In occasione dello scorso 20 novembre, Giornata Universale dei Diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, affrontiamo la tematica del revenge porn. Contrariamente a quanto si possa pensare a primo impatto, i due sono elementi correlati: la destituzione della realtà sessista in cui il fenomeno si inscrive è un diritto da preservare con cura per il bene delle generazioni future. Educazione e revenge porn: cosa fare? Direttore responsabile: Claudio Palazzi
«Tutto è diventato pubblico. Da quel giorno la vita di questa giovane donna di 22 anni […] è stata stravolta. Non solo il suo corpo si è trasformato in oggetto di scherno, ma lei ha perso anche il lavoro […] umiliata dalle chiacchiere.»
–Il Corriere della Sera.
La realtà dei giovani, come quella sportiva e scolastica, è troppo spesso attraversata da discriminazioni e violenze di genere, tra cui il revenge porn.
Ne è dimostrazione più recente l’ormai celeberrimo caso della giovanissima maestra d’asilo di Torino, il cui materiale sessualmente esplicito è stato diffuso senza consenso tra gli amici dall’ex fidanzato, tramite gruppi social. Ma vivendo in una realtà in cui le vittime vengono considerate artefici delle violenze subite, la vicenda non si è fermata qui: le immagini si diffondono velocemente, arrivando alla madre di un alunno della vittima che le condivide con l’intera chat dei genitori. Non solo: minaccia l’insegnante di non denunciare l’accaduto, pena la richiesta formale di licenziamento. Venuta a conoscenza della situazione, la dirigente scolastica induce l’unica reale vittima dell’accaduto a dimettersi, in quanto ormai “marchiata a vita” dell’aver semplicemente e legittimamente vissuto la propria vita sessuale.
Ma cos’è il revenge porn?…
Per revenge porn si intende una pratica di condivisione pubblica di materiale sessualmente esplicito, senza il consenso di chi lo ha creato ed eventualmente condiviso privatamente. La definizione può estendersi a contesti non propriamente vendicativi, ma comunque non-consensuali.
La pratica è considerata a tutti gli effetti una forma di violenza, abuso psicologico e abuso sessuale.
In Italia, a seguito di un caldissimo dibattito pubblico confluito nel 2019 nella campagna #intimitàviolata, il fenomeno è stato riconosciuto dalla Camera dei deputati come reato. Nel 9 agosto 2019 è stato tradotto nella Legge “Codice rosso” o reato di revenge porn; pena: la reclusione da 1 a 6 anni o una multa da 5 mila a 15 mila euro.
…e perché non è una goliardata da uomini?
Da La Stampa: «Lui ha sbagliato, ma l’ha fatto per una goliardata da uomo. […] Però non posso tollerare che chi si occupa dei miei figli faccia determinate cose. Con il mio amico si frequentavano solo da poche settimane. Se mandi filmati osè devi mettere in conto il rischio che qualcuno li divulghi».
Analizzando tale testimonianza, emerge quanto stereotipi e concezioni misogine siano cristallizzate nella realtà che ci circonda e nella narrazione che ne conduciamo: sarà capitato a tutti, almeno una volta nella vita, di alimentare attivamente tale realtà, oltre che di esserne vittime.
Non è mai troppo tardi, però, per comprendere la natura sessista di quei meccanismi e tentare di interromperne la radicalizzazione.
I reati di violenza di genere come il revenge porn non sono goliardate da uomini.
La sessualità femminile, quali siano i tempi e le modalità della donna che la vive, non è indice di mancata integrità morale e non determina assenza di professionalità.
Il victim blaming è illogico, immorale, contraddittorio: la colpa dei reati di violenza di genere non è mai della vittima. Comunque sia vestita. Qualunque sia il suo atteggiamento o il suo stato di coscienza.
Educazione al revenge porn: consenso, potere, oggettivazione
Il revenge porn, dunque, è radicato in una realtà estremamente più ampia e pervasiva, che normalizza la violenza di genere. Illustriamo, quindi, alcuni dei concetti chiave che la sessuologia e gli studi di genere propongono per la corretta comprensione di tale realtà.
Il consenso: base imprescindibile per il legittimo verificarsi di qualsiasi tipo di pratica sessuale. E’ chiaro, dunque, come il revenge porn non sia pornografia, fondata sulla condivisione consensuale di materiale sessualmente esplicito.
Il potere: conseguenza della condizione di privilegio. Quanto meno il soggetto è discriminato dalla società in base ad etnia, orientamento sessuale, identità di genere, religione, classe sociale d’appartenenza… tanto più sarà privilegiato e in dovere di non abusare del proprio potere. In una società che non educa alla gestione del privilegio e del potere che ne deriva, risulta comprensibile come il 90% delle vittime di revenge porn siano di genere femminile (meno privilegiato rispetto a quello maschile) e che 1 donna su 5, fra i 18 e i 55 anni, ne sia vittima.
L’oggettivazione sessuale: fenomeno secondo cui i corpi (in questo caso femminili) sono considerati alla mercé del desiderio di chi li osserva. Così, quanto più potere si ha, tanto più si crede di poter decidere di quei corpi, delle loro azioni, di come debbano esprimersi. Se il corpo femminile non fosse oggettivato, non ci si sentirebbe tanto autorizzati a condividerlo liberamente in rete.
E’ chiaro, dunque, che il problema non sia da identificarsi nei social e negli strumenti attraverso cui il materiale non-consensuale è condiviso e diffuso – come alcuni hanno cercato di sostenere nel 2019 nell’ambito dello scandalo Telegram – ma nella realtà che accoglie, normalizza e alimenta la pratica stessa.
Tale realtà deve essere urgentemente destituita, in nome del diritto delle nuove generazioni a non essere discriminate per genere e sessualità.
Ma come?
Come agire?
Il cambiamento presuppone dinamiche estremamente complesse e graduali, di cui ognuno, in piccola o larga parte, può essere parte.
Cosa fare se si è vittime di revenge porn? Denunciare senza paura il prima possibile l’accaduto alle autorità competenti. Cercare supporto psicologico ed emotivo nei propri cari e in figure professionali, senza vergogna.
Come reagire se nelle proprie realtà sportive, scolastiche, amicali viene inviato, mostrato, diffuso materiale esplicito non-consensuale? Eliminare immediatamente i contenuti, al fine di bloccarne la condivisione e fruizione. Spiegare, attraverso un dialogo costruttivo, che la diffusione di tali contenuti è immorale, oltre che un reato.
Cosa può fare ognuno di noi?
Informarsi coscienziosamente.
Condividere, promuovere, sostenere e (perché no?) creare progetti, luoghi, piattaforme che diano spazio e voce ai giovani, che accolgano e affrontino i loro dubbi attraverso modalità di comunicazione efficaci, per costruire, finalmente, quella realtà futura a cui hanno diritto. Una fra tutti: VENTI, una realtà web giovane e senza filtri, in cui il tema del revenge porn è stato affrontato a partire dal monologo di Lorenzo Luporini (un ragazzo che, come tanti giovani della sua età, si è ritrovato catapultato in questa realtà) e dall’approfondimento dell’esperta Silvia Semenzin, ricercatrice universitaria.
Sostenere politiche che valorizzino l’educazione e una corretta e consapevole comunicazione mediatica, con l’aiuto di chi tali dinamiche le studia di professione.
«Avete tutto sotto i vostri occhi. Occorre solo la voglia di guardare, di vedere davvero. […] Ai ragazzi e alle ragazze che vivono questo inferno, un abbraccio da un fratello che vi dice: tenete duro, un giorno l’inferno finirà»
-Massimo Gramellini