Com’è essere un rider ai tempi del covid-19
Per chiunque abiti nel cuore di una grande città italiana il panorama di questi giorni guardando fuori dalla finestra è un po’ monotono. Oltre a qualche passante con le buste della spesa ci sono poche vetture che circolano, per lo più delle forze dell’ordine. Una calma piatta interrotta dal rombo della marmitta di qualche veicolo a due ruote. Probabilmente appartenente ad un rider che sta effettuando una consegna. In questi giorni di lockdown sono poche le categorie di lavoratori che possono lavorare fuori dalla propria abitazione. La maggior dei lavoratori infatti lavora da casa, in regime di smart working.
Quella dei riders invece è stata considerata un’attività essenziale e pertanto per questi lavoratori è possibile continuare a lavorare senza alcuna limitazione. Ma per analizzare a pieno la questione ed estrapolarne le dovute contraddizioni è necessario fare un passo indietro alla scoperta della figura dei riders.
Chi sono e di cosa si occupano i riders?
I riders sono individui che tramite mezzi propri come auto, moto o biciclette si occupa di ritirare presso determinate categorie di esercenti commerciali dei prodotti da consegnare presso il domicilio del cliente. Tali esercenti commerciali sono per lo più ristoranti, pizzerie e fast food. Ciò avviene in zone delimitate di una città, anche se vi sono aziende come Glovo che non utilizzano tali limitazioni. In questo modo può capitare di dover attraversare l’intera città per consegnare della pizza a domicilio.
Il mondo della gig economy
Il lavoro dei riders è figlio della gig economy, una delle nuove forme di organizzazione dell’economia digitale. Nata grazie allo sviluppo di piattaforme sempre più efficienti e performanti compatibili con l’apparecchio tecnologico più diffuso nelle tasche degli italiani, lo smartphone. Ciò che fanno queste applicazioni è molto semplice. Mettono in contatto domanda e offerta di un bene o di un servizio. A volte sia di un bene che di un servizio. È infatti il modo in cui cliente ed esercente vengono messi in contatto ad essere rivoluzionario.
Oltre alla consegna a domicilio di prodotti fanno parte di tale categoria: l’uso dell’auto privata come taxi su richiesta, l’affitto di una camera, le ripetizioni private e molto altro. Ciò che emerge per questi tipi di lavori è il carattere saltuario e l’essere considerati “lavoretti”. La problematica è che i lavoratori coinvolti nella gig economy aumentano ogni giorno, e per molti di loro questa è l’unica fonte di reddito.
Datore di lavoro ed app
Ma torniamo ai riders. Il loro datore di lavoro è quindi un’applicazione da scaricare sul proprio smartphone che tramite un algoritmo gli fornisce due indirizzi. Il primo è quello dove ritirare il prodotto. Il secondo quello dove consegnarlo. Ovviamente in cambio di un determinato corrispettivo calcolato sempre da quest’app.
La paga dei riders
È difficile stimare la paga media di un rider e ancor di più prevederla. Da contratto nessuna azienda del food delivery offre una paga oraria garantita. La paga avviene per cottimo, ovvero per numero di consegne. Ogni azienda ha ovviamente dei criteri differenti per il pagamento. C’è un guadagno fisso, derivante dall’aver effettuato la consegna. E un guadagno variabile che dipende dalla distanza in chilometri percorsa dal rider per prelevare e consegnare il prodotto.
Alcune aziende includono nel conteggio anche la distanza tra la posizione del fattorino e quella del ristorante, altre solo quella dal ristorante al cliente. Il guadagno per consegna e per chilometri varia da azienda ad azienda. Di sicuro c’è che negli ultimi anni i compensi sono andati diminuendo.
Come si accede ai turni?
Anche in questo caso vi sono differenze tra le varie aziende. In linea generale c’è una data o più date in cui viene aperta la prenotazione dei turni. Solo che non per tutti i riders tale prenotazione si apre alla stessa ora, ma dipende dal proprio punteggio raggiunto. Vi è quindi una sorta di prelazione sulla prenotazione dei turni per i rider più “efficienti”. Tale efficienza è data dalla combinazione di più variabili.
Tra le variabili vi sono ad esempio il numero di consegne, le valutazioni dei partner e dei clienti. In alcuni casi nemmeno i riders conoscono tali variabili o le modalità con cui vengono assegnati i turni per le prenotazioni. È importante sottolineare che questo “ranking reputazionale” sottrae punteggio se non ci si rende disponibili a lavorare. Ciò potrebbe spingere qualche riders a lavorare nonostante la presenza di sintomi per non precipitare nelle statistiche aziendali.
