La sentenza del processo Ruby che ha condannato in primo grado Silvio Berlusconi a 7 anni di reclusione per concussione e prostituzione minorile con l’interdizione perpetua ai pubblici uffici, è chiaramente una sentenza in nome del popolo italiano, per il popolo italiano, null’altro. Un contentino della giustizia italiana per sfamare l’indignazione all’italiana tipica di questo bel Paese. Perché le elezioni politiche del 2013 hanno raccontato indubbiamente un’altra storia: una schiacciante vittoria politica (forse ancor più di quella del M5S?) del Cavaliere, assegnando un 29,18% di voti alla sua coalizione di centro-destra.
Nel frattempo, il 9 luglio, è arrivato in Cassazione il ricorso della difesa di Berlusconi contro la condanna a 4 anni di reclusione per frode fiscale e a 5 anni di interdizione dai pubblici uffici nel processo Mediaset. La data è stata fissata per il 30 luglio e un delizioso articolo sul sito Dagospia rivela i retroscena artimetici e giuridici della vicenda.
Un processo dopo l’altro che tende comunque ad investire tutta la danza politica della XVII Legislatura, che vede i soliti noti (Pd e Pdl) ora promettersi amore eterno, ora tirare fuori i pugnali. Il perno di questa altalena rimane comunque Berlusconi.
Enrico Letta deve fare i conti con le due anime del governo: quella pdiellina che si stringe a corte con dovuta cautela rispetto le altre volte, e quella del suo partito che non c’è, diviso tra i neo-simpatizzanti berlusconiani e indignati dell’ultima ora che pretendono di scindere i risvolti giudiziari del Cavaliere con la vita politica, quando questa enucleazione è ormai pressoché infattibile finché l’attuale classe dirigente non approverà riforme capaci di scindere le due sfere (per esempio una sacrosanta legge sul conflitto di interessi).
Letta deve fare i conti anche con la coltre di nebbia che sta invadendo gli uffici di via Sant’Andrea delle Fratte (sede del PD, ndr), nella quale Renzi inizia a stendere il suo network politico attraverso una road map che ha già visto l’elezione di Fassino, suo timido ammiratore e Nostradamus dell’avvento grillino, a presidente dell’Anci.
La calendarizzazione dell’udienza del processo Mediaset per il 30 luglio, che il 1 agosto avrebbe visto cadere in prescrizione uno dei reati imputati al Berlusconi e dunque, secondo prassi, anticipata appunto il 30 luglio dal presidente della Sezione feriale, ha lacerato il velo di Maya.
Il governo Letta si è mostrato impotente alla presa di posizione dei capogruppo Pdl di Camera e Senato di volere sospendere l’attività legislativa per tre giorni (per ora sospesa per un giorno, tra l’indignazione del M5S e parte del Pd), un pò per ripicca contro il Pd di Letta, un pò per lanciare un segnale di sofferenza in rapporto all’accellerazione del processo del suo Capo da parte della Suprema Corte.
Processi Berlusconi, Imu, Iva compongono il labirinto che deve fronteggiare Letta e il suo governo ibrido e claudicante, per non parlare poi dell’unica opposizione non spuria quale è il M5S che, messa la museruola a Grillo, quel “Grillo contro tutti”, il quale nelle ultime settimane non ha fatto che depotenziare l’attività parlamentare degli eletti pentastellati con i suoi accesi toni e qualche volta poco opportuni. Una linea politica che questa volta sembra funzionare: toni pacati per le vicissitudini politiche e più spazio per l’attività legislativa del M5S.
Una cosa è sicura: Letta non può più cercare l’appoggio di nessuno se non scende a patti con il Pdl, e il patto è uno, categorico ed imperativo: salvare Silvio! Per salvare tutti. Perché è anche questa la battaglia che si sta combattendo ormai da mesi nelle aule parlamentari: una battaglia che vede un matrimonio combinato Pd-Pdl abortito ancor prima di essere pensato ed attuato, ma doveroso per quell’istinto di sopravvivenza politica che negli ultimi anni affanna la casta politica, non certo preoccupato per l’attuale e degradante situazione umana del Paese.
Se volesse, Berlusconi lancerebbe nel vuoto questo governo che non sa dove arrampicarsi, proprio perché creato da una situazione che non l’ha mai visto nascere dal punto di vista del risultato elettorale, ma allo stesso tempo il Cavaliere, conosce e interpreta l’importanza dell’esecutivo: soprattutto sa che con questa coalizione così ampia, ma non troppo, potrebbero avviarsi quelle riforme costituzionali capaci di sottrarlo alla giustizia.
La caduta o meno di questo governo dipende ancora una volta da Silvio Berlusconi, l’incarnazione della seconda Repubblica che non vuole andare al macello e scalpita contro la sega circolare della giustizia che vuole provvedere, secondo legge, alla sua lacerazione definitiva. E il M5S usa toni pacati (ma è solo un eufemismo), e fa bene e lo fa benissimo, perchè ha davanti a sé il volando della sua svolta e del suo futuro.