BREXIT: cos’è?

Con il termine Brexit si indica l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, così come sancito dal referendum che si è svolto lo scorso 23 giugno 2016.
Gli elettori (non solo Inglesi, ma anche Scozzesi, Gallesi e Irlandesi del Nord) dovevano decidere, nella cabina elettorale, tra Leave e Remain.  La maggioranza, circa il 52%, ha votato per Leave, manifestando, quindi, la volontà di voler lasciare l’Unione Europea e determinando così una chiusura definitiva della Gran Bretagna verso un’istituzione mai troppo amata.
Il risultato del referendum ha colto impreparato l’allora Primo Ministro, David Cameron, favorevole alla permanenza del Regno Unito nell’Unione, portandolo così a rassegnare le proprie dimissioni.
Dopo il “ritiro” dei due vincitori del referendum, Nigel Farage e Boris Johnson, la responsabilità della trattativa sul distacco dalla UE è passata nelle mani di Theresa May, il nuovo ed attuale primo ministro conservatore, la quale sembra voler ricalcare, in qualche modo, le orme dell’euroscettica Margaret Thatcher, ritagliandosi un ruolo da nuova Lady di Ferro.

BREVE EXCURSUS STORICO: EUROPA E REGNO UNITO

La comunità Europea, diventata Unione Europea nel 1992, era nata dopo la seconda guerra mondiale per agevolare una coalizione di stati che collaborassero per creare una società e un’economia forte e sviluppata tecnologicamente, competendo così con le grandi potenze mondiali ed evitando altri conflitti militari.
La Gran Bretagna entra a far parte della Comunità Europea nel 1973, aderendo così ad un progetto comune di supporto e sviluppo internazionale. I paesi del Regno Unito hanno sempre avuto un rapporto particolare rispetto agli altri stati, avvantaggiati anche dalla loro collocazione geografica isolata.
Un esempio è la mancata adesione da parte del Regno Unito all’Euro.
Uno dei motivi per cui il Governo Inglese ha indetto il Referendum è stato vedere che, con il passare degli anni, la solidarietà e i vantaggi dell’Europa sono diventati molto inferiori rispetto alle pesanti regole da rispettare, sfavorendo soprattutto, economicamente, le classi sociali più deboli.

IL PROCESSO DI USCITA

Brexit è a metà del traguardo: un anno fa la premier Theresa May decise di invocare l’articolo 50 dei Trattati, facendo scattare il conto alla rovescia verso l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. L’impatto dell’uscita è attutito dall’accordo siglato da Londra e Bruxelles, che prevede un periodo di transizione fino alla fine del 2020, ma nella psiche britannica la data simbolica di uscita resta il 29 marzo 2019.
Il 5 aprile 2017 il Parlamento europeo ha votato a larga maggioranza una risoluzione che delimita i confini entro i quali dovrà realizzarsi il processo di uscita. I negoziati hanno, quindi, avuto inizio il 19 giugno 2017. Anche se sono rimaste forti contrarietà interne al Regno Unito, gli incontri sono andati avanti ed è del 19 marzo 2018 l’annuncio del capo negoziatore UE Michel Barnier secondo il quale l’accordo è “completo” su diritti dei cittadini e conto economico/finanziario del distacco.
Resta ancora in sospesa la questione Irlandese.

CONSEGUENZE SULL’ECONOMIA INGLESE

A seguito del referendum consultivo del giugno 2016, la sterlina britannica ha subito la più forte svalutazione dai tempi della Seconda Guerra Mondiale.
Sull’economia si manifestano più evidenti gli schieramenti su Brexit.
Il fronte pro UE sottolinea che l’economia britannica è passata da essere la più dinamica in Europa ad essere il fanalino di coda del G-7. Le incertezze legate a Brexit hanno impedito all’economia britannica di sfruttare il vento a favore della ripresa globale sincronizzata.
I sostenitori di Brexit, invece, preferiscono sottolineare la capacità di resistenza che l’economia britannica ha dimostrato in un periodo di straordinaria incertezza.
Superata la fase di transizione, secondo i sostenitori, l’economia britannica potrà tornare ad aprirsi completamente, una volta libera dai freni imposti dall’appartenenza all’UE.

POCA INFORMAZIONE SUL REFERENDUM BREXIT

Molti dei sostenitori della Brexit stanno scoprendo che non potranno più usufruire dei fondi europei per le loro imprese (in particolare quelle agricole). Ovviamente sono vittime della disinformazione. Se avessero saputo che i soldi ricevuti per far crescere le loro aziende venivano dall’UE, probabilmente avrebbero votato diversamente.
Il Ministro dell’agricoltura Michael Gove ha di recente dichiarato che il comparto agricolo continuerà ad essere supportato dopo la Brexit almeno sino al 2022 con il regime attuale, ovviamente con i soldi britannici anziché europei.

THERESA MAY: “STOP AGLI EUROPEI IN CERCA DI LAVORO”

“Non sarà più permesso alle persone di arrivare dall’Europa nella remota possibilità che possano trovare un lavoro”: così la premier britannica, Theresa May, scrive su Facebook. “Accoglieremo sempre – aggiunge – i professionisti qualificati che aiutano la nostra economia a prosperare, dai dottori alle infermiere, agli ingegneri e agli imprenditori ma, per la prima volta da decenni, avremo il pieno controllo dei nostri confini”.

CONSEGUENZE PER GLI ITALIANI PRESENTI IN GRAN BRETAGNA

Le intenzioni evocate dalla premier Theresa May, avrebbero dirette conseguenze sugli italiani già presenti in Gran Bretagna e su quelli intenzionati a entrare nel Paese in cerca di un lavoro.
La Gran Bretagna rappresenta la meta preferita per i giovani italiani in cerca di occupazione anche perché consente di completare l’esperienza di vita all’estero con l’apprendimento della lingua più diffusa a livello lavorativo. E adesso? Quale meta sceglieranno i giovani?

CONCLUSIONI

Sono tre le opzioni che si delineano per la Brexit.

  1. La prima è quella di un voto in Parlamento sull’accordo finale, con la possibilità che il Parlamento bocci l’accordo raggiunto e rimandi il governo al tavolo negoziale a Bruxelles.
  2. La seconda opzione è che l’accordo sia sottoposto a un secondo referendum, offrendo stavolta agli elettori la possibilità di votare in maniera informata, pienamente consapevoli delle conseguenze della Brexit.
  3. La terza opzione è che il Parlamento blocchi la Brexit, il che creerebbe un’immediata crisi costituzionale con la conseguente, inevitabile caduta del governo May, nel qual caso tutti gli scenari sarebbero aperti.

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