Il mondo è cambiato molto dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi e con esso, inevitabilmente, è cambiato anche il modo di fare politica.

I cambiamenti sono evidenti sul piano della comunicazione e delle modalità di trasmissione dei propri contenuti. questo, è abbastanza ovvio, è dovuto principalmente al mutare degli strumenti e dei media utilizzati per veicolarli.

Aspettare un cinegiornale, la stampa di un quotidiano; ascoltare la radio o apprendere le notizie direttamente dalla pagina di un social network non è la stessa cosa.

Mutano le tempistiche, i linguaggi espressivi ed in parte anche il target a cui ci si rivolge.

Cambia soprattutto il contesto economico e sociale; la politica nazionale è sempre più influenzata dagli scenari internazionali; la globalizzazione porta merci ed individui a spostarsi sempre più lontano e sempre più spesso.

Di conseguenza non può che mutare anche l’approccio dei partiti all’arena elettorale sia nella propria organizzazione interna che nella comunicazione con i cittadini.

PARTITI DI MASSA

L’immediato dopo guerra è caratterizzato dalla presenza dei cosiddetti “partiti di massa”: partiti dalla marcata componente ideologica che si rivolgono in maniera chiara ad una precisa fascia della popolazione.

A dominare la scena politica è il dualismo tra la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista.

Il contesto storico e lo scenario internazionale di quegli anni influiscono fortemente sulla composizione politica dei partiti italiani.

Si ripropone in parte, su scala nazionale, la dinamica dei blocchi contrapposti che ha segnato gli anni della guerra fredda e della divisione tra il modello capitalista statunitense e quello comunista sovietico.

Il Partito Comunista Italiano è per lunghi anni il più grande partito comunista dell’Europa occidentale (in termini di risultati elettorali) pur non riuscendo mai a raggiungere la maggioranza assoluta né tantomeno a ricoprire posizioni di governo.

Si articola sul territorio con molte sezioni locali e cerca di radicarsi principalmente facendo eleggere i propri rappresentati alla carica di sindaco.

A livello nazionale invece è previsto un comitato centrale incaricato di “dettare la linea” e dalle cui fila emergono le figure dei vari segretari di partito come Togliatti e Berlinguer.

Sul fronte opposto dello scacchiere elettorale si collocava la “balena bianca”: la Democrazia Cristiana.

Il partito che ha dominato le elezioni politiche per tanti anni ha basato molta della sua fortuna politica sul rapporto con gli USA e sui fondi del Piano Marshall per la ricostruzione post bellica dell’Italia.

Per il suo successo elettorale ha sempre sbandierato la minaccia comunista ponendosi come argine ad essa unendo l’idea di democrazia rappresentativa alla tradizione cattolica del nostro paese.

Pur essendo il partito più votato alle elezioni, il partito di De Gaspari, Fanfani, Moro e Andreotti, è sempre stato attraversato da fazioni e correnti differenti e divergenti al proprio interno.

Ciò che accomuna i due soggetti schierati sui fronti opposti è la prevalenza del partito rispetto al singolo. I leader sono tali in base al loro carisma o alla propria capacità di rappresentanza delle idee del partito ma, è sempre da quest’ultimo che derivano la propria grandezza e ad esso che, infine devono render conto politicamente ed elettoralmente.

IL PSI DI CRAXI

Sfruttando la necessità della DC di intessere alleanze allo scopo di ottenere una maggioranza in parlamento alle elezioni del 1983, il Partito Socialista riesce a far nominare Presidente del Consiglio il proprio segretario Bettino Craxi pur ottenendo solo l’11% dei consensi.

Pur avendo una percentuale abbastanza bassa di consensi, Craxi è perfettamente consapevole che il suo partito sia l’ago della bilancia. Senza il peso determinante del suo elettorato non ci sarebbe la possibilità per il “pentapartito” (DC; PSI; PSDI; PRI; PLI) di formare un governo stabile.

La paura dell’instabilità, di un “salto nel buio” e della possibilità che di tale situazione possano beneficiare i comunisti sono sfruttati abilmente da Craxi durante il suo governo.

Utilizza la contingenza del momento per prendere decisioni forti come il taglio della cosiddetta scala mobile. Si tratta di un meccanismo di adeguamento automatico dei salari per far fronte all’inflazione. Il suo governo la abolisce nonostante la espressa contrarietà dei sindacati e delle piazze di lavoratori.

È un momento di forte scontro con la sinistra extraparlamentare e Craxi mette in gioco la sua stessa presidenza sostenendo che si sarebbe dimesso nel caso in cui il referendum popolare indetto su quel tema avesse visto sconfitta la sua posizione.

Il referendum conferma la scelta di abolire la scala mobile e Craxi vince la sua scommessa.

Il suo modo di fare politica cambia il paradigma che si era seguito fino a quel momento e comincia a dirottare l’attenzione sulla personalità e solo in maniera minore sul partito. Pur vero che, come detto, senza la posizione strategica occupata dal suo partito, basandosi solo sulla sua personalità poco avrebbe potuto fare.

IL “BERLUSCONISMO”

Il cambiamento che si è innescato è irreversibile ed esplode in tutto il suo potenziale proprio a seguito della fine della cosiddetta “prima repubblica” con l’inchiesta chiamata “Mani Pulite” e l’ascesa di un nuovo tipo di politica, quella portata avanti dall’imprenditore Silvio Berlusconi.

