“SCERIFFI” DI QUARTIERE E VIOLENZA SOCIAL

Sono passati quasi due mesi dall’inizio della quarantena, una sfida improba per Stato e cittadini. Con il passare dei giorni e delle settimane gli umori e i comportamenti degli italiani sono giocoforza mutati, in ragione di una naturale inclinazione umana all’adattamento. E così, dagli appuntamenti fissati sui balconi, per cantare e applaudire tutti assieme, agli aperitivi in diretta sui social, per mantenere intatta la vita sociale, si è giunti progressivamente ad una sostanziale accettazione dello stato di cose esistente. Ebbene, proprio dallo spazio fisico e virtuale dei balconi e dei social è venuta emergendo una nuova figura: lo “sceriffo” di quartiere. A tale proposito, le pagine di quartiere di Facebook sono un’esemplare cartina di tornasole della violenza dilagante su internet.

GIUSTIZIA FAI DA TE

Intendiamoci: le regole vanno rispettate. E ben vengano i richiami alla responsabilità individuale delle autorità. Altra cosa è invece la caccia all’untore. A metà tra inquisitore cinquecentesco e psicopoliziotto orwelliano, lo “sceriffo” di quartiere si erge a paladino della legge, attraverso una scrupolosa quanto maniacale ricerca dal balcone dell’inottemperanza altrui – spesso inesistente o del tutto giustificata – prontamente relazionata sui social e gravata da un carico d’odio e rancore non indifferente.

È sufficiente scorrere le pagine di quartiere – il più delle volte preesistenti alla pandemia e utilizzate per validi fini – o digitare “segnalazioni coronavirus” nel form di ricerca di Facebook per imbattersi in post che documentano la delazione del “reo” (o presunto tale): sia esso il pensionato troppo spesso in giro con il cane, il runner che percorre il viale antistante il condominio di casa, o colui che è andato a fare la spesa una volta in più del necessario.

Naturalmente nei gruppi in questione ci si divide, tra gli inflessibili sacerdoti del #restateacasa e chi lascia da parte l’astio per aiutare, comprendere, non giudicare il prossimo. D’altronde chi sta passando sotto la nostra finestra in questo istante probabilmente non è un trasgressore menefreghista, forse sta andando in farmacia a comprare le medicine per i propri nonni o sta tornando dal lavoro. Ciò che emerge da queste pagine è il proliferare di cittadini – beninteso, una parte – che avvertono la necessità, o addirittura si sentono in dovere, di sostituirsi alle forze dell’ordine per fare giustizia contro altri cittadini. Dal punto di vista psico-socio-antropologico il fenomeno è noto: la ricerca di un capro espiatorio. In questo caso, l’untore che mi ha confinato in casa per settimane.

L’ancestrale bisogno umano di avere, o costruirsi, nemici è oggi aggravato dall’impercettibilità del SARS–CoV2, che non riesce a giustificare il pervasivo senso di impotenza, di vulnerabilità e di costrizione che stiamo sperimentando. Perciò serve un nemico più grande e riconoscibile, un nemico “governabile” su cui recuperare la percezione – illusione – di controllo (runners, genitori che passeggiano con figli piccoli intorno al cortile, e così via). Da qui, paura, angoscia, rabbia e frustrazione, prendono le mosse, unite al bisogno di sentirsi utili, e veicolano le azioni e i comportamenti degli “sceriffi” di quartiere, alla ricerca dell’inosservanza dei vicini di casa, nuovi nemici a causa della loro prossimità fisica. Trovato il colpevole, o presunto tale, scatta la denuncia social: episodi di un’anormale normalità vengono pubblicati, spesso con foto e video a testimonianza, accompagnati con turpiloquio e frasi ingiuriose.

DIVERSE VEDUTE

È interessante notare le differenze di pensiero su questo argomento, per cui ho sottoposto un paio di domande uguali a due studenti universitari, Alessio e Davide:

Cosa spinge le persone ad assumere un atteggiamento così rigoroso ed intransigente?

