Campione del mondo dal 1964 al 1978, un oro olimpico nel 1960, 56 incontri vinti e solamente 5 persi. Eletto Boxer of the Year dalla prestigiosa rivista Ring Magazine nel 1963, nel ’72, nel ’74, nel ’75 e nel 1978, inserito fra i più grandi pugili di tutti i tempi nella International Boxing Hall of Fame, nominato Sportman Of The Century da Sports Illustrated e Miglior Peso Massimo di sempre in The Ring. Premiato Atleta maschile dell’anno dall’Associated Press nel 1974, e scelto dalla rivista TIME come una delle personalità più influenti del XX secolo nella categoria Heroes And Icons, unico sportivo insieme a Pelé e Bruce Lee. Muhammad Ali: “il più grande” dentro e fuori dal ring Direttore responsabile: Claudio Palazzi
“Io sono il più grande, l’ho detto prima ancora di sapere che lo fossi.”

Muhammad Ali, The Greatest, è entrato nella cultura di massa del Novecento, come uno dei più grandi sportivi di sempre, ma non solamente.

Ali nasce a Lousville nel 1947 con il nome di Cassius Clay. Cresce in una famiglia di ceto medio, e, come raccontato nella sua autobiografia, viene a contatto già in ambito famigliare con i temi dell’autodeterminazione nera contro “i diavoli bianchi” e i loro soprusi, trasmessi specialmente dalle invettive del padre, metodista praticante moderato. Queste idee, scolpite nella sensibilità dell’allora Cassius, erano alla base del movimento religioso della Nazione Dell’Islam, la NOI, alla quale Cassius si accosta intorno ai primi anni Sessanta. Affascinato dalle rivendicazioni del movimento e dalla capacità attrattiva che scaturiva dai suoi esponenti, Elijah Muhammad e Malcom X, il giovane pugile, nel 1964, il giorno dopo la vittoria del titolo mondiale, si converte all’Islam aderendo alla NOI.
“Cassius Clay è un nome da schiavo. Io non l’ho scelto e non lo voglio. Io sono Muhammad Ali, un nome libero.”
Il cambiamento del nome, prerogativa che la NOI concedeva solo ai pastori più importanti della setta, fu una dichiarazione politico-religiosa per Ali, ma, molti studiosi ritengono, anche una mossa strategica architettata da Elijah per incrementare la visibilità della NOI. Tuttavia, abbracciando il radicalismo della Nazione dell’Islam, Ali intendeva dare voce a quella rabbia a quella necessità di autodeterminarsi come uomo nero americano, e trovò nella NOI uno “strumento” per compiere il primo passo.

“Se io non avessi mai urlato all’inizio della mia carriera nessuno mi avrebbe dato importanza” ricorda lo stesso Alì una volta ritirato.

Il messaggio incarnato dalla religione diviene un messaggio politico, volto alla diretta definizione della propria condizione sociale e all’affermazione del suo “essere nero” in una società ancora profondamente divisa. La fede musulmana rimane la fonte della sua forza ma, una volta “urlata” la sua necessità, Ali abbandona il radicalismo del messaggio della NOI, che spingeva sul separatismo tra i bianchi e i neri, per abbracciare invece una concezione fondata sulla integrazione e sulla pace.

Nel 1967 Muhammad Ali compie un altro audace gesto politico, che gli costerà l’interruzione della carriera e una condanna a 5 anni in prigione. Il pugile si rifiuta di combattere in Vietnam, dichiarandosi obiettore di coscienza.

“Nessun Vietcong mi ha mai chiamato negro” afferma Ali, celando, dietro il suo caratteristico stile polemico e diretto
di public speaking, una convinzione politica profondamente radicata.

Privato del titolo di Campione del Mondo dei pesi massimi e della licenza per combattere sul ring, bloccando la sua carriera negli anni più fruttuosi per un giovane pugile, sottoposto ad un linciaggio mediatico da gran parte dell’opinione pubblica statunitense, Ali compie una scelta coraggiosa, che lo renderà un’icona della controcultura degli anni Sessanta. Ali si schiera fermamente contro “la dominazione dei padroni bianchi sui popoli di pelle scura in tutto il mondo”, dichiarando che “non disonorerò la mia religione, la mia gente e me stesso per diventare uno strumento per la riduzione in schiavitù di coloro che stanno combattendo per la giustizia, la libertà e l’uguaglianza.”

Nel giugno del 1970, dopo svariati ricorsi, la Corte Suprema decide che l’arruolamento può essere rifiutato per motivi religiosi. Anche l’opinione pubblica riguardo l’intervento in Vietnam è mutato e Muhammad Ali vince la sua battaglia giuridica e mediatica, ma sul piano sportivo ci vorrà più tempo. Ricomincia a combattere sul ring dopo 3 anni e 7 mesi di assenza. Un sacrificio che ha comportato una perdita enorme in termini sportivi e di guadagno, ma in cambio, lo ha reso un simbolo non solo per il popolo nero quanto per tutti gli oppressi della Terra.

Muhammad Ali è considerato uno dei più grandi sportivi di tutti i tempi, ma, come dichiarò il giornalista Gianni Minà, la sua grandezza di Uomo rischiò quasi di oscurare la sua grandezza come sportivo. Lottò dentro e fuori dal ring, con la stessa caparbietà e con lo stesso coraggio, diventando una fonte di ispirazione tanto per i praticanti dello sport, quanto per tutti coloro che come lui, credono nel bisogno di combattere per la conquista di un mondo più giusto.

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