Attualmente la situazione internazionale sembra essere compromessa sotto vari punti di vista, infatti il conflitto bellico russo-ucraino ha causato ingenti preoccupazione sul versante economico, e l’incorretta gestione della congiuntura economica da parte di alcuni Stati ha determinato l’aggravarsi delle condizioni. In questo scenario molto delicato, verticalizziamo ora sulla situazione della Turchia. Il prossimo 14 maggio la Repubblica turca, nell’anno del centenario dalla sua fondazione, sarà chiamata a decidere se confermare l’attuale presidente Recep Tayyip Erdoğan, in carica dal 2003, oppure se schierarsi con l’opposizione. L’importanza delle prossime elezioni turche si deve soprattutto al fatto che attualmente il Paese sta giocando un ruolo cruciale sul piano delle relazioni internazionali.

L’opposizione di Erdoğan è rappresentata da una coalizione di sei partiti, capeggiata dall’economista settantatreenne Kemal Kilicdaroglu e composta da CHP (erede del kemalismo), Iyi (il partito buono), il partito della democrazia e del progresso, il partito futuro, il partito della felicità e l’HDP (il partito filocurdo). I partiti differiscono per vari tratti, ma sono accomunati dalla volontà di sconfiggere Erdoğan per permettere il ritorno al sistema parlamentare in sostituzione della repubblica presidenziale voluta dall’attuale capo dello Stato. Erdoğan ha incentrato il suo ventennio di presidenza sulla sua persona piuttosto che sul programma politico da lui proposto, e ha sempre avuto potere decisorio in ambito di gestione della politica monetaria, facendo venire meno l’indipendenza della Banca Centrale. Sarebbe auspicabile che la politica monetaria fosse indipendente dallo Stato, così da perseguire efficientemente gli obiettivi prefissati, scongiurando il rischio di avere interferenze. A contrario, se chi è a capo dello Stato ha anche il potere di stabilire le misure da adottare in materia di gestione della quantità di moneta in circolazione, potrebbero verificarsi comportamenti di moral hazard, ovvero casi di deviazione dall’obiettivo funzionale al benessere del Paese in nome di interessi personali. Nel caso specifico, Erdoğan ha sempre basato il suo consenso sulla gestione dell’economia, e ha spesso adottato politiche incorrette ed illogiche per il benessere della nazione ma che gli avrebbero garantito il consenso. A dimostrazione dell’assenza di indipendenza della banca centrale turca, si può ricordare che quest’ultima ha avuto 5 governatori negli ultimi 8 anni, a causa del fatto che il presidente turco opta per la sostituzione del governatore quando questo mostra dissenso rispetto alla sua volontà.

Come per la maggior parte dei paesi del mondo, l’inflazione sta attualmente rappresentando un problema non trascurabile anche per la Turchia. Rispetto agli ultimi mesi del 2022 la situazione è decisamente in miglioramento, infatti il marzo scorso l’aumento dei prezzi si è assestato attorno al 50%, con un 30% in meno rispetto al tasso di inflazione registrato nel novembre 2022. Nonostante il calo, si parla comunque di una considerevole erosione del potere d’acquisto, che dovrebbe essere fronteggiata opportunamente e non lasciata in secondo piano. Erdoğan però ha sempre mirato alla crescita economica del paese a qualsiasi costo, per rafforzare il consenso attorno a sé e quindi assicurarsi la rielezione. A causa di questo comportamento opportunistico, il presidente, contrariamente a quanto sarebbe auspicabile per raggiungere il tasso di inflazione target del 5% dichiarato dalla banca centrale, adotta una politica monetaria espansiva, ovvero mantiene bassi i tassi di interesse cosi da stimolare l’economia e quindi raggiungere il suo (ben diverso da quello nazionale) obiettivo. Il capo dello stato ha adottato anche una politica fiscale espansiva, infatti per quanto attiene al pensionamento non ci sono più requisiti di anzianità ma è sufficiente aver maturato tra i 20 e i 25 anni di contributi versati. Questa normativa si applica a chi è entrato nel mondo del lavoro prima del 1999, ovvero circa 2 milioni di turchi, ed in base alle stime del ministro del lavoro questa manovra comporterà un costo di oltre 200 miliardi di lire turche (5 miliardi di euro). Altra decisione del governo ha riguardato il salario minimo, sostanzialmente raddoppiato rispetto all’inizio dello scorso anno, ed anche questa decisione non è stata presa considerando le conseguenze negative che si possono avere sulla struttura economica ma focalizzandosi solo sull’accrescimento del proprio consenso elettorale. Sicuramente il PIL turco è in crescita, coerentemente con gli eccessivi sforzi del presidente incanalati in tale direzione, ma per un paese dipendente nei confronti dell’import estero e molto esposto dal punto di vista dei beni energetici (secondo l’Ocse il paese importa il 99% del gas e il 93% del petrolio) un’eccessiva svalutazione della moneta è tutt’altro che ottimale.

