Quando Calise scriveva del Partito personale come la nuova forma di partito post-società di massa, lo scenario simbolico al quale attingere era quello degli USA di Ronald Reagan, della Gran Bretagna di Tony Blair, dell’Italia di Berlusconi. Oggi è però un personalismo freddo, pacato, calcolato il fulcro di una nuova politica.

L’aria che tira non è più la stessa, e le recenti dichiarazioni di Monti ne sono il chiaro segnale. Non conta che il professore, al fine di entrare in politica, decida di salire, scendere, affiancarsi o scassinare la politica. Il punto è che attorno alla sua figura si stanno coagulando le speranze di sopravvivenza di un’intera classe politica in vena di disperate migrazioni, pur di rimanere in parlamento. Ciò che ne deriva però, non è solamente il Monti salvagente o bersaglio da fiera degli ultimi mesi. E’ anzi un politico di aggregazione e monito. Aggregazione perché l’ala del tecnico è pur sempre un’ottima garanzia di permanenza, ma anche monito perché la minaccia finanziaria si è ormai trasformata da difesa della propria azione contingente a pressione al fine di spingere gli elettori al voto.

Come per Cesare, il potere sembra essere stato particolarmente apprezzato da Monti: lasciarlo non è ad oggi una sua priorità. Urge di conseguenza instillare un certo terrore, una paura senza nome, ed è proprio questo carattere che ne fa qualcosa di differente dal classico partito personale. Non si tratta di un’indicazione spasmodica del rischio, com’era stato per Berlusconi. L’ex-premier aveva fatto di un principio di riattivazione della circolazione ideologica tra partiti la propria arma migliore. Un divide et impera imposto ma capace di assicurare al profeta scopritore del nemico tanti allori quanta era la necessità di sostenerlo al vertice del partito. Era infatti necessario indicarne uno spazio specificamente adibito, perché potesse mantenere attiva quell’illusione deleteria che continuava a fare tutti contenti. Berlusconi pensava per tutti, e così ha fatto finché un piatto di pasta calda era pronto a spegnere nell’ingordigia ogni velleità di libero pensiero.

Al suo opposto Monti, non agitatore ma al contrario sedativo delle opposizioni politiche. Capace di congelare temporaneamente qualsiasi iniziativa anche vagamente intellettuale. Perché se Berlusconi è lo stato epilettico di una politica morente a questo punto viene da considerare il professore l’incoscienza da avvelenamento di una società cleptocratica in overdose da ladrocinio. Se quindi Berlusconi ha rappresentato la fenomenologia di un partito personale classico, Monti sembra prepararsi ad una leadership altrettanto forte, ma fredda, esemplare rappresentante di una morte per acqua, una death by water come sono quelle di un sistema politico abituato all’inerzia.

A venire affogata è inesorabilmente la seconda repubblica, ma il futuro -se sarà questo- non si prospetta più allegro. Si dirà che il Partito Monti non è stato ancora ben definito. Come tante altre cose è ancora in definizione. Giustamente, considerato l’imponente lasso di tempo che divide il paese dalle elezioni. In realtà forse l’ostilità nei confronti del professore non andrebbe data tanto per scontata. A partire proprio da un Berlusconi che sembra sempre più un Orlando Furioso prima innamorato dei tecnici, poi loro arcinemico, poi di nuovo innamorato. Dall’altra parte un centro in ridefinizione che gode di una ormai consolidata tradizione di nebbia politica per agire da barometro, mentre il PD non potrà non ricordare da dove l’appoggio iniziale a Monti è venuto.

La questione ruota quindi non attorno al sorgere di una nuova Democrazia Cristiana, come ipotizzato da più parti. Casini è un leader ancora troppo debole per monopolizzare Monti e coccolarselo tutto da solo, per quanto uno spirito di sopravvivenza prossimo al cannibalismo lo avrebbe volentieri portato a ciò. I conti non tornano, è la recente unanime proattività Agcom ne è un indizio. Vogliamo essere cinici, e quindi piuttosto che alla buona volontà oggi crederemo allo spirito di saccheggio che alle autorità amministrative indipendenti compete più che l’interesse pubblico. Allora di fronte all’imbarazzante presenza del Porcellum è difficile non pensare ad una ulteriore regressione delle ideologie politiche dei principali partiti, al fine di ottenere dall’ombrello del tecnicismo una possibilità di sopravvivenza, anche se si trattasse di una pura illusione simbolica. Un accordo para-totalitario fondamentalmente razionale se si considera la minaccia che oggi i partiti affrontano. Difficile dire infatti quali livelli di vita essi sarebbero pronti a tollerare, ma di certo una espulsione dei principi ideologici (come tra l’altro auspicato da Monti) non sarebbe poi così improbabile, se si accettasse di fare cartello.

Se Berlusconi ha capito quanto togliere po’ di cerone può aiutare a conquistare gli elettori con un volto qualunque e una pelle meno liscia, di certo un po’ di Cigl in meno sarebbe un prezzo accettabile anche per il PD. Quanto all’UDC, di esso una qualche ideologia non risulta pervenuta. Un passato saturo di nemici ha quindi fine. In cambio di quale futuro?

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here