Nel 2019, durante la 72a World Health Assembly tenutasi a Ginevra, la dipendenza dai videogiochi è stata ufficialmente riconosciuta come malattia mentale da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), sotto l’etichetta di “Gaming Disorder”. Essa è stata introdotta nell’ICD-11 all’interno della sezione relativa ai disturbi del comportamento legati alle dipendenze. Videogames. Possono diventare una dipendenza? Direttore responsabile: Claudio Palazzi
Si tratta, sostanzialmente, di “una serie di comportamenti legati al gioco, sia online che offline, che possono portare ad una sempre maggiore priorità di quest’ultimo, a tal punto da diventare più importante delle attività quotidiane e degli interessi della vita”. La decisione di determinarla come patologia, da parte dell’Oms, arriva dopo una serie di allarmi degli esperti presupponendo, addirittura, la necessità di aprire vere e proprie cliniche di disintossicazione, presenti anche in Italia. Tale malattia assieme al gioco d’azzardo patologico fanno parte della sezione 3 del DSM-5 (American Psychiatric Association).

Ma quand’è che possiamo definirla vera e propria “malattia mentale”? Quali effetti hanno sui bambini e gli adolescenti? È possibile affermare che si sia sviluppata durante il lockdown?

Come capire se una persona soffre di “Gaming Disorder”

Quante volte abbiamo sentito una madre, o un padre, lamentarsi per la cattiva abitudine dei propri figli bambini o adolescenti di trascorrere ore e ore della giornata davanti ai videogiochi? Tante volte, troppe volte.

Sappiamo che l’uso eccessivo dei videogiochi è un fenomeno molto frequente, soprattutto negli adolescenti e se ciò non viene frenato in tempo potrebbe rischiare di diventare una vera e propria ossessione.

Nonostante, però, siano una minima parte coloro che vengono riconosciuti come veri e propri “malati” dei videogiochi, è bene fare attenzione ai criteri mediante i quali capire se una persona sia dipendente o meno.

Secondo l’Oms, tali criteri sono tre:

  1. comportamenti persistenti o ricorrenti che prendono il sopravvento sugli interessi della vita
  2. mancanza di controllo dei propri comportamenti quando si verificano conseguenze negative relativi al gioco
  3. conseguenze che portano a problemi nella vita personale, familiare e sociale, con impatti anche fisici, dai disturbi del sonno ai problemi alimentari.

Per di più, i comportamenti descritti devono presentarsi per una durata di 12 mesi, anche in maniera discontinua.

Tuttavia, l’esito a cui si è giunti nel 2019 sarà in vigore solo a partire dal 2022 poiché essa fece emergere un profondo dibattito, ancora irrisolto, all’interno della comunità scientifica sia per quanto riguarda la delicatezza della sua definizione sia per lo scarso sostegno dato alle ricerche.

In tutto ciò, bisogna anche tener conto del fatto che gli ultimi videogiochi in circolazione risultano centrarsi sempre di più su tematiche violente. Infatti precedenti studi sperimentali, effettuati da Anderson e Bushman nel 2001, hanno dimostrato che la riproduzione dei videogiochi violenti può influenzare i livelli di aggressività, i livelli d’impulsività, l’umore, la cognizione del tempo ed i comportamenti pro-sociali dei giocatori.

Dunque, bisogna porre attenzione non solamente al videogame in sé, ma anche ad altri fattori sociali o esterni come quelli di mercato.

Fattori che influiscono la vendita dei videogiochi

Il settore dei videogiochi online rappresenta un mercato in continua evoluzione. Oltre alla crescita della domanda dal punto di vista economico in tutto il mondo, grazie al miglioramento degli strumenti di gioco, gli sviluppatori hanno avuto modo anche di trovare spunti innovativi sempre maggiori per creare, appunto, videogiochi di maggior impatto.

Incentrandoci sull’offerta di giochi online in Italia, essa risulta essere molto ampia rispetto alla media del contesto internazionale per diversi motivi. Tra questi, ad esempio, la più evidente risulta essere la quasi totale mancanza di casinò fisici nel paese che ha reso più interessanti i casinò online.

Inoltre, secondo i dati annuali del 2019 dell’IIDEA (Italian Interactive Digital Entertainment Association), hanno giocato ai videogiochi 16,3 milioni di italiani, facendo crescere il settore dell’1,7%.

Infine, è ovvio che la tipologia di gioco che si sceglie influisce, nonostante sia qualcosa di soggettivo, in quanto lo stesso IIDEA stila delle classifiche settimanali su quelle più utilizzate in generale tra tutti i dispositivi, quali console e pc. Tra le prime 3 vi sono: Marvel’s Avengers, Fifa 20 e NBA 2k21.

Dunque, può sembrare anche incerto, ma i sistemi dei prezzi dei videogiochi, soprattutto di quelli online, fanno la loro parte nella dipendenza dei giocatori.

Il rischio dei giochi online gratuiti

Sicuramente si è sentito tanto parlare di quella tipologia di giochi online che vengono scaricati gratuitamente per poi offrire a pagamento diversi moduli per visitare nuovi luoghi, cambiare il look del personaggio, possedere nuovi accessori e tanto altro ancora. Da ciò, infatti, ne è nato un bel business ma al contempo, anche, una vera e propria dipendenza.