Il lavoro dei riders è davvero essenziale?
“Personalmente non ritengo che mangiare il gelato alle 4 del pomeriggio piuttosto che ordinare un cena da un fast food, o da una pizzeria siano servizi essenziali alla sussistenza. La consegna di beni di prima necessità dai supermercati invece lo sono”. Queste sono le parole di Emanuele Marcari, rider e attivista, nell’episodio “Riders in quarantena” di Radio Contagio. Intervistato in maniera esaustiva dal suo collega d’università Gianmaria Oroni.
I riders continuano a lavorare pur non avendo garanzie. Nonostante l’emergenza lavorano ancora senza una paga oraria minima. Non considerando assolutamente il rischio al quale sono in questo momento esposti. I cosiddetti DPI sono stati consegnati con molto ritardo dalle aziende, e nel frattempo molti si sono dovuti attrezzare autonomamente. La problematica è insita nel sistema. Secondo le aziende del food delivery, i riders non sarebbero da tutelare come lavoratori subordinati in quanto lavoratori autonomi.
Le uniche disposizioni pervenute dalle aziende in maniera tempestiva riguardano la consegna “contactless”. Ovvero l’utilizzo di modalità che evitano il contatto fisico tra riders, ristoratori e clienti. Per minimizzare il rischio di essere contagiati o di contagiare in caso si fosse positivi.
Minacce per la salute pubblica
Le circostanze attuali hanno determinato in alcuni casi un sovraccarico di prenotazioni che sono degenerate in assembramenti di riders fuori dai ristoranti. Tali circostanze sono pericolose per la salute pubblica. È Infatti in gioco la sicurezza dei lavoratori, della clientela e degli esercenti. Sarebbe necessario uno scaglionamento degli ordini. Tale da impedire gli assembramenti a cui tutti siamo ormai purtroppo abituati ad assistere all’esterno dei maggiori partner del food delivery.
È possibile tollerare il lavoro a cottimo, senza diritto alla malattia e senza garanzia alcuna date le circostanze attuali? Il dubbio è più che legittimo.
Facciamo chiarezza
Ciò che emerge è quindi una problematica di fondo legata al tipo di contratto che i riders pongono in essere. Cerchiamo di analizzare meglio la questione con Mihai Popescu, Segretario Generale di NIdiL Cgil Rieti Roma Est Valle dell’Aniene. Che ringraziamo per aver gentilmente accettato la nostra intervista
Che tipo di contratto sottoscrivono i riders?
La domanda è importante e provo a non scendere troppo nei tecnicismi per essere il più chiaro possibile agli occhi dei lettori. I riders non firmano dei contratti di lavoro subordinato, ma per lo più hanno contratti di collaborazione occasionale. Altri, che arrivano a percepire più di 5000 € annui, invece lavorano tramite partita iva. Anche se tale partita iva è da considerarsi poco veritiera poiché c’è poco di lavoro autonomo in quello di cui si occupano questi lavoratori. Pertanto, è dal nostro punto di vista lavoro subordinato a tutti gli effetti.
Ad avvalorare la nostra posizione c’è la sentenza della Corte di Cassazione che riconosce a queste forme di lavoro parte della disciplina della subordinazione.
Quali sono le implicazioni negative che emergono dalla natura di questo contratto?
Il pagamento a cottimo è sicuramente una delle problematiche maggiori. A tal riguardo sorge un paradosso proprio dovuto al periodo che stiamo attraversando. Ovvero queste attività che vengono spacciate per lavoretti sono state riconosciute dal governo come attività essenziali. È chiaro che ci troviamo in una fase storica delicata. Il bisogno di minimizzare gli spostamenti e mantenere il distanziamento sociale rende utile la consegna a domicilio di pasti e beni essenziali.
Tornando alla problematica del pagamento a cottimo essa produce un meccanismo dove più consegne vengono effettuate più si guadagna. Ciò determina incertezza circa la paga oraria, dipendente esclusivamente dal numero di consegne effettuate. Da qui il problema della sicurezza negli spostamenti. I riders sono infatti incentivati ad essere rapidi nelle consegne per poterne effettuare il più possibile. Unico modo per guadagnare di più. Sfogliando i giornali negli ultimi anni è evidente come vi siano stati vari incidenti, anche mortali, dovuti proprio all’incentivo dei riders nell’essere veloci negli spostamenti.
