Nel 2015, in occasione della conferenza sul cambiamento climatico COP21, viene redatto ed entra in vigore l’Accordo di Parigi. Si tratta del principale documento di riferimento, globalmente vincolante, in ambito di lotta al cambiamento climatico. Questa convenzione stabilisce linee guida ben precise affinché si possano limitare le future catastrofi provocate dal riscaldamento globale. Ad oggi, quasi tutti gli stati mondiali hanno firmato (195) e sono entrati a far parte (194) di questa iniziativa. In particolare l’Unione Europea, in qualità di parte firmataria, si è fatta da subito portavoce di questa missione, ratificando il trattato nel 2016 e presentando nel 2019 una propria iniziativa, lo European Green Deal. Come viene ribadito nell’introduzione del Green Deal, l’Europa aspira a diventare il primo continente climate-neutral, cioè ad impatto zero. Larga parte dell’impegno delle istituzioni UE è quindi impiegato nell’ambito energetico, promuovendo la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie e strategie per la gestione delle fonti rinnovabili, necessarie affinché si possa raggiungere il fine della decarbonizzazione. Uno dei progetti forse più ambiziosi riguarda l’Idrogeno, e nello specifico l’esplorazione dell’enorme potenziale energetico dell’idrogeno rinnovabile.

L’idrogeno come vettore energetico

L’idrogeno (H), in condizioni normali, è un gas infiammabile ed inodore, e rappresenta l’elemento più abbondante nell’universo, costituendo il 75% della materia in base alla massa (trovandosi principalmente nelle stelle e nelle formazioni gassose). Sul suolo terrestre, l’idrogeno comunemente si ritrova nell’acqua (H2O), ma anche in tutta la materia organica, nei combustibili fossili e nei gas naturali.

In natura si trova allo stato gassoso e può liquefarsi se esposto a bassissime temperature, fino anche ad arrivare a -253°, ed una delle sue proprietà più interessanti è la capacità di immagazzinare enormi quantità di energia. Per via di queste sue caratteristiche, l’idrogeno può essere facilmente stoccato e trasportato in grandi quantità e per lunghe distanze, conservandolo in cilindri a pressione molto alta o sotto forma di gas liquido.

L’idrogeno come singolo elemento è raro in natura, poiché è più frequente la sua presenza allo stato legato, e può essere prodotto a partire da quasi tutte le risorse energetiche. Non può essere quindi definito a sua volta una fonte energetica primaria, come lo sono il gas naturale, il carbone o il petrolio, ma è categorizzato come vettore energetico, capace di trasportare ed immagazzinare grandi quantità di energia, e di liberarla nel momento in cui reagisce ad altre sostanze. Per comprendere a grandi linee il suo funzionamento si può fare l’esempio dell’acqua, cioè la conformazione dell’idrogeno che più comunemente si trova in natura. Nell’acqua (H2O) l’idrogeno è legato all’ossigeno, perciò per rompere i legami chimici fra i due elementi e per produrre idrogeno è necessario immettere energia. Una buona percentuale di questa energia sarà successivamente rilasciata nel momento in cui si farà reagire nuovamente l’idrogeno con l’ossigeno, insieme alle molecole d’acqua appena formate. Questa qualità dell’idrogeno, unita alla sua facilità di trasporto e alla larga capacità di stoccaggio di energia, permetterebbe di risolvere, almeno in parte, un grande difetto delle fonti rinnovabili, ovvero la loro non programmabilità e incostanza.

Il maggior vantaggio dell’utilizzo dell’idrogeno, tenendo a mente il fine della decarbonizzazione, è l’assenza di emissioni di anidride carbonica nelle procedure in cui l’idrogeno deriva dalle risorse rinnovabili. Per questo, sostituire vettori energetici tradizionali con l’idrogeno in differenti settori dell’economia (ad esempio nei trasporti, nei riscaldamenti domestici ed industriali, nei processi industriali e nei materiali di produzione) può potenzialmente contribuire in modo sostanziale alla riduzione delle emissioni di gas serra.

