“Tutto è iniziato con il sogno di un mondo connesso, di uno spazio in cui ognuno poteva condividere la propria esperienza e sentirsi meno solo; ben presto però è diventato anche il nostro cupido, una fonte d’informazione, un intrattenitore personale, il custode dei nostri ricordi e persino il nostro psicologo”.
Stiamo parlando del web e delle molteplici funzionalità ad esso connesse, molte delle quali non sono contestuali alla sua nascita ma sono emerse nel corso degli anni. Il web è uno strumento estremamente potente, soprattuto in virtù del fatto che si evolve parallelamente alla società e ai suoi mutevoli bisogni. Sarebbe sempre auspicabile fare un corretto utilizzo delle risorse di cui si dispone, ma l’esperienza ci insegna che spesso gli interessi individuali prevalgono sull’etica, arrivando così a fare un uso improprio di ciò che nasce per essere un mezzo utile allo sviluppo dell’umanità. Così “The Great Hack”, partendo dalla frase sopra riportata, ci mostra uno dei possibili modi in cui si può abusare del web, e non solo…

Il documentario prodotto e diretto da Jehane Noujaim e Karim Amer e distribuito da luglio 2019 si focalizza sullo scandalo di Facebook e Cambridge Analytica e mostra il ruolo che quest’ultima ha avuto durante le elezioni presidenziali degli Stati Uniti d’America del 2016 e il referendum sulla Brexit anch’esso tenutosi nel 2016. Cambridge Analytica era una società di consulenza che si occupava di raccogliere dai social network dati relativi agli utenti, per effettuarne poi la profilazione e potere quindi bersagliare loro con la comunicazione strategica. I fatti sono narrati principalmente da David Carroll, Brittany Kaiser e Carole Cadwalladr. David Carroll è un professore americano che ha iniziato una causa legale contro la società per venire a conoscenza di tutti i dati sensibili di cui questa disponeva; Brittany Kaiser era direttrice dello sviluppo commerciale presso Cambridge Analytica e ha deciso di esporsi per far emergere le violazioni che sono state perpetrate alla privacy di milioni di persone; Carole Cadwalladr è una giornalista investigativa britannica che si è profondamente interessata al caso. Le accuse rivolte alla società vertono sul fatto che essa grazie ad Aleksandr Kogan, professore dell’Università di Cambridge, ha ottenuto delle applicazioni presenti in Facebook che godevano di permessi speciali per raccogliere i dati degli utenti che le utilizzavano e permettevano di accedere alle loro reti di amicizie, e in certi casi persino di vedere i messaggi privati. Questo consiste a tutti gli effetti in un furto di dati, o in un “esperimento privo di etica” secondo Christopher Wylie, ex data scientist della compagnia.

Quest’ultimo definisce Cambridge Analytica una “macchina propagandistica”, che attraverso l’analisi dei dati sensibili e quindi la profilazione degli utenti, individua i cosiddetti individui influenzabili, e quindi indirizza verso di loro determinati contenuti, in modo da attuare un cambiamento comportamentale, teso a sostenere il candidato-cliente della società. Le accuse sono sempre state negate da Alexander Nix, CEO della compagnia, così come i dati sensibili di cui quest’ultima era in possesso non sono mai stati restituiti agli utenti, ma nel 2018 è  stata dichiarata bancarotta, e probabilmente ciò è stato un espediente per evitare delle più gravi conseguenze legali e delle approfondite indagini sugli archivi informatici.

Analizzata la vicenda, è rilevante focalizzarsi sulla violazione del diritto alla protezione dei dati che deriva dal furto di dati compiuto da Cambridge Analytica. Conclusa la causa legale, David Carroll ha iniziato a sostenere l’idea della tutela dei dati come diritto umano, da affiancare e tutelare allo stesso modo di tutti gli altri diritti umani internazionalmente noti e protetti. È importante in primo luogo differenziare tra privacy e protezione dei dati: il primo fa riferimento al diritto alla riservatezza delle informazioni personali e della propria vita privata, il secondo afferisce invece ad un sistema di trattamento dei dati che identificano direttamente o indirettamente una persona.  Entrambe le tipologie di diritti sono riconosciute e tutelate sia dalle legislazioni nazionali che dai regolamenti delle organizzazioni d’integrazione regionale, ma non sono ancora considerati al pari dei diritti umani fondamentali. A tal proposito Stefano Rodotà, giurista e politico italiano scomparso nel 2017, affermava che “noi siamo i nostri dati” e quindi rappresentava il trattamento illecito di dati personali come una violazione di un diritto fondamentale della persona, punibile con sanzione amministrativa e penale. La diversa considerazione che i vari diritti hanno potrebbe essere ricondotta anche al fattore temporale, infatti per taluni diritti sono stati necessari secoli e molteplici rivendicazioni per far si che essi venissero inseriti nelle dichiarazioni universali, potremmo quindi pensare che per quanto concerne il diritto alla privacy e il diritto alla protezione dei dati, ci troviamo ancora in uno stadio prematuro del lungo e complesso processo che un giorno ci porterà a considerarli al pari dei diritti fondamentali della persona umana. Il diritto si evolve il base alle necessità degli individui e alla mutevolezza della realtà, quindi il susseguirsi di problemi e scandali legati alla violazione di queste prerogative fungerebbe sicuramente da accelatore del processo. Quando si parla di problemi legati ai dati ed in generale al web, non si fa unicamente riferimento ad un uso improprio di dati che ricade a beneficio di qualcuno all’insaputa di qualcun altro, ma ci sono molti fenomeni che possono verificarsi.

In quanto estremamente attuale, parliamo dei numerosi attacchi hacker di cui è stato vittima il mondo intero nell’ultimo anno, infatti da quando ha avuto inizio il conflitto armato in Ucraina gli attacchi informatici sono aumentati del 300%, e sono stati principalmente rivolti verso i Paesi membri della NATO. L’Italia lo scorso 22 febbraio ha subito attacchi di tipo Ddos – denial of service – ai siti del Governo, di imprese e banche a seguito della visita del primo ministro italiano a Kiev, durante la quale la Meloni ha affermato che l’Italia fornirà all’Ucraina ogni genere di assistenza militare, finanziaria e civile. Gli hacker, durante i temporanei disservizi dei siti, hanno fatto apparire messaggi in cui accusavano l’Italia di essere russofoba, in virtù del sostengo garantito al paese ucraino. Senza entrare nel merito delle questioni politiche, ci soffermiamo solo sulla minaccia che tali attacchi hacker costituiscono: possono compromettere la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni, possono fungere da strumento per esercitare un ricatto sul soggetto vittima e infine possono determinare una fuga di dati sensibili con diverse conseguenze a seconda della natura dei dati in oggetto.

Concludendo, non si devono solo evidenziare le conseguenze negative di un uso improprio dei big data, in quanto negli ultimi anni l’ingente quantità di dati di cui si dispone è stata anche il punto di partenza per importanti sviluppi in vari ambiti di studio. Si consideri ad esempio il campo della statistica inferenziale, che fonda la bontà dei suoi modelli e delle sue stime sulle osservazioni di cui dispone: ad una maggiore quantità e qualità di dati corrisponde una migliore capacità predittiva del futuro. Avere a disposizione più dati può portare quindi ad una più grave violazione dell’identità personale, oppure a importanti sviluppi nell’ambito scientifico, sta a noi scegliere che uso fare di questa potentissima risorsa.

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