Agrigento oltre il suo mito, ritratto di una città

Chiedendo agli abitanti del luogo vi sono di certo buonissime probabilità che ad una domanda, apparentemente banale, come “Cos’è per te la città di Agrigento?” una larga porzione degli agrigentini risponda con un miscuglio di affermazioni e opinioni intricate, difficili da discernere o da inquadrare all’interno di una rappresentazione statistica ordinata.

Ci sarà chi risponderà tirando in ballo i grandi fasti dell’Akragas greca e del suo dominio su larga parte della Sicilia; altri magari risponderanno criticando l’amministrazione comunale attuale; i più anziani poi citeranno con molta probabilità il periodo del secondo dopoguerra e del miracolo economico; i più giovani, diciamo nella fascia d’età 18-25, tireranno in mezzo l’Agrigento letteraria, la città di Pirandello e Camilleri.

Dunque, a chi credere? La verità è che non esiste una risposta giusta o sbagliata a questa domanda ed anzi, tutte e quattro le opzioni possono considerarsi valide. Semmai, è proprio la domanda ad aver bisogno di essere corretta: occorre infatti specificare a quale dei tanti modi di intendere “Agrigento” ci si sta riferendo.

Agrigento è ormai una cittadina schiava da secoli delle proprie maschere. Nei millenni si sono susseguiti così tanti ruoli, così tanti spostamenti fra una ribalta ed un retroscena civile, politico e culturale da renderla tanto anonima quanto incredibilmente iconica. Non esiste una sola Agrigento, ma tante quante sono le risposte possibili alla domanda posta poco sopra.

Agrigento nelle pagine di Pirandello

Cosa significhi la città di Agrigento per Pirandello ci si mette poco a capirlo. È qui che il Premio Nobel per la Letteratura è nato e qui ha voluto essere seppellito. Il legame fra autore e città è innegabile e senza dubbio prepotentemente presente in gran parte della sua carriera produttiva. Terra amata più di ogni altra, ma non per questo volgarmente idealizzata o miticizzata nelle sue opere.

Basta leggere le pagine introduttive a “I vecchi e i giovani” (1913) per rendersi conto della schiettezza di Pirandello nei confronti di una città lui tanto cara. In queste poche righe introduttive all’opera ecco che Agrigento appare come un paese desolato, grigio, morto: “il vuoto desolato di lunghi giorni tutti uguali”. Si tratta di un passaggio in netta contrapposizione con i personaggi ed il tema trattato, quello dei Fasci Siciliani ed il grande fervore di rivoluzione.

Ma non è solo qui a comparire questa immagine tetra e spietatamente reale dell’isola. La Sicilia, ed Agrigento in particolare, sono la vera presenza costante di ogni opera pirandelliana. A volte è un luogo ben esplicitato dal racconto come per “La Giara” (1916) o “Lumie di Sicilia” (1910), ma anche all’intero di alcune delle opere più nome come “L’esclusa” (1901) o “Il fu Mattia Pascal” (1904); altre volte è invece esposto implicitamente come per l’isola vulcanica e, almeno inizialmente, felice de “La nuova colonia” (1926).

In tutte le opere di Pirandello si sussegue la figura-ambientazione di Agrigento e della Sicilia intera. Una presenza pregnante e permeante di tutto il corpus pirandelliano. Di Agrigento egli prende tutto il rappresentabile nella piena ottica del verismo italiano del tempo, sugli insegnamenti di maestri come Verga e Capuana.

Ecco allora che dalle numerose pagine dello scrittore esce una versione di Agrigento tutta sua. Né romanzo né cronaca storica, ma interpretazione di una società fatta di scontri fra tradizione e modernità, dei soprusi sulla classe contadina, di superstizioni e caratterizzata da quell’atteggiamento umoristico agrodolce nei confronti del reale che ne è tratto distintivo.

Il mito di Agrigento nella storia: presente e passato

Non è un segreto come basti fare un giro per le vie di Agrigento che, fra centro e periferia, ci si trovi catapultati in oltre duemila anni di storia a cielo aperto. Millenni di storia (e di storie) hanno attraversato in lungo ed in largo tutto il territorio dell’attuale provincia ed i segni sono ancora ben visibili da chiunque.