Con la creazione di Forza Italia nel 1994, Berlusconi cambia il modo di rivolgersi all’elettorato sia perché lo fa attraverso l’utilizzo dei propri canali televisivi privati, sia perché ad una visione ideologica contrappone quella del “cittadino qualunque”.

Forza Italia pur essendo dichiaratamente un partito di centro destra, si pone oltre la dinamica del partito di massa puntando a raggiungere un elettorato più vasto ed eterogeneo possibile.

Con una retorica autocelebrativa e a tratti paternalistica il suo modo di comunicare si basa sul rimarcare i propri successi imprenditoriali promettendo che la nazione sarebbe stata gestita con la stessa abilità mostrate nelle proprie aziende.

L’idea stessa di utilizzare uno slogan derivato dal mondo del tifo sportivo non è casuale e mira a voler trasmettere un senso di appartenenza nazional popolare e unitario.

La conferma del fatto che abbia dato vita ad un nuovo paradigma è testimoniata dal fatto che per indicare il periodo storico dell’ascesa imprenditoriale e politica di Berlusconi si usi il termine “berlusconismo”.

Gli oppositori politici di sinistra, pur riscendo in due circostanze (nel 1996 e nel 2006) a batterlo alle elezioni non riescono ad avere la stessa forza comunicativa travolgente.

POPULISMO E SOVRANISMO

La crisi economica iniziata nel 2008 ha nuovamente cambiato gli scenari internazionali portando alla nascita di partiti e movimenti cosiddetti challenger.

Si tratta di partiti il cui scopo principale è quello di proporsi come alternativi ai partiti tradizionali basando il proprio programma elettorale sull’opposizione ad alcune tematiche piuttosto che sullo sviluppo propositivo delle stesse.

Nello scenario italiano il simbolo del challeger per eccellenza è il Movimento 5 Stelle di Grillo e Casaleggio.

Nei primi anni di vita, il M5S, si è ritagliato uno suo spazio all’interno dello spettro elettorale cercando di aggregare il dissenso verso quella che loro stessi definivano la “vecchia politica”.

Alla base del ragionamento del M5S si pone la tematica dell’opposizione tra una casta politica corrotta da un lato e il popolo visto come portatore di verità ed onestà.

Una visione della realtà definita, forse anche in senso dispregiativo, populista. Tendente ad assecondare il malcontento popolare, appunto, imboccando la strada del NO a prescindere.

Modus operandi che ha portato il Movimento a rifiutare di entrare a far parte delle maggioranze di governo, negando di potersi alleare con chicchessia e ostentando la propria estraneità all’establishment.

Questo fino al 2018 quando dopo una lunga crisi post elettorale, Giuseppe Conte si pone alla guida di un governo sostenuto dall’alleanza M5S – Lega Nord.

Con un netto cambio di rotta nel giro di pochi anni il M5S finisce per allearsi prima con la Lega e, dopo una crisi di governo, con il centro sinistra dando vita al governo Conte bis.

Di pari passo con la nascita di questo populismo anti-establishment propagandato dai Grillini, crescono a destra due modi simili e allo stesso tempo diversi di intendere il Sovranismo: quello della Lega di Matteo Salvini e quello di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni.

Il primo ha drasticamente cambiato il target del suo partito spostando l’attenzione dal solo Nord Italia a tutto il territorio nazionale, riuscendo ad ottenere anche un grande risultato in termini elettorali che gli ha permesso di essere anche vice premier e ministro degli interni.

La logica elettorale di Salvini ricalca tantissimo la retorica populista dell’estrema destra quella che si basa sulla costruzione del nemico esterno al fine di compattare le fila all’interno.

Nemico esterno che prende le sembianze della finanza internazionale in ambito economico ma soprattutto dell’immigrato, vero e proprio capro espiatorio buono per ogni stagione.

La retorica politica della Lega tende a cavalcare le tematiche calde del momento provando a stare sempre al centro dell’attenzione e proponendo una propria visione su ogni argomento.

Allo stesso tempo cerca di comunicare l’immagine del proprio leader come “uomo del popolo” che fa i selfie con il cibo, indossa le felpe e beve i cocktail in discoteca.

Fratelli d’Italia, invece, ricalca lo stile più tradizionale e tradizionalista dell’estrema destra parlamentare restando più saldo nella sua visione ideologica e cavalcando mediaticamente le tematiche sempre in chiave nazionalista, identitaria e sovranista.

Non snatura la propria visione politica per adattarla alle tematiche del momento ma propone la propria visione dalla destra dello schieramento.

 

CAMPAGNA ELETTORALE PERMANENTE

Ciò che sembra caratterizzare la politica dei partiti contemporanei è il clima da perenne campagna elettorale. L’utilizzo dei social media e la rapidità della diffusione delle notizie richiede di esprimere un’opinione in pochi minuti e, a volte, in pochi caratteri.

Questo comporta una semplificazione delle tematiche, dell’utilizzo smodato di slogan e frasi fatte lanciate al momento al posto di lunghi comunicati frutto magari di percorsi assembleari e di lunghi confronti.

Si ha, inoltre, la percezione che la politica nazionale sia sempre più relegata ad un ruolo di pura amministrazione mentre le decisioni davvero grandi ed importanti vengano prese in contesti sovranazionali ed internazionali.

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