La problematica è quindi questo tipo di organizzazione del lavoro che si basa sul cottimo. Vi sono inoltre problemi legati all’algoritmo che non distingue le giornate in cui un rider decide di rifiutare le consegne da una giornata di malattia o un diritto allo sciopero. Non accettando la consegna si determina l’abbassamento del ranking, indipendentemente dalle motivazioni. Connesso a ciò la diminuzione delle fasce orarie in cui è possibile lavorare. Bisogna chiarire che l’algoritmo non è un’entità astratta. Tali problematiche sono l’effetto di scelte mirate delle aziende del delivery food, poiché sono loro a programmare tale algoritmo. L’organizzazione del lavoro di queste piattaforme non prevede quei diritti di cui i contratti collettivi nazionali tengono conto.
Ricapitolando malattia e possibilità di sciopero non esistono per questi lavoratori. Fortunatamente da febbraio si applicano le tutele previste dall’Inail riguardo gli infortuni. Bisogna quindi continuare a lavorare affinché questi lavoratori ottengano i diritti e le tutele che gli spettano.
A che punto si trova la contrattazione collettiva tra le organizzazioni sindacali e datoriali dei riders comparativamente più rappresentative a livello nazionale?
Fortunatamente non siamo all’anno zero. Qualche passo in avanti è stato fatto. C’è un dialogo aperto con il governo ma ad oggi la problematica riguarda soprattutto il rifiuto delle piattaforme del food delivery nell’avere un confrontato con i sindacati. Come accade in altri settori ovviamente. E’ un tema che rimane aperto e su cui continuiamo a batterci e a mobilitarci.
Credo che ci stiamo muovendo nel terreno del futuro, nonostante il ritardo clamoroso con cui lo si sta facendo. E necessario che le piattaforme capiscano la necessità del confronto con le organizzazioni sindacali. Per contribuire a costruire una legislazione di tutele e garanzie per questi lavoratori. Queste aziende devono abbandonare la loro narrazione nella quale descrivono le attività dei riders come lavoretti da studenti per arrotondare. Ci sono tantissime persone che lavorano e vivono consegnando pasti ed altro a domicilio. Oltre al fatto che ogni lavoratore, a prescindere dall’attività che svolge, debba avere diritti e tutele. Soprattutto circa la sicurezza e la salute.
Quali azioni devono essere ancora intraprese per garantire maggiori tutele per i riders durante l’attuale emergenza sanitaria?
Purtroppo, la problematica relativa alla carenza delle forniture dei DPI tiene ancora banco. In molti casi tali dispositivi non sono stati distribuiti ai lavoratori, mentre nelle migliori delle ipotesi è previsto un rimborso per il loro acquisto. Vi sono state anche delle condanne nei tribunali di Bologna, Roma e Firenze nelle scorse settimane riguardanti proprio questa tematica. Nell’ultimo periodo c’è stata una forte crescita del food delivery, derivante dall’attuale situazione. Perciò non è affatto concepibile l’immobilità di tali piattaforme che continuano a non garantire tutele e sicurezza ai proprio lavoratori.
Fortunatamente riguardo questo punto di vista la Regione Lazio si è mobilitata. Anche grazie alle richieste da noi avanzate come CGIL, è stato previsto un Bonus di 200 € una tantum per riders ed altri lavoratori digitali per l’acquisto dei dispositivi di protezione. Vi è poi una problematica legata alle distanze di sicurezza dovuta agli assembramenti fuori dai locali di ristorazione. Emerge quindi un ulteriore paradosso, dato dall’impossibilità di assembramenti sancita dal Governo, a cui i riders sembra siano esonerati, come se fossero immuni al virus. In questo caso dovrebbero essere ristoranti, pizzerie e fast food a dover costruire le condizioni atte a prevenire tale problematica.
E’ arrivato il momento di essere ascoltati
Per molti ristoranti l’asporto è stato per molti anni niente più che un servizio aggiuntivo, una fonte secondario di reddito.
Dall’inizio del lockdown la situazione è cambiata, diventando la principale ed unica fonte di guadagno. Persino i ristoranti più restii si sono convertiti al delivery food negli ultimi mesi. Tutto grazie ai riders, che nell’emergenza si sono pertanto ritrovati a svolgere un’attività fondamentali per gli introiti di ristoranti e pizzerie. Oltre che per la collettività. E’ pertanto il momento che questi lavoratori facciano valeri i propri diritti, chiedendo più tutele e una reddito orario garantito.
A questi lavoratori come anche a tutti gli altri che rischiano ogni giorno la propria salute va un sentito ringraziamento da parte della collettività. Per aver alleviato le nostre giornate piatte con una pizza, evitando lunghe file al supermercato ad anziani e aver contribuito a far girare un minimo l’economia nel nostro paese.