Un noto esempio risulta essere “Fortnite” che, in meno di un anno, è stato acquistato da ben 125 milioni di player. Tuttavia, bisogna ricordare anche che, nel 2018, vi è stato il caso di una bambina di 9 anni, costretta alla riabilitazione per una cura disintossicante. Essa era arrivata al punto di non dormire più la notte per giocare. La Epic Games Inc., azienda che produce Fortnite, dinanzi a casi del genere, in passato aveva lanciato degli avvertimenti ma riguardo il problema della dipendenza vera e propria si era rifiutata di commentare.

Altro noto esempio è “Call of Duty”, il quale, a causa del moltiplicarsi della componente online, tende a trattenere gli utenti il più a lungo possibile nel gioco.

Effettivamente sono molti i ragazzi, di un età compresa tra i 14 e 25 anni, che trascorrono diverse ore al giorno davanti alle console di gioco e molti di loro pagano per “sbloccare” nuove versioni. Spesso i genitori degli adolescenti accettano di spendere piccole somme per accontentare i figli  senza rendersi conto che ciò potrebbe essere il primo passo verso una ben più grave dipendenza.

Viene domandato ad alcuni ragazzi: “Cosa ti spinge a pagare un gioco online, nonostante lo abbia scaricato gratuitamente?”

Aldo, 23 anni: “Credo che sia  fatto che dopo aver capito come si gioca, ci si concentri, più che altro, sui dettagli e quindi acquisti molti più accessori. Poi essendo online, ti permette interagire con altri giocatori, e cosi il gioco di per sé diventa più avvincente.”

-“Consideri che giocare, per te, sia una passione, un hobby o altro?

Simona, 24 anni: “In realtà la considero un semplice passatempo, un modo per togliere lo stress. Passo mediamente dalle 3 alle 4 ore davanti ai videogames.”

-“Durante l’isolamento forzato causato dal Covid-19 senti che giocare ai videogiochi si sia rafforzato?”

Alessandro, 26 anni: “Abbastanza, ma è stato più che altro per noia. Non avendo nulla da fare, passare ore davanti ad un pc o uno smartphone può diventare quasi un’abitudine.”

Dunque, date le affermazioni sopracitate, si potrebbe giungere alla conclusione che l’aumento di tempo speso a giocare viene spiegato dall’incremento del desiderio del gioco.

Un fenomeno insolito: Hikikomori

“Hikikomori” in gergo giapponese significa “stare in disparte”, è un fenomeno che colpisce soprattutto i giovani dai 14 ai 30 anni, principalmente maschi. Si tratta di un meccanismo di difesa messo in atto come reazione alle eccessive pressioni di realizzazione sociale tipiche delle società capitalistiche.

La vita di questi ragazzi si svolge, per lunghi periodi, all’interno delle loro stanze giocando con i videogiochi e navigando su internet.

Al momento in Giappone ci sono oltre 500.000 casi accertati. In Italia, secondo Hikikomori Italia, un’associazione di sensibilizzazione e informazione del fenomeno, ci sarebbero almeno 100.000 casi.

Le cause dell’hikikomori sono varie in quanto si tratta della somma di una serie di elementi caratteriali, scolastici, sociali e familiari che si pongono alla base della fragilità caratteriale dei ragazzi che provano dolore e disagio nel vivere alcune situazioni sociali.

Tuttavia non lo si può considerare né una causa di dipendenza dal computer e dai videogiochi né una dipendenza di per sé, ma risulta essere innegabile il fatto che esso rappresenti una possibile conseguenza dell’isolamento una dipendenza dal computer e dai videogiochi.

Pertanto, suddetto fenomeno può essere considerato un elemento in più da tenere in considerazione qualora si manifestino dei primi sintomi di “Gaming Disorder”.

Il paradosso del videogioco scatenatosi durante la quarantena

Uno dei settori dell’industria culturale che sembra aver sofferto meno degli altri le conseguenze del lockdown, imposto dalla pandemia di coronavirus, è quello del gaming.

Lo stesso Oms ha lanciato una campagna #PlayApartTogether, con l’obiettivo di invitare le persone a rimanere a casa e rispettare le linee guida del distanziamento sociale, promuovendo i videogiochi come forma d’intrattenimento utile durante la quarantena. I videogiochi, secondo l’OMS, possono avere effetti terapeutici per i giocatori in quanto strumento di distrazione e mezzo di comunicazione sociale permettendo di rimanere in contatto con i propri amici nelle diverse modalità multiplayer online.

Questa è stata un’occasione d’oro anche per numerose iniziative di responsabilità sociale, ovviamente, sempre in riferimento ai videogiochi. Un esempio è rappresentato dal “Play at Home” della Sony Playstation, il quale ha dato la possibilità di scaricare gratuitamente due titoli cult del proprio catalogo: “Uncharted” e “Journey”.

Inoltre, bisogna tener conto anche del fatto che, durante l’isolamento forzato, le vendite di giochi e console sono stati in costante aumento. Infatti, secondo il Gamesindustry, durante il mese di marzo le vendite di videogiochi hanno avuto un incremento del 51 %.

Tuttavia, tutto ciò risulta essere quasi un paradosso se si pensa a quanto affermato l’anno scorso dall’Oms riguardo il Gaming Disorder.

Che si tratti di un passo indietro da parte dell’organizzazione? In realtà tale scelta potrebbe essere inteso come un semplice mezzo di comunicazione pensato per unire anziché isolare. Dunque, ciò rappresenta un aspetto positivo per riscoprire le qualità più profonde del videogioco.

Direttore responsabile: Claudio Palazzi

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