Sono passati mesi da quando lo scoppio della guerra in Ucraina ha inaugurato una nuova fase della civiltà contemporanea. Infatti, da quel 20 febbraio 2022 il mondo ha rivisto una fattispecie bellica che si considerava ormai debellata, ossia uno scontro armato all’interno del continente europeo.
Era dalla caduta dell’Unione Sovietica che l’Europa e i suoi alleati si erano ormai rifugiati in un pacifismo nei propri confini, con un rilassamento generale nei confronti di quegli spettri apocalittici che avevano accompagnato le potenze mondiali nel corso di tutto il ‘900.

Ciò che stupisce non è lo scoppio di una nuova guerra, di cui ormai il genere umano sembra non poterne fare a meno, bensì che essa si stia svolgendo nel continente europeo, il quale si considerava ormai immune ad avvenimenti di tale rilevanza.

Infatti, l’invasione dell’Ucraina sembra aver riacceso quegli animi e quei discorsi da parte dei leader mondiali che incutono terrore e preoccupazioni riguardo alle sorti dello scontro. Un timore che non ha perso tempo a portare gli stati europei a ricorrere al riarmamento nazionale.

Questo ricorso alle armi ha coinvolto non solo i paesi della famiglia UE come Germania, ma anche il continente asiatico con Giappone o Corea del Sud.

L’Ucraina era già stata oggetto delle mire espansionistiche del Cremlino, con la conseguente annessione della Crimea ai confini russi nel 2014. Ovviamente quella parentesi storica non aveva influito così gravemente come lo è stata la recente invasione, che ha contribuito a sbilanciare il già instabile status quo mondiale instaurato dopo la fine del bipolarismo globale, con la caduta dell’Unione Sovietica nel 1992.

Questa instabilità dell’equilibrio internazionale si è riproiettata sugli schieramenti nati con l’inizio della guerra: da una parte i paesi dell’Occidente; mentre dall’altro una Russia diversa da quella che si presentava sullo scenario della Guerra Fredda, con accanto alleati legati però soltanto dal nemico comune, e che quindi non rivelano avere un legame così forte come potrebbe apparire.

Tra essi ritroviamo in primis la Cina, che condivide con la Russia ideali ed astio verso il dominio statunitense, nonché un confine di 4.250 km. Tuttavia, oltre a ciò, le due nazioni hanno intrapreso sentieri diversi: propensione per un soft power, ossia una cooperazione internazionale, da parte della Cina; una politica coercitiva e violenta da parte della Russia.

Dall’inizio della guerra si sono andate a creare dinamiche economiche e geopolitiche che hanno aggravato radicalmente la situazione già danneggiata dai due anni di pandemia. Ricordiamo che sia la Russia che l’Ucraina, all’interno di un mondo globalizzato come quello odierno, si sono rivelate fondamentale per determinati settori grazie alle loro esportazioni. Russia per le sue risorse energetiche e Ucraina, grazie alle sue risorse alimentare e di fertilizzanti, funge da risorsa cruciale per garantire una sicurezza alimentare dei paesi mediorientali e nordafricani.

Con lo scoppio del conflitto, questo sistema di scambi che coinvolgeva i due paesi si è arrestato. Dalla parte Ucraina, gli scambi sono diventati impossibili a causa della situazione interna.  Probabilmente, la scarsità delle importazioni alimentari arrecherà nei prossimi mesi ed anni seri pericoli e scompensi alle popolazioni africane che dipendono da tali risorse.

Da parte dell’Europa, la sicurezza alimentare è sempre stata gestita in modo tale da garantire un’autosufficienza e indipendenza dalle importazioni esterne alla comunità europea stessa.

Ciò che però potrebbe mettere in pericolo l’Europa sarà la scarsità di fertilizzanti, di cui l’Ucraina era diventata un grande fornitore per l’UE.

Anche dalla parte Russa si sono verificate delle diminuzioni delle esportazioni. In questo caso però non per carenze o problematiche interne, bensì proprio per riappoggiarsi a quel potere coercitivo che usa come scudo all’interno di un mondo in cui ha perso la sua predominanza dopo la dissoluzione del 1992.

I ricatti russi sulle forniture di gas nei confronti dei paesi dell’UE sono diventate ormai una costante nelle analisi geopolitiche dell’attuale realtà.

La situazione che si è generata è nuova per tutte le nazioni globali. Un confronto tra superpotenze di cui ormai non si pensava, né si sperava, di rivedere. Ed è proprio in un conflitto del genere che è inevitabile che non si inseriscano anche i giovani attori internazionali, tra cui Cina ed India.

Apparentemente, risulta che molti di questi stati, prima tra tutti la Cina, cerchino un rendiconto e un vantaggio da questo squilibrio nel Vecchio Continente, tesi che però bisogna ridimensionare e mettere da parte.

Questo perché, un eventuale conflitto allargato fuori dai confini ucraini non porterebbe nulla di buono a nessun partecipante, specialmente all’interno di un mondo globalizzato ed interdipendente, dove il libero scambio ha assunto il ruolo di motore primo del rapporto internazionale.

Nel caso della Cina, una guerra aperta la porterebbe a schierarsi con la vicina Russia per motivi già detti poc’anzi, ma è uno scenario che neppure il dragone asiatico auspica, dato i suoi grandi rapporti commerciali con l’Europa attraverso la nuova Via della Seta (Belt&Road Initiative).

È proprio per questa posizione complicata, che la Cina sin dall’inizio del conflitto ha sempre cercato di garantire una linea neutrale ribadendo il principio dell’integrità degli Stati (probabilmente anche per rafforzare le sue pretese di riannessine dell’isola di Formosa, Taiwan).

30 settembre 2022: l’annessione al territorio russo delle quattro regioni ucraine ha portato il conflitto verso piani sempre più instabile. La minaccia nucleare da parte del Cremlino sta diventando sempre più opprimente sulle risposte degli alleati occidentali, i quali continuano imperterriti con la loro politica sanzionatoria e sostegno verso la resistenza ucraina. Dalla comunità internazionale invece continua a rimanere una ferma critica nei confronti della Russia e del suo intervento armato, una critica che però rimane solo sotto forma di discorsi e sostegno alle sanzioni occidentali.

Questa decisione di astensionismo serve a ricordarci come ormai lo status quo mondiale sia cambiato e come le potenze mondiali ci tengano a sottolineare che ciò che accade in Europa non è una questione globale, bensì regionale, e come tale debba essere risolta dai diretti interessati.

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