E’ quasi un anno che, seppur a distanza, stiamo vivendo la devastazione della guerra in Ucraina. Crimini contro la popolazione civile, esecuzioni, stupri, bombardamenti, morti, la paura della gente, la mancanza di assistenza ai più piccoli o ai più anziani. Questa crisi fa riflettere sui cambiamenti dell’ordine mondiale, dei suoi equilibri a cui eravamo tanto abituati e sull’insufficiente risposta delle istituzioni internazionali, le uniche forse a poter mediare e a poter trattare.

Sono questi interrogativi che devono spingere i paesi a ricercare proprio nelle sedi internazionali una soluzione diplomatica al conflitto, la necessità della pace e, dunque, un alternativa alle armi.

Ma è proprio di armi che tratta questo articolo. Il ruolo dell’Italia nell’esportazione, importazione e transito di materiali d’armamento, la sua normativa di riferimento e il trasferimento di armi all’Ucraina a titolo gratuito.

I numeri dell’Italia

L’Italia è tra i 10 maggiori esportatori di armi al mondo secondo il SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute). Le esportazioni italiane sono pari ad EUR 4.661 mdi nel 2021, in calo rispetto agli anni precedenti. Il numero di paesi destinatari delle autorizzazioni all’esportazione è stato di 92, di cui un 52,07% rivolto ai paesi UE-NATO e la restante parte a paesi extra UE-NATO (47,93%). Vanno considerate anche le esportazioni per programmi di cooperazione/accordi intergovernativi, sempre rivolte verso paesi NATO-UE e l’Arabia Saudita.

Al 2021, le prime quattro società esportatrici italiane più importanti sono Leonardo, Iveco Defence Vehicles, MBDA Italia e GE.Avio. Leonardo si conferma società leader per il quarto anno consecutivo.

Da notare, nel 2021 la revoca di alcune autorizzazioni concesse negli anni precedenti alla Società RWM Italia SpA per l’esportazione di bombe d’aereo e missili verso gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita. Questo a seguito di risoluzione parlamentare del 22 dicembre 2020 che invitava il Governo a sospendere le esportazioni che possono essere utilizzate per colpire la popolazione civile finché non vi saranno sviluppi nel processo di pace con lo Yemen.

Mentre, tra i primi 25 paesi destinatari si nota che il Qatar è al primo posto, seguito da Stati Uniti, Francia, Germania, Pakistan, Paesi Bassi, Regno Unito, Filippine, Corea del Sud, Brasile, India, Emirati Arabi Uniti, Malaysia, Arabia Saudita, Svizzera, Australia, Turchia, Egitto, Spagna, Cipro, Singapore, Belgio, Nigeria, Repubblica Ceca e Polonia.

La normativa di riferimento

Il controllo dell’esportazione, importazione e transito di materiali di armamento è disciplinato dalla Legge n. 185 del 1990 e successive modifiche e integrazioni. Ad accompagnare la legislazione italiana ci sono le previsioni del Trattato ONU sul commercio delle armi (ATT), nonché la posizione del Consiglio dell’Unione Europea 2008/944/PESC.

La normativa italiana prevede che, innanzitutto, ogni anno i ministeri interessati riferiscano al Presidente del Consiglio sulle operazioni relative all’anno precedente in materia di importazione, esportazione e trasferimento di materiali di armamento da e per l’Italia. Il Presidente del Consiglio invia poi una relazione al Parlamento. Naturalmente i trasferimenti devono essere conformi alla politica estera e di difesa del nostro paese. E, soprattutto, sono vietati quando contrastano con la Costituzione, gli impegni internazionali, la sicurezza dello Stato e quando manchino adeguate garanzie sulla destinazione finale dei materiali. E’ vietata l’esportazione e il transito anche verso i Paesi in stato di conflitto armato o nei cui confronti sia stato dichiarato l’embargo e verso quei governi responsabili di gravi violazioni dei diritti umani.

Sulla stessa linea anche il Trattato ATT e la posizione del Consiglio dell’Unione Europea di cui sopra.

Il caso ucraino

A seguito dell’invasione, da parte delle forze armate della Federazione russa, del territorio dell’Ucraina il 24 febbraio scorso, i paesi NATO e l’Unione Europea hanno deciso di fornire armamenti ed equipaggiamento militare a Kiev (concepiti per l’uso letale e non letale della forza).

Sia le misure restrittive adottate nei confronti della Federazione Russa, che hanno l’obiettivo di destabilizzare e indebolire le capacità economiche e finanziarie della stessa e di determinarne l’isolamento nel panorama internazionale. Sia la fornitura di armamenti ed equipaggiamento militare rappresentano un ipotesi di sostegno alla guerra, rispettivamente di sostegno economico (applicazione sanzioni economiche contro Stato nemico), e di invio di armamenti e supporto logistico (invio attrezzatura non militare).

Per quanto riguarda il supporto logistico e l’invio di armamenti si tratta sicuramente di attività ostili perché rafforzano l’azione dello Stato aiutato ma non possono considerarsi guerra perché manca la partecipazione sul piano personale alla guerra stessa, ad es. attraverso l’invio di truppe, la chiamata alle armi e quella mobilitazione generale che caratterizza il conflitto tra due Stati.

La Federazione Russa ha violato l’art. 2 della Carta ONU che vieta il ricorso alla forza e giustifica la legittimità di una difesa, anche armata, ai sensi dell’art. 51 della Carta stessa (il quale assicura il diritto di autotutela). Inoltre, si ricorda anche come la Federazione Russa ha violato il Memorandum di Budapest del 1994 e gli Accordi di Helsinki del 1972.

La posizione dell’Italia sulla guerra Russo-Ucraina

La cessione di materiali d’armamento, nell’ordinamento del nostro paese, può essere effettuata ai sensi della legge n. 185/1990 (e degli articoli 310, 311 del Codice dell’Ordinamento militare) senza necessità di deroghe.

In questo caso, l’art. 11, seconda parte, della nostra Costituzione va letto alla luce dell’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite secondo cui “Nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale. […]“.

Come sappiamo il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (NU) è in una situazione di stallo e non ha agito per la presenza proprio della Federazione Russa tra i membri permanenti con diritto di veto. Ad agire però è stata l’Assemblea Generale delle NU condannando, con grandi numeri, l’azione Russa.

La stessa Corte internazionale di giustizia, nel caso Nicaragua-Stati Uniti, ha affermato che il principio del divieto dell’uso della forza (art. 2, par. 4, della Carta) va correlato all’art. 51 consentendo l’aiuto allo Stato soggetto ad aggressione. Dunque, l’aiuto è legittimato da una norma consuetudinaria. E il diritto internazionale consuetudinario entra nel nostro ordinamento tramite l’art. 10, comma 1, Cost. assumendo rango costituzionale.

Di conseguenza, l’art. 11 Cost. non vieta espressamente l’utilizzo della forza per prestare assistenza a uno Stato che stia reagendo a un attacco armato. Quindi, anche l’invio di armi appare conforme al diritto internazionale e allo stesso art. 11 Cost.

Effetti dei trasferimenti di armi

Stante la legalità dei trasferimenti di armi, vanno considerati altri aspetti. Innanzitutto, gli Stati esportatori devono vigilare costantemente su come le armi trasferite vengano usate. In secondo luogo, queste armi andranno poi rintracciate al termine del conflitto per evitare che finiscano nelle mani sbagliate (si veda l’Afghanistan). E, da ultimo, in momenti di crisi come questi è bene ricordare come la promozione della pace e la tutela dei diritti umani debba sempre essere il primo obiettivo degli Stati, e con essa la risoluzione pacifica delle controversie.

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