Alla fine del 2019 le autorità sanitarie cinesi hanno comunicato un focolaio di casi di polmonite ad eziologia non nota. Un mese dopo, in Italia, abbiamo dovuto far fronte ai primi due contagi da SARS-Cov-2. Nelle ultime settimane, a nove mesi dal primo confinamento nazionale e dall’esplosione della pandemia, ci è giunta la notizia più attesa e sperata del 2020: l’inizio della somministrazione del vaccino anti Covid-19. Covid-19: corsa ai vaccini tra dubbi ed entusiasmi Direttore responsabile: Claudio Palazzi  
Sebbene il distanziamento fisico e le altre strategie di mitigazione della trasmissione del virus abbiano impedito, nella maggior parte delle nazioni, l’infettarsi della popolazione, queste strategie lasciano senza immunità e quindi suscettibili a successive ondate di infezione. La necessità di ritornare a una normalità prepandemica è quindi legata alla disponibilità di vaccini sicuri ed efficaci e ad un programma di vaccinazione globale.

Tra i primi paesi al mondo ad aver dato il via alla vaccinazione di massa troviamo Russia e Cina. I ricercatori russi elogiano il loro vaccino Sputnik V (sviluppato a Mosca con fondi pubblici) affermando un’efficacia al 91,4%. Talmente elogiato da aver spinto la Rdif (Fondo russo per gli investimenti diretti) a presentare domanda all’Europa per l’approvazione del vaccino; i dati sono però insufficienti e l’Ema (Agenzia Europea per i Medicinali) stenta ad avviare il processo di ratificazione. Stessa storia per il vaccino cinese: annunciato a fine novembre dalla casa farmaceutica Sinopharm e somministrato da subito alla popolazione, ovviamente senza aver fornito dati clinici precisi sull’efficacia. Entrambi i governi, ancora a lavoro per la sperimentazione e lo studio di questi vaccini, sembrano voler rivendicare la loro sovranità sul mercato orientale e sudamericano; una partita a due per il controllo e l’influenza geopolitica dei paesi amici (e non solo).

Quindi, è evidente come la corsa al vaccino sia una competizione multidimensionale, con grandi ricadute di ordine politico ed economico. Non a caso, tutti gli occhi dell’occidente sono rivolti alla Gran Bretagna: dopo l’autorizzazione dell’Mhra (ente regolatore per le industrie farmaceutiche) il 9 dicembre è iniziata la somministrazione del vaccino Pfizer. Il primo a sentirsi particolarmente in imbarazzo è stato Trump, tanto che la Casa Bianca ha esercitato pressioni sui regolatori statunitensi (Food and Drug Administration) per l’approvazione del vaccino Pfizer. Pressing con esito positivo, infatti il 12 dicembre la FDA ha dato il via libera alla distribuzione di milioni di dosi.

Le cautele di Bruxelles

Nel frattempo, in Europa attendiamo. L’Ema dovrà autorizzare o meno i vaccini realizzati da Pfizer-BioNtech (entro la fine di dicembre), Moderna (a inizio gennaio), AstraZeneca-Oxford, Sanofi-GSK, Janssen, Pharmaceutica NV e CureVac. Al momento non è noto quale livello di protezione si possa raggiungere con i vaccini in fase di sviluppo. Ciò che infatti differenzia i vaccini anti Covid-19 dagli altri è stata la velocità di creazione, dovuta al corso dell’emergenza sanitaria. Dunque, i dati che saranno presentati per l’approvazione dovranno essere specifici e accurati per comprovare la sicurezza ed efficacia dei vaccini.

I normali vaccini, infatti, per innescare la risposta immunitaria, immettono un germe indebolito o inattivato nel nostro corpo. Invece, tra i vaccini sperimentati, Pfizer e Moderna mettono a punto un nuovo approccio: il vaccino a mRNA. Questo tipo di vaccino insegna alle nostre cellule come produrre una proteina che possa innescare la risposta immunitaria nel nostro corpo; questa risposta immunitaria produce anticorpi e ci protegge dall’infezione. I vaccini a mRNA sono nuovi, è vero, ma non sconosciuti. In realtà i ricercatori hanno studiato e lavorato su questo tipo di vaccini per decenni, applicando la vasta conoscenza acquisita nel tempo. L’aspetto eccezionale è la possibilità per questi vaccini di essere sviluppati utilizzando materiali prontamente disponibili, standardizzando e ampliando il processo di produzione.

L’Italia degli indecisi

In Italia il dibattito sul vaccino anti Covid-19 è acceso sia a livello mediatico che di opinione pubblica. Il ministro Speranza si dimostra positivo e ribadisce che gennaio sarà il mese della vaccinazione, auspicando una partenza contemporanea in tutta Europa. Un ottimismo che cozza con le manifestazioni e le polemiche dei no-Vax e complottisti a cui abbiamo assistito dalla scorsa estate ad oggi.

Durante i primi mesi della pandemia, complice probabilmente la paura per un virus di cui non si conoscevano i reali effetti, la compattezza e il senso di responsabilità degli italiani suscitavano commozione e orgoglio. Con l’arrivo dell’estate, con la diminuzione dei contagi e con le polemiche sui dati di mortalità (morti “con” Covid e morti “per” Covid) i silenti dissidenti no-Vax e complottisti hanno fatto la loro comparsa, denunciando una cospirazione mondiale voluta dai poteri forti.

