In questi tempi di apocalisse dell’antipolitica ci si riferisce sempre più ad una categoria intellettuale discretamente affascinante, quella che cade disgraziatamente sotto il nome di “responsabilità”. La risposta dei cittadini alle meraviglie dell’etica parlamentare e istituzionale sta un po’ in tutte le relazioni tra autorità e società civile italiana. Un disastro del contratto sociale in cui poco è salvabile.

Che in tanti anni, o meglio decenni, o ancora meglio secoli di storia il cittadino italiano non sia mai stato responsabilizzato è cristallino. L’inerzia con la quale la realtà dei fatti è stata accettata lo è altrettanto. Uno stato assente è evidentemente lo spazio ideale nel quale permettersi qualche vezzo di stile che in qualsiasi altro paese sarebbe definito perentoriamente come corruzione. In una repubblica della menzogna hanno potuto sguazzarne un bel po’ di questi cittadini.

Detto questo, l’andamento del rapporto tra gli italiani e l’autorità pubblica permette qualche considerazione sul perché un soggetto posto di fronte ad essa si trovi tendenzialmente a provarne ribrezzo, e di conseguenza rifiuto. Ne derivano associazioni e movimenti in difesa dei cittadini: una volta che questo fenomeno prende il via è troppo tardi perché lo si possa fermare. I cittadini, tartassati fino allo sfinimento dalle autorità, abituati alle vessazioni e all’umiliazione di non riuscire a fare abbastanza per poter tenere la testa sù sono ormai al di là di un muro di gomma. Di lì anche l’astensionismo, perché se Enel, Equitalia, Telecom non agiscono come autorità pubblicamente vincolate all’assoluta verità, allora che peso possono in questo quadro avere i partiti, che della bugia fanno il proprio pilastro fondamentale?

Perché quando l’autorità mente allora il contratto è sciolto, in maniera più definitiva di quanto qualsiasi burocrate o politico sappia comprendere. E non si tratta della solita tirata su Equitalia o sul Monti tassatore. La questione è molto più in profondità, e penetra nel modo in cui gli italiani guardano allo Stato. Se si guarda al rapporto che ormai la maggioranza dei cittadini ha non solo con organi della pubblica amministrazione (Equitalia, Agenzia delle Entrate, INPS) e con fornitori di energia (ENEL), ma anche con i rami del servizio pubblico (trasporti, acqua) lo scenario è impressionante. Non solo per un moto di antipatia che alcuni istituti tributari attirano inevitabilmente nella popolazione, ma per un più esteso senso di ribellione.

Al centro di tutto c’è una privatizzazione dei rapporti con la pubblica amministrazione: comportandosi essa come un qualsiasi privato, spesso con atteggiamenti molto poco trasparenti, l’ipotesi che tuteli l’interesse generale si vaporizza senza lasciare dietro alcuna traccia. Non c’è poi da sorprendersi che i cittadini non la considerino più come un’autorità ma come una minaccia, più o meno come accade quando ci si trova di fronte ad un ameno signore armato di coltello da cucina. Non lo si assume certo come babysitter.

E’ pur vero che secoli di governo in pieno stile Borbone ci hanno convinto del fatto che pagare per il pubblico è reato e che ad approcciare le istituzioni qualcosa da perdere lo abbiamo comunque. E’ però altrettanto vero che al pubblico si paga un servizio equo, democratico, efficiente e proattivo. Nel momento in cui questo servizio non esiste nella via più assoluta, che fare?

E’ questo il dilemma fondamentale del cittadino italiano: come distinguere gretto egoismo e disobbedienza civile? Un metro potrebbe essere la capacità di meritare una coscienza, ma se la Repubblica mente, allora di chi si dovrebbe fidare un cittadino?

 

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