecchio quartiere resta oggi solo via Alessandrina, un percorso pedonale che attraversa i Fori di Augusto, di Nerva e di Traiano.
Sulla carta stampata tale impresa suscitò giudizi contrastanti. L’illustrazione italiana riporta un disincantato dialogo tra una madre e sua figlia bambina sfrattate da una casa distrutta: “A ma’ perché è tutto rotto? Chiede la figlia. Vedrai che mo se magnamo la Roma imperiale, risponde la madre”. Un altro giornale romano, la Tribuna Italiana titola così: “Signor Piccone, pietà”. Ma la maggior parte dei commenti resta comunque favorevole. Il Messaggero, in merito le demolizioni, scrive: “montagne di porte sconnesse sui quali ride ancora qualche lembo di tappezzeria. I cittadini capiscono che la piccola Roma è in via di liquidazione. Possiamo accompagnare coi nostri voti la caduta delle ultime miserabili stamberghe.”
Conclusa l’opera di demolizione, s’intervenne sui resti dei Fori Imperiali, su progetto dell’archeologo e storico dell’arte Corrado Ricci, riportando alla luce parte dei Fori di Cesare e di Nerva e buona parte dei Fori di Traiano e di Augusto. Anche i Mercati Traianei risultarono maggiormente evidenti, poiché l’apertura della nuova via aveva ampliato gli spazi di osservazione. Per la ricostruzione dei monumenti fu utilizzata la tecnica dell’anastilosi: un procedimento attraverso il quale si rimettono insieme i frammenti originali di un manufatto andato distrutto.
L’enorme opera voluta da Mussolini non fu priva di conseguenze dal punto archeologico. Se da un lato aveva fatto rivivere la maestosità delle rovine imperiali, dall’altro furono innumerevoli i reperti portati alla luce che nel corso degli scavi furono distrutti, dispersi o nuovamente sotterrati. Questo fu il frutto da una parte dell’urgenza imposta alla conclusione dei lavori, poiché la strada doveva essere completata entro il 28 Ottobre 1932, per permettere la celebrazione del decennale della marcia su Roma, dall’altra anche alla selezione dei materiali ritenuti dal regime idonei ad esaltare il voluto effetto visivo. A questo si aggiunga che, ancor oggi, si presume che siano presenti diversi reperti archeologici di pare importanza sepolti sotto il tracciato di via dei Fori Imperiali.
Gli scavi hanno prodotto all’incirca centomila frammenti, che furono raccolti in novecento casse, a loro volta stivate in diversi depositi comunali. Di queste, ad oggi, solo 400 sono state aperte e schedate. Un lavoro che impegnerà gli esperti del settore per diversi anni ancora.
Il futuro della via
È innegabile che la creazione di questa via ha offerto una visione unica al mondo. Un susseguirsi impressionante di monumenti e reperti archeologici, che il quartiere Alessandrino, se non fosse stato sacrificato, avrebbe occultato per sempre.
Tuttavia, sono ormai decenni per cui si dibatte se via dei Fori Imperiali deve essere demolita o meno. Un argomento divisivo fra gli addetti ai lavori, tra coloro che ritengono inopportuno lo smantellamento della via, perché grazie alla sua posizione sopraelevata permette di meglio ammirare le vestigia imperiali, e tra i sostenitori dello smantellamento, finalizzato alla creazione di un grande parco archeologico unitario, comprendente anche il Foro Romano, scevro da interferenze dovute dalla presenza di un asse viario che lo interseca.
Ad oggi, non è ancora possibile comprendere come la questione sarà risolta, ma, strano a dirsi, dopo poco meno di un secolo di vita, via dei Fori Imperiali (già via dell’Impero) conserva ancora le motivazioni fondamentali per le quali fu costruita, ovvero: la capacità di offrire uno scenario unico al mondo e l’utilizzo tradizionale per la parata militare del 2 giugno, Festa della Repubblica.