Nonostante l’impegno del presidente in materia di crescita economica, fattore che è sempre stato determinante per la rielezione di Erdoğan, ora il consenso sembra essere minato a causa dei fatti correlati ai disastrosi terremoti verificatisi in Turchia lo scorso febbraio. Il paese è ad alto rischio sismico, poiché si trova su diverse linee di faglia che si intersecano, quindi dispone di regolamenti edilizi e apposite norme per la sicurezza contro i terremoti, che però raramente vengono implementati. Il disinteresse del governo verso il tema fa aumentare la portata distruttiva del fenomeno sismico, facendolo diventare un disastro politico oltreché un disastro naturale. A causa di questa negligenza, e a causa della lentezza dei soccorsi statali (denunciata dalle località vittime della calamità), il consenso di Erdoğan potrebbe incrinarsi, proprio in favore dell’opposizione che invece sembra più attenta al tema e anzi condanna il comportamento disinteressato dell’attuale governo.

Un ulteriore tratto importante delle future elezioni turche è la rilevanza che queste hanno sul piano internazionale, in virtù dei rapporti intrattenuti dal paese con le varie potenze mondiali. Erdoğan ha sempre optato per l’attivismo sul piano delle relazioni internazionali, per proteggere gli interessi economici della nazione, e anche in questo contesto ha confermato la sua attitudine in tal senso. Con riferimento al conflitto ucraino, la Turchia si trova in una posizione difficile, in quanto intrattiene buone relazioni con entrambi i paesi; e proprio a causa di ciò viene accusata dalla NATO di essersi allontanata dall’Occidente. Per quanto attiene al rapporto con la Russia, questo si è sviluppato in modo ambivalente tra cooperazione e competizione. La cooperazione si è sviluppata in diversi ambiti, il primo e più importante è costituito dall’approvvigionamento di gas naturale, infatti la Russia è il primo fornitore della Turchia per questa materia prima. Nell’ambito della difesa poi, nel 2019, Erdoğan ha approvato l’acquistato del sistema di difesa missilistico russo S-400, mossa che ha suscitato il malcontento della NATO. Per quanto attiene alla competizione invece, questa ha avuto modo di esprimersi in diversi scenari, in particolare in Siria e Libia dove i due paesi hanno visioni contrapposte che cercano di consolidare, evitando però lo scontro diretto. Con riferimento all’Ucraina, la Turchia ha sempre avuto anche con essa rapporti di cooperazione economica, e con l’invasione russa non ha esitato a inviare aiuti militari. Come prima affermato, all’avvicinamento della Turchia alla Russia (in virtù della somiglianza in termini di idee politiche dei capi di stato dei due paesi in causa), fa da contraltare l’allontanamento dall’Occidente. Con riferimento a questa affermazione, occorre precisare che spesso la popolazione turca tende ad identificare la NATO con gli USA e quindi a considerare i problemi con gli USA dei problemi con la NATO. Da questa consapevolezza è possibile cogliere che dietro le elezioni turche, oltre agli interessi della nazione, ci sono anche interessi molto più estesi: Putin vuole la rielezione di Erdoğan, cosi da assicurarsi un sostenitore delle sue idee politiche e un partner commerciale; mentre Biden sostiene l’opposizione, cosicché da far riavvicinare la Turchia alla NATO.

La situazione è molto complessa, in quanto sono coinvolti interessi molteplici vari aspetti del sistema nazionale e sovranazionale. Attualmente la priorità dovrebbe essere però la stabilità del paese e l’attenzione verso una popolazione che ha da poco subito delle catastrofi naturali che hanno causato migliaia di morti, e che stenta a riprendersi da ciò a causa di una situazione economia disastrosa. Data l’interconnessione della realtà attuale, chiaramente le relazioni diplomatiche sono fondamentali, tuttavia queste non possono avvenire a discapito del rispetto del genere umano. Siamo di fronte ad un momento storico molto importante, il popolo turco ha le redini della situazione, e ciò che possiamo al momento auspicarci è che, grazie ad una crescente consapevolezza, venga fatta la scelta migliore.

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