I colori dell’idrogeno

L’idrogeno, in quanto vettore energetico (e non una fonte), può essere prodotto. A seconda del tipo di fonte o processo usato per produrlo, l’idrogeno può essere categorizzato in “colori”. Per ogni tipo di idrogeno si può definire un costo, in base alla fonte e all’efficienza della tecnologia utilizzata.

L’idrogeno grigio viene estratto da combustibili fossili come il metano o il carbone, risultando in una massiccia produzione di CO2, che viene poi rilasciato nell’ambiente senza essere usato in altri modi. Tale metodo di produzione dell’idrogeno è il più diffuso a livello globale.

L’idrogeno Blu è prodotto a partire da risorse e processi che rilasciano CO2 nell’ambiente ma che, al contrario dell’idrogeno grigio, viene catturato ed immagazzinato (e in alcuni casi riutilizzato in altri processi). Questa modalità si chiama Carbon Capture and Storage (CCS).

L’idrogeno verde è prodotto tramite l’elettrolisi dell’acqua, utilizzando solo elettricità derivante da energie rinnovabili. Il processo di elettrolisi permette la separazione dell’acqua in molecole di idrogeno e di ossigeno per mezzo dell’energia elettrica. Poiché la produzione è basata su energie rinnovabili, l’idrogeno è prodotto senza provocare alcuna emissione di CO2.

Oggigiorno questi tre principali “colori” di idrogeno sono ben conosciuti, ma stanno facendo la loro comparsa anche i cosiddetti idrogeno rosa e idrogeno turchese.

L’idrogeno rosa è estratto attraverso l’elettrolisi dell’acqua operata tramite l’energia nucleare. L’energia nucleare è disponibile solo in determinati stati, come ad esempio in Francia. Ormai da molti anni in Italia non circola energia nucleare di propria produzione e anche la Germania, seppur possedendo centrali nucleari proprie, sta portando a termine il processo di decommissioning (smantellamento e messa in sicurezza delle strutture). Si tratta quindi di un tipo di idrogeno che ha una collocazione geografica circoscritta  ma, allo stesso tempo, il prezzo dell’energia nucleare è nettamente più basso (circa €50 per MWh) rispetto a quello delle energie rinnovabili.

La produzione di idrogeno turchese si ottiene mediante pirolisi, a volte utilizzando catalizzatori o membrane, e che in reattori ad alte temperature (800-900°C) separa carbonio e idrogeno dalla molecola di gas naturale o da altre sorgenti. Questo processo porta ad idrogeno in forma gassosa ed a polveri di carbonio, senza dispersione di CO2 nell’atmosfera. Inoltre si tratta di un processo intensivo dal punto di vista energetico, per via delle alte temperature richieste, perciò non è ancora replicabile efficientemente a livello industriale. In ogni caso, ha il potenziale per diventare un sistema di conversione che può facilmente essere adattato a tutti i processi che oggi fanno uso dei gas naturali.

Ad oggi, la principale fonte di produzione dell’idrogeno è il gas naturale, per via dei suoi costi limitati soprattutto nelle regioni del Nord America, Russia e Medio Oriente, e costituisce circa i tre quarti delle 70 mln di tonnellate di idrogeno prodotte annualmente a livello globale. Segue al secondo posto il carbone, per via del massiccio utilizzo che ne fa la Cina, e solo in piccola parte la produzione dell’idrogeno ha origine da risorse rinnovabili.