Il ricordo della grande Akragas di origine greca è testimoniato al meglio dalla maestosa Valle dei Templi, uno dei complessi monumentali di età ellenistica più grandi presenti al mondo. Undici templi, tre santuari, tombe illustri e vaste necropoli restano oggi come il più grande lascito ai posteri di quella che Pindaro definì, a ragione, “la più bella città dei mortali”.

Non bastarono le vittorie su Cartagine né quelle sulle vicine Gela e Siracusa, però, quando ad abbattersi su Akragas fu la grande Roma. Un bottino ambito, una città ricca e prospera, così era vista dalla Repubblica. E allora Akragas divenne Agrigentum, pur restando una comunità principalmente grecofona. E se con il dominio romano sicuramente diminuì il ruolo politico di Agrigento, a restare solido fu il mito della città. Il lascito più rilevante di questo periodo sono oggi i resti di epoca romana, un cantiere archeologico che di anno in anno riporta sempre nuove scoperte.

E anche quando dai romani la città passò ai bizantini e l’importanza reale del centro abitato diminuiva sempre di più, ad arricchirsi era il mito cittadino. Sempre più folto, un mito che già sotto Giustiniano I vantava radici più profonde di Roma o della stessa Costantinopoli.

Con la cacciata dei bizantini arrivarono gli arabi, lasciando più di altri un segno ben riconoscibile all’interno dell’attuale centro storico. Toponomastica, architettura, urbanistica: gran parte dell’Agrigento moderna porta con sé un forte DNA arabo. A contribuire al mito cittadino ci pensarono anche i normanni, con castelli, palazzi, residenze sparse in tutto il circondario di quella che intanto era diventata Kerkent sotto i Califfi e Girgenti sotto re Ruggero.

E poi ancora castigliani, francesi, aragonesi, i tribolati anni del regno delle Due Sicilie ed infine l’unità garibaldina. Un percorso di circa duemila anni, poco più, quello che separa la fondazione del primo nucleo abitato di Akragas allo sventolare incessante del primo tricolore nazionale in cima al palazzo del governo locale.

Duemila anni che, si potrà ben notare, hanno portato ad una incessante e continua stratificazione del tessuto urbanistico e sociale della città. Fra cambi al potere, epidemie, spopolamento, guerre, la coscienza cittadina ha iniziato allora a rifarsi sempre meno a quella rigida e dolorosa realtà dei fatti di una città sempre meno centro della Sicilia. Al contrario, Agrigento ha iniziato a venire considerata tutt’uno con il suo stesso mito.

Oltre il mito. Anatomia dell’Agrigento reale.

Ma se allora la “vera” Agrigento non è né l’interpretazione, pur cruda e reale, che ne da Pirandello, né tanto meno il mito quasi agiografico dell’antichità…cos’è?

Quello che oggi appare essere Agrigento è, curiosamente, una via di mezzo. Anonimo e grigio capoluogo di provincia, più decadente di molti altri; ma allo stesso tempo centro attivo, aggregatore sociale, cluster multiculturale. Cittadina ai margini dello spettro politico; ma anche simultaneamente vera porta all’Italia, all’Europa. Un centro urbano da poco più di 50.000 abitanti, con nulla di speciale da offrire; ma contemporaneamente meta turistica per decine di migliaia di persone ogni anno.

Ed ancora Agrigento è molte cose diverse tutte insieme. Da un lato è uno dei principali centri siciliani di aggregazione mafiosa; dall’altro è terra natia per figure come Rosario Livatino, Pino Camilleri, Gaetano Guarino, figure che in tempi diversi e con modi diversi hanno dato la propria vita per aiutare nel contrasto a Cosa Nostra.

Dunque in conclusione di Agrigento si può dire tanto e nulla. È l’esempio forse più calzante, in una Sicilia ancora troppo statica, di quel dinamismo socioculturale tipico del relativismo postmoderno. Agrigento può essere ciò che chiunque la veda desideri. Può essere il borgo grigio e desolato, può essere la più bella città dei mortali, può essere il capoluogo di provincia. Nessuna risposta sarà mai errata, perché Agrigento è al tempo stesso tutte queste cose.

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