La mattina dell’11 settembre 2001 quattro aerei di linea statunitensi vengono dirottati da diciannove terroristi: due vengono fatti schiantare contro le Torri Nord e Sud del World Trade Center a New York, un terzo colpisce il Pentagono; un altro, diretto verso la Casa Bianca, precipita in un campo in Pennsylvania grazie all’azione eroica dei passeggeri. Quel che accadde in seguito è drammaticamente impresso nella memoria di tutti coloro che ebbero modo di vedere attraverso gli schermi televisivi i video e i fotogrammi degli attentati. L’11 settembre ha cambiato il volto dell’America e non solo: le decisioni assunte nei mesi successivi dall’amministrazione Bush hanno inciso profondamente sulle relazioni internazionali e sulle dinamiche geopolitiche globali; il concetto di privacy, di sicurezza e la percezione dell’altro sono stati irrimediabilmente stravolti. Il mondo occidentale si è compattato contro la comune minaccia del terrorismo al fine di preservare il patrimonio di libertà e diritti fondamentali dell’uomo. In particolare, l’attacco alle Torri Gemelle ha rappresentato uno spartiacque nella definizione di due identità contrapposte e apparentemente inconciliabili, l’Occidente e l’Oriente. Tutto questo ha finito per tradursi in una contrapposizione tra visioni stereotipate che semplificano sistemi sociali, religiosi e culturali nella realtà molto più complessi. I temi della riflessione interculturale e del più volte annunciato scontro di civiltà sono posti al centro de Il fondamentalista riluttante, diretto dalla regista Mira Nair. Il film gioca abilmente sulle questioni legate alla rappresentazione dell’altro, grazie anche allo straordinario talento del protagonista, interpretato da Riz Ahmed, primo attore musulmano e pakistano ad esser candidato agli Oscar come miglior attore nel film Sound of Metal, nel 2021, e vincitore dell’Oscar al miglior cortometraggio per il film The Long Goodbye nell’anno successivo.
L’ipocrisia del sogno americano
La storia, adattamento dell’omonimo romanzo di Mohsin Amid, è quella del giovane pakistano Changez che si racconta al giornalista statunitense Bobby (Liev Schreiber) in un bar di Lahore, Pakistan, mentre poco lontano da loro è in atto una rivolta studentesca in cui è stato rapito un professore americano. La narrazione si sviluppa attraverso una serie di flashback che ripercorrono la vita del protagonista: gli studi eccellenti, il viaggio negli Stati Uniti, il lavoro a New York come brillante consulente finanziario, l’amore per Erica (Kate Hudson). La sua storia incarna il sogno americano, fatto di speranza, ambizione e realizzazione, infranto dai tragici eventi dell’11 settembre. Changez vive sulla sua pelle il cambiamento di un paese che prima l’aveva accolto calorosamente e ora lo guarda con sospetto e timore. Il fanatismo nazionalista e il pregiudizio anti-islamico interrompono bruscamente l’ascesa del giovane che, oramai disilluso, si trova a fare i conti con una profonda crisi d’identità. Farà così ritorno in Pakistan dove, una volta abbandonate le fattezze capitaliste americane, è pronto a riabbracciare le sue radici etniche, religiose e culturali.
Oriente e Occidente: tra identità collettive e scontri ideologici
Il conflitto interiore del protagonista è il segno del complesso rapporto tra due mondi che nella storia hanno dialogato a fatica, trincerati dietro rappresentazioni dell’altro distorte e inesatte. Queste narrazioni, basate su pregiudizi, stereotipi e generalizzazioni, si sono costruite nel tempo fino a solidificarsi pericolosamente nell’immaginario collettivo e a offrire uno strumento strategico di propaganda politica. La continua lotta tra “noi” e “loro”, rafforzatasi all’indomani dell’11 settembre, ha finito per alimentare costruzioni ideologiche contrapposte, ma accomunate dal disprezzo per l’altro, individuato come il nemico. Da una parte l’islamofobia occidentale che vede nell’Islam una religione violenta, fanatica e integralista, senza riconoscere la sua reale complessità e pluralità; dall’altra l’antiamericanismo che considera l’America, più in generale l’Occidente, un luogo di perdizione e di immoralità, comandato dall’etica del denaro e dal materialismo. Ed è in questo contrasto, in quest’opposizione tra le diverse anime di Changez, all’apparenza contraddittorie, che emerge il suo essere un “fondamentalista riluttante”.
Quando la diffidenza prende il sopravvento
A circa dieci anni dalla realizzazione della pellicola e dopo oltre un ventennio dall’attacco alle Torri Gemelle, la regista Mira Nair si è dimostrata capace di impostare un dibattito di forte attualità. Il dialogo tra Changez e il giornalista spinge ad una riflessione sulle responsabilità di entrambe le parti, tra abusi giustificati dalla lotta al terrorismo e le violenze dei cosiddetti fondamentalismi ‘di ritorno’. Rispetto alle vicende internazionali più recenti emerge ancora oggi la problematicità di racconti semplicistici – spesso amplificati dagli stessi media – che demonizzano interi gruppi sociali, sistemi religiosi, e perfino regioni geografiche. La copertura mediatica della situazione delle donne in Afghanistan dopo il ritorno dei Talebani, ad esempio, o in Iran, per quanto critica e drammatica, spesso ha finito per giustificare un discorso pubblico di matrice islamofobica. Questo clima di tensione e sospetto impedisce l’apertura e il riconoscimento reciproco proprio come accade tra i due protagonisti, i quali incapaci di raggiungere un’intesa, lasciano che la diffidenza prenda il sopravvento tra di loro.