Dal 7 ottobre Facebook ha messo al bando i gruppi, le pagine e gli account che diffondono direttamente la narrazione cospirazionista di QAnon, che avevamo ricostruito in un recente articolo. Come su Facebook, anche su Instagram verranno bannati gli account che nelle proprie descrizioni sottolineano l’appartenenza a QAnon. Questo provvedimento però non incide sui contenuti o sui singoli utenti che condividono materiali che inneggiano a QAnon. È la seconda volta in poche settimane che la società di Mark Zuckerberg interviene contro QAnon, probabilmente stimolata anche dall’FBI che ha bollato il movimento come potenziale minaccia terroristica interna. Con l’obiettivo di interrompere la capacità di QAnon di organizzarsi e agire attraverso le sue reti social, secondo la Bbc, sono state imposte restrizioni a oltre 1.950 gruppi Facebook e almeno 10.000 account Instagram. Facebook banna QAnon, ma non basta: urgono misure preventive Direttore responsabile: Claudio Palazzi
Dalla teoria all’atto

Le preoccupazioni dell’FBI sono più che comprensibili. Nel 2016, durante la campagna presidenziale, siti d’informazione dell’alternative right vicini al mondo di QAnon hanno diffuso la narrazione infondata riguardo a un traffico di bambini organizzato da alcuni democratici, tra cui Hillary Clinton, in una famosa pizzeria di Washington. Dopo che QAnon ha sposato la narrazione, il cosiddetto Pizzagate fu al centro di un caso di cronaca: gli attacchi online hanno scatenato violenza reale contro il ristorante e i suoi dipendenti al punto di provocare una sparatoria per mano di un uomo convinto che nel locale ci fossero bambini da salvare. Negli ultimi anni il sito utilizzato dall’utente “Q” 8chan ha rivendicato alcune stragi quali l’assalto nazista alla moschea di Christchurch in Nuova Zelanda; quella alla sinagoga di Poway in California e quella all’ipermercato Walmart di El Paso, Texas. Nel complesso, 74 morti e 76 feriti. 8chan è stato chiuso nell’agosto del 2019 per poi rinascere dopo alcune settimane con il nome 8kun.

Cavalcare l’onda della pandemia

Durante i vari lockdown i gruppi legati a QAnon sono esplosi in popolarità sui social. Gli algoritmi hanno infatti incoraggiato la commistione fra i contenuti di QAnon e quelli di altri movimenti “contro” quali i negazionisti, i no-vax e i no-mask. La pandemia è stata bollata dai seguaci di “Q” come un piano del deep state, lo stato profondo, promuovendo disinformazione al riguardo. L’abilità di gruppi come QAnon sta nel raggiungere un target più ampio possibile di utenti. Vengono infatti diffusi contenuti modellando l’intensità della narrazione su diversi tipi di target. Una narrazione light, capace di inserirsi su più livelli nei cancelli sguarniti dell’informazione in rete e di raggiungere le bacheche di milioni di utenti, e una narrazione hard più profonda e finalizzata a incentivare le ricerche di persone attratte da contenuti più radicali. Recentemente i membri del gruppo sono stati capaci di boicottare l’hashtag #SavetheChildren. Nell’articolo precedente avevamo raccontato come il disegno tracciato da QAnon delineava la presenza di una Cabal di satanisti padroni del mondo dove esponenti Democratici, grandi nomi dell’economia globalista e di Hollywood sono intenti a trafficare bambini in tunnel nascosti per abusarne ed estrarre l’adenocromo dal loro sangue, composto utile a produrre un elisir di lunga vita.

#SavetheChildren

Alcune settimane fa ha cominciato a girare sulle bacheche degli americani un’immagine che mostra una mappa degli Stati Uniti con dei puntini rossi luminosi, la cui didascalia riportava: “Questa non è una mappa del Covid. È una mappa della tratta di esseri umani“, seguita dall’hashtag #SaveTheChildren. QAnon e i suoi seguaci si sono appropriati del contenuto come prova dell’esistenza della tratta dei bambini gestita dalla Cabal, riuscendo ad entrare addirittura nelle tendenze Twitter. La cooptazione degli hashtag #SaveTheChildren e #SaveOurChildren ha contribuito a introdurre le idee di QAnon a un nuovo pubblico di utenti. Una vera e propria operazione di marketing che ha portato, secondo un recente sondaggio dell’istituto amercano Civiq, il 16% degli statunitensi a ritenere mostly true (in gran parte vero) i contenuti di QAnon. Da un’inchiesta della Bbc sull’impatto della disinformazione di QAnon sulle presidenziali 2020 emerge invece che i gruppi QAnon hanno generato oltre 100 milioni di interazioni e che il maggiore tra questi ha raggiunto due terzi delle reazioni del gruppo Facebook di Black Lives Matter, movimento che ha ricevuto una grandissima attenzione mediatica a livello globale.

Attacco alla democrazia

Se in rete Facebook ha intrapreso questa operazione di censura, nella realtà decine di candidati affiliati a QAnon sono in lizza per essere eletti nel Partito Repubblicano. Una di loro, Marjorie Taylor Greene, ha vinto un ballottaggio alle primarie per un seggio alla Camera in Georgia. Interventi a posteriori, come quello recente di Facebook di contrasto ai gruppi di disinformazione di QAnon, sono sicuramente ben accetti, ma insufficienti. Fake-news, teorie del complotto, messaggi di odio e violenza trovano nei meccanismi dei social dei volani straordinari per la loro diffusione. Non basta rincorrere questi fenomeni, urgono misure di prevenzione. Ne vale la stabilità dell’ordine democratico e del tessuto sociale.

  

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