Da un sondaggio di Quorum/YouTrend per SkyTG24 alla domanda “lei si vaccinerebbe contro il coronavirus?” gli italiani hanno risposto:

Si: 63,2%

Non so, ci devo pensare: 19,2%

No: 15,9%

Nessuna risposta: 1,8%

Ho provato a intervistare due miei conoscenti, Marco (54 anni, architetto) e Irene (23 anni, studentessa e laureata in biotecnologie agroindustriali), con prospettive e punti di vista molto diversi in merito alla situazione attuale, ponendo loro alcune semplici domande inerenti al vaccino anti Covid-19:

  • Entro il 29 dicembre l’Ema, l’ente regolatore che approva i farmaci per l’Europa, dovrebbe valutare o meno l’efficacia del vaccino. Se venisse approvato, te lo faresti?

Marco: No.

Irene: Si.

  • Perché?

Marco: Alle attuali condizioni non me lo farei perché sono sempre stato contrario al vaccino antinfluenzale in generale. Essendo il Corona virus un ceppo influenzale/virale, coerentemente con la mia idea, direi di no. I dati in merito al tasso di mortalità mi portano a ritenere questo virus come un’influenza un po’ più forte delle altre. Inoltre, secondo me adesso c’è una strana corsa al vaccino che potrebbe pregiudicare la correttezza dei test e delle analisi, non coerenti con quello che dovrebbe essere un’indagine clinica.

Irene: Il vaccino è stato sperimentato in tempi record, però me lo farei perché abbiamo le prove scientifiche sulla base di più campioni che è sicuro (ad eccezione dei problemi legati a chi ha particolari allergie). È sicuro al 95%, anche se non è ancora provato che il vaccino limiterà la diffusione del virus è comunque quasi certo. Me lo farei anche perché il modo in cui è stato costruito il vaccino (soprattutto quello della Pfizer e Moderna, su cui mi sono informata) è basato sullo stesso metodo dei vaccini creati annualmente per le influenze, sono molto semplici. Ammetto che il mio punto di vista sul vaccino è cambiato da oggi a qualche mese fa, non mi fidavo inizialmente delle sperimentazioni e del vaccinarsi in tempi così brevi. Ho cambiato idea proprio perché ho visto che il vaccino è stato studiato sulla base di altri vaccini e i dati scientifici forniti possono darci un’ulteriore sicurezza.

  • Credi che i media (giornali, televisione, internet) stiano fornendo informazioni chiare sul vaccino? 

Marco: No. Le informazioni fornite dai media, dal mio punto di vista, sono altamente inutili perché sono generiche e non fanno capire veramente di cosa si parla. Sembrano diffuse solo per far notizia e non per far capire veramente di cosa parliamo, non capiamo come sono stati fatti i vaccini e come sono stati studiati, mi piacerebbe un approccio più analitico e non “sensazionalistico”.

Irene: Io ad esempio leggo l’Agenzia ANSA e Infovac. Inizialmente ascoltavo i telegiornali, poi sono usciti i vari dati sui vaccini e ho dovuto arricchire le mie conoscenze utilizzando piattaforme più scientifiche. Secondo me si sta esagerando, sarebbe meglio parlarne di meno ma dare informazioni scientifiche e più precise.

  • Cosa ne pensi della possibile obbligatorietà del vaccino?

Marco: Sarei contrario. Lo tratterei alla stregua di un vaccino influenzare normale che non è obbligatorio ma consigliato per le fasce più deboli della popolazione.

Irene: Io penso che sia giusto rendere obbligatorio questo tipo di vaccino per le fasce di popolazione a rischio, ovviamente non per coloro che hanno problemi di salute che pregiudicano la vaccinazione. Do per scontato che la possibile campagna informativa del governo potrebbe non andare a buon fine e che quindi l’obbligatorietà del vaccino sarebbe la soluzione ideale. Nel nostro Paese si ha troppo spesso la tendenza a dimenticare gli eventi spiacevoli nel momento in cui non ci colpiscono da vicino.

L’assunzione di qualsiasi farmaco è legata alla fiducia che riponiamo nella ricerca scientifica e nelle case farmaceutiche, ma soprattutto nelle agenzie di controllo, che certificano la sicurezza dei medicinali. Quando questa fiducia viene a mancare, come porre rimedio?

È evidente come in questo frangente i media abbiano un compito fondamentale: l’informazione accurata. I mass media hanno un ruolo centrale nel porsi come piattaforma per le comunicazioni di salute pubblica, fornendo fonti credibili da indicare agli utenti.

“Infodemia” è un neologismo che definisce la diffusione rapida e vasta di informazioni imprecise su una malattia. Come le epidemie, le infodemie possono (e devono) essere gestite. Sino ad oggi i mezzi di comunicazione di massa nazionali, soprattutto la televisione, si sono dimostrati decisamente incapaci nel raggiungere questo obiettivo. L’arrivo imminente del vaccino potrebbe rivelarsi per i mass media l’occasione per un utilizzo consapevole dell’immenso potere che detengono, ricalibrando gli spazi dedicati all’epidemia e organizzando un’informazione chiara e fondata.

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