L’idrogeno e la transizione verde

La produzione di idrogeno è tutt’ora fortemente ancorata alle risorse fossili, soprattutto a causa degli ancora elevatissimi costi di produzione dell’idrogeno verde. Lo scenario produttivo e commerciale dell’idrogeno verde però cambierebbe, condizionando la variazione del prezzo e quindi anche gli interessi economici degli attori internazionali, nel momento in cui vi siano novità in ambito di due particolari fattori della produzione. Questi fattori sono il miglioramento tecnologico delle celle elettrolitiche (principalmente in relazione alle dimensioni di quest’ultime e alla necessità di costruire aree per lo stoccaggio di idrogeno che conserva energia proveniente da risorse rinnovabili), che comporterebbe effetti sostanziali sulla scala della produzione di idrogeno verde, e il costo dell’energia rinnovabile. La prima delle due questioni è elencata fra gli obiettivi del Recovery Plan, il piano di prestiti e sovvenzioni promosso dall’UE nell’anno passato. Mediante questa iniziativa sono stati allocati sostanziosi fondi per incentivare, fra le varie aree di intervento, il perseguimento degli obiettivi riguardanti l’ammontare della produzione di idrogeno tramite elettrolisi, cioè dell’idrogeno verde. Per quanto concerne invece i costi dell’energia rinnovabile, tutti gli stati europei si sono adoperati garantendo concessioni per lo sfruttamento di energie green (come quella solare, eolica, idrica…) tramite impianti offshore, con il fine di aumentare notevolmente la produzione ed abbattere così i costi.

Grazie alle sue caratteristiche, l’idrogeno può potenzialmente essere utilizzato in numerosi contesti. Attualmente, il suo impiego coinvolge principalmente la raffinatura del petrolio e la produzione di fertilizzanti. Affinché l’idrogeno possa dare un contributo significativo nella transizione ad energia pulita, è necessario che venga adottato anche in settori nei quali al momento è quasi completamente assente e che sono in larga parte dominati da carburanti fossili, come il settore dei trasporti, delle costruzioni e nelle centrali elettriche.

È effettivamente possibile un’Economia dell’Idrogeno?

Si parla spesso infatti di “Economia dell’idrogeno”, di un’ipotesi per il futuro secondo la quale l’idrogeno farà da protagonista in ambito energetico, e condurrà l’economia mondiale verso una nuova era senza emissioni. Tale visione però porta con sé problematiche legate sia alla produzione dell’idrogeno, in particolare quello verde, sia all’idrogeno in qualità di elemento. Innanzitutto si pone il dubbio della sua convenienza economica, per via degli ingenti costi a cui si dovrebbe far fronte per convertire le industrie dei settori che oggi sfruttano carburanti fossili in industrie alimentate ad idrogeno. In secondo luogo, ma non meno importante, si presenta la questione della sua efficienza termodinamica, cioè la sussistenza o meno di un guadagno in termini di energia, al netto delle risorse da cui viene ricavato e di quelle utilizzate per la sua produzione. L’idrogeno inoltre, essendo l’elemento più piccolo esistente, richiede ancora maggiore sicurezza e controlli soprattutto nell’ambito dei trasporti rispetto al normale gas naturale, per evitare anche la minima dispersione nell’ambiente. Questa preoccupazione è ulteriormente legittimata dal fatto che l’idrogeno è un elemento chimico estremamente reattivo. Ciò comporta che una significativa perdita di radicali liberi H+ nell’atmosfera potrebbe provocare reazioni potenzialmente pericolose, oltre a contribuire negativamente al danneggiamento della fascia dell’ozono.

Un così ampio raggio di utilizzo dell’idrogeno, in così numerosi aspetti dell’economia, sembra quindi irrealizzabile. Nonostante ciò, sono vari gli ambiti che più si addicono all’impiego di questa risorsa e che realisticamente potrebbero trovare realizzazione. Fra questi si possono elencare sicuramente quello dei grandi trasporti, ai quali servono larghe quantità di energia che, senza l’idrogeno, si avrebbe difficoltà a trasportare. Inoltre l’idrogeno potrebbe intervenire negli ambiti in cui le energie rinnovabili si rivelano inefficaci proprio a causa della loro intermittenza fisiologica (ad esempio nel settore industriale). Come conferma anche il report prodotto dall’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA) nel giugno 2019, su richiesta del governo giapponese durante la sua presidenza del G20, rimane indiscusso l’enorme impulso e innovazione che l’idrogeno verde potrebbe fornire alla transizione energetica.

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