A: Innanzitutto credo si debba circoscrivere la portata di tale fenomeno. Chiaramente in questo periodo paura e angoscia sono le emozioni che la fanno da padrone, ma in questi post si possono ravvisare anche solidarietà e un forte senso civico nei riguardi della comunità di appartenenza. Gli eccessi sono sempre da condannare; tuttavia, può risultare utile sapere, ad esempio, se in un supermercato non vengono rispettate correttamente le norme di sicurezza o se gruppetti di persone, magari con la scusa del cane, creano assembramenti nel cortile.

D: Credo che questo atteggiamento nasca da un forte sentimento di paura, divenuto con il passare delle settimane frustrazione. Quest’ultima deriva dalla convinzione che la trasgressione degli altri individui possa influenzare in maniera decisiva la durata del lockdown. Dunque, c’entra più la paura per sé stessi che l’avere a cuore la sorte dell’estraneo: l’ossessionante ricerca delle inadempienze altrui è il modo in cui lo “sceriffo” di quartiere gestisce la sua paura e giustifica i suoi sacrifici. Tuttavia, dare in pasto ai social presunte inottemperanze non penso sia il modo giusto di agire; tutt’al più, meglio avvertire le autorità competenti.

Quali effetti può avere nel medio-lungo periodo tale comportamento sulla società?

A: Bisogna anzitutto capire da che parte va guardato il comportamento segnaletico dei cosiddetti “sceriffi”. Se si è in grado di discernere il reale pericolo da una condotta giustificata o necessaria, allora esso può rendere addirittura un “servizio” alla comunità di appartenenza nel breve periodo e, nel medio-lungo periodo, fornire un esempio di impegno civico e morale volto a promuovere un sano patriottismo. Viceversa, la macchina social può essere controproducente, alimentando disprezzo e indivia sociale nella società.

D: Il rischio è quello di dividere la società in due fazioni: buoni e cattivi, rispettosi delle regole e incoscienti che mettono a rischio la salute pubblica. Ma nel mezzo c’è un mondo: solo per citare degli esempi, situazioni familiari con casi di violenza, famiglie di cinque persone costrette a convivere in 45 mq, persone sole, depresse o con disfunzioni. La violenza dilagante sui social potrebbe durare più a lungo del virus, traducendosi in ripercussioni sociali di lunga durata: su tutte lo scetticismo e la sfiducia nelle istituzioni e nei rapporti interpersonali.

SUBITO MIGLIORI

Bisogna ammettere che la comunicazione istituzionale e scientifica, talvolta discordante, i numerosi decreti, le forti reazioni di alcuni sindaci e governatori, le immagini televisive di inseguimenti fino all’ultimo respiro o di droni aleggianti sopra le nostre teste, hanno potuto generare, in un primo momento, confusione rispetto alle informazioni e ai comportamenti iniziali, e, successivamente, un clima di giustificata paura per mantenere l’ordine, testimoniando però l’incapacità dello Stato di mantenere un rapporto di fiducia con i suoi cittadini.

Se a ciò aggiungiamo i numerosi inviti della politica a segnalare comportamenti irrispettosi delle regole, e che quest’ultima – o comunque parte di essa – ha sdoganato per prima l’esposizione alla pubblica derisione dei social del nemico da condannare, la “giustizia fai da te” dello “sceriffo” di quartiere è servita. Stiamo affrontando una tragedia collettiva ed è sbagliato sperare che saremo migliori quando ne saremo usciti: dovremmo fin d’ora dimostrarci tali, comprensivi con gli altri, anche con le loro debolezze e i loro errori. Dunque, meglio un urlo in meno ed una parola di conforto in più. Perché, citando il celebre discorso del neo-ottantenne Al Pacino in Ogni maledetta domenica, una cosa è chiara: “o noi risorgiamo adesso come collettivo o saremo annientati individualmente”.

Direttore responsabile: Claudio Palazzi

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