‘Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.’ Lo scrive Cesare Pavese nella sua meravigliosa opera ‘La luna e i falò’.

Nella gente, nelle piante, nella terra, dell’Italia c’è qualcosa di ognuno di noi; L’Italia è un paese bellissimo, alcuni dicono sia il più bello del mondo; ha tutto: mare, montagna, collina, pianura. Non ci manca niente, eppure alle volte ce lo dimentichiamo. E combiniamo le solite ‘italianate’ incomprensibili agli occhi del mondo intero. In paesi europei come la Francia, le rovine romane sono inevitabilmente minori di quante ne abbiamo in Italia; eppure lì, attorno alla rovina di una colonna di chissà che cosa, nel bel mezzo di un prato, ci fanno un museo dotato delle tecnologie più innovative, in grado di catapultarti immediatamente nel 60 a.C.  Questo significa, banalmente, saper sfruttare bene ciò che il mondo ha da dare. In Italia lo sappiamo fare, ma potremmo farlo molto meglio.

Purtroppo ad oggi il ‘bel paese’ convive con luoghi bellissimi lasciati nel peggior stato di abbandono, anche nel bel mezzo di centri densamente abitati. I luoghi, così come i paesaggi, hanno un valore che prescinde dall’economia; si tratta di un valore culturale che se sfruttato nel migliore dei modi produce entrate economiche sorprendenti.

Cultura, PIL  e comunità

I dati del 2018 ci dicono che il contributo della cultura (in senso lato) al PIL è stato pari al 6,1%.  La cultura e i settori creativi sono fondamentali; la creatività favorisce lo sviluppo di nuovi processi e garantisce innovazione e competitività. Inoltre accresce la coesione sociale e favorisce aspetti come l’integrazione, il senso di identità e di appartenenza ad una comunità o ad un luogo. Un luogo in stato di abbandono non produce niente se non degrado, innescando processi di autoalimentazione che poi determinano  criminalità e scarsi processi di capacity building.La riqualificazione dei luoghi abbandonati invece favorisce non solo un possibile indotto economico, ma anche coesione sociale e senso di identità in una comunità.

Proprio l’anno scorso, nel Municipio II di Roma, il gruppo dei GD-Giovani Democratici, in accordo con la giunta municipale, ha promosso un progetto di rigenerazione e riqualificazione di Piazza Gimma. È stata coinvolta tutta la cittadinanza, dai più piccoli ai più anziani, nel dipingere d’arcobaleno le panchine della piazza. In segno di vicinanza alla comunità LGBTQ+. Questo non solo ha riqualificato un ambiente altrimenti degradato (e luogo di spaccio) ma ha anche creato un momento di coesione e vicinanza all’interno della comunità e mandato un chiaro messaggio di adesione a dei valori precisi e ha favorito il senso di identità della comunità stessa. In virtù di questo, quando purtroppo le panchine sono state imbrattate da gruppi neofascisti, la comunità si è riunita e data appuntamento per ridipingere insieme le panchine arcobaleno.

Questo è un esempio di processi di capacity building che favoriscono l’empowerment; emerge la consapevolezza e lo sviluppo delle risorse individuali (e di gruppo) presenti sul territorio e la volontà di agire per cambiare la propria vita sul territorio stesso. Inoltre la cultura e la creatività contribuiscono a rilanciare l’immagine e l’identità di un territorio al punto da renderlo attrattivo anche per la localizzazione di imprese e lavoratori. Un esempio recente di questi anni è stato il lavoro della giunta comunale di Civita di Bagnoregio (conosciuta come ‘La città che muore’), giunta che, per citare il sindaco durante il programma ‘Eden di Licia Colò’: ‘ha scelto di investire in arte, cultura e innovazione per restituire vita alla città che muore, oggi uno dei siti più visitati in Italia’. Non a caso questo ha determinato un forte sviluppo turistico che ha portato all’apertura di tantissimi nuovi locali e un vasto numero di lavoratori del settore della ristorazione.

Riqualificazione urbana: il Municipio II tra Casa della Memoria e Serra Moresca

Tornando invece al municipio II di Roma, risulta interessante la storia della Casa della Memoria nel cuore di San Lorenzo. La casa della memoria si trova su Via Tiburtina 163, e all’occhio di chiunque appare come un enorme scheletro in cemento, imbrattato qua e là, pronto a crollare da un momento all’altro. Irrompe tra i diversi palazzi epocali del quartiere in tutto il suo grigiume, in una delle vie più trafficate del municipio e in uno dei quartieri più famosi. San Lorenzo infatti non è famoso e rinomato per essere solo un quartiere universitario, ma anche per essere luogo di spaccio e di emarginazione; un quartiere con un potenziale incredibile, una movida attiva e un forte scambio generazionale che però, data l’assenza delle istituzioni, è consegnato al degrado. La Casa della Memoria nasce come museo nel cuore di ‘San Lollo’ che potesse celebrare la resistenza romana e raccogliere in se testimonianze e memorie di chi la resistenza l’aveva  fatta. Si erano predisposti i  cantieri per la ristrutturazione già nel 2004 e nel 2009 ma mai avviati realmente; nel 2010 sono stati stanziati fondi dalla Regione Lazio. “I finanziamenti c’erano ma le amministrazioni di centrodestra li ritirarono – spiega Giorgio Bisegna, tra i promotori dell’iniziativa per l’Anpi – Saranno ormai vent’anni che si parla della riqualificazione di questo manufatto, tante promesse e poi il nulla.” La Casa della Memoria è un luogo con potenziale enorme, che potrebbe svolgere una funzione sociale, aggregativa e di memoria storica fondamentale in un quartiere come San Lorenzo.  Eppure è ancora lì, abbandonata a se stessa.

Un esempio di riqualificazione riuscita è quello della Serra Moresca, sempre nel cuore del municipio II di Roma. ‘Progettato intorno al 1839 dall’architetto veneto Giuseppe Jappelli, architettura ispirata all’Alhambra di Granada, il complesso della Serra Moresca di Villa Torlonia torna alla sua originaria bellezza dopo due fasi di restauro. La prima, tra il 2007 e il 2013, ha riguardato il recupero dell’edificio da una condizione di fortissimo degrado, con un ripristino fedele dell’assetto originario, sia nella parte strutturale che in quella decorativa. Nella seconda fase, da poco conclusa, oltre a ulteriori interventi conservativi sulla Serra, si è invece provveduto all’allestimento e messa in esercizio dell’intero complesso come spazio museale’, lo troviamo scritto sul sito del comune, ‘Roma-CULTURE’. La Serra Moresca è un capolavoro di architettura e decorazioni arabeggianti che per troppi anni è stata costretta al degrado e all’abbandono, nel cuore della bellissima Villa Torlonia, particolarmente frequentata dai cittadini del municipio II. Dall’8 dicembre è finalmente accessibile al pubblico e visitabile pagando un biglietto.

Insomma, i luoghi in cui viviamo fanno la differenza all’interno di una comunità. Sono rappresentativi di chi siamo e in un certo senso anche delle possibilità che abbiamo: abbandonare tutto e lasciarci andare, oppure coltivare quello che c’, farlo nostro, renderlo un punto di forza e ricavarne Bellezza.

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