Terza trasposizione cinematografica del romanzo di Erich Maria Remarque, Niente di nuovo sul fronte occidentale ha ottenuto ben nove candidature agli Oscar 2023, dimostrando di non temere la concorrenza dei più favoriti come Everything everywhere all at once che ha ottenuto il maggior numero di nomination (undici) o The Fabelmans, dalla regia di un’icona della storia del cinema quale Steven Spielberg. L’exploit del film diretto dal regista tedesco Edward Berger ha sorpreso i molti che non si aspettavano un simile risultato dall’annuncio delle nomination in diretta sui canali social dell’Academy Awards. Oggi probabilmente potrebbe stupire di meno se si considera il successo dei 7 premi BAFTA assegnati dalla British Academy of Film and Television Arts a febbraio, o se si pensa che già il suo antenato All’Ovest niente di nuovo, primo adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo realizzato dal regista Lewis Milestone, ottenne i premi Oscar per il miglior film e la miglior regia nel 1930, durante la terza edizione della cerimonia. Per la prima volta però la storia, che ha per protagonista una nazione, la Germania, e i suoi soldati alle prese con l’ultima sanguinosa e drammatica fase della Grande Guerra, viene raccontata da un regista tedesco che ne fa un baluardo dell’antimilitarismo quantomai attuale. In effetti, ad un anno dall’inizio del conflitto russo-ucraino, che si svolge su un altro fronte, quello orientale, qualcuno potrebbe dire: Niente di nuovo sul fronte occidentale, ancora oggi come in passato.

La trama: tra cinema, storia e realtà

Il film è ambientato nella primavera del 1917, durante le dolorose fasi finali della Grande Guerra che hanno preceduto l’armistizio della Germania. Mentre da oramai tre anni migliaia di uomini cadono nelle trincee, nelle scuole i giovani tedeschi vengono esortati ad arruolarsi e a combattere in nome della patria, inconsapevoli di imbattersi in un triste e comune destino di morte. Gli orrori della guerra vengono taciuti dalla propaganda patriottica che entusiasma un gruppo di giovani ragazzi, tra cui il protagonista Paul Baumer – interpretato da Felix Kammerer – disposto a falsificare la firma dei suoi genitori pur di poter partire per il fronte. L’entusiasmo iniziale lascia ben presto il passo al disincanto quando i giovani soldati si scontrano con la realtà di una carneficina inutilmente prolungata, nonostante la consapevolezza di una sconfitta imminente. Alle scene più violente, che mostrano scontri feroci e logoranti spargimenti di sangue sul campo di battaglia, si alternano le sequenze meno frenetiche delle difficili negoziazioni che hanno condotto all’armistizio del 1918.  Emerge con forza la dissonanza tra gli ambienti sfarzosi che ospitano i decisori politici e i vertici militari, noncuranti delle innumerevoli perdite che pesano sulle loro spalle, e la desolazione delle trincee, dove migliaia di soldati cadono in difesa di uno sterile patriottismo. Dei loro corpi non resterà altro che una medaglietta identificativa: eppure milioni di vite non hanno alcun valore di fronte all’onore nazionale che finisce per giustificare, ancora una volta, a pochi minuti dalla fine, un’ultima azione suicida.

Niente di nuovo nemmeno sul fronte orientale

L’assurdità della guerra, sulla quale il regista sembra insistere avvalendosi della figura dell’ufficiale Mathias Erzberger (Daniel Brühl), unico a sollecitare l’immediata fine delle ostilità, impone la medesima considerazione a distanza di oltre un secolo. La scenografia e i panorami di devastazione non possono che richiamare alla mente quelle immagini che da oramai un anno ripropongono sotto i nostri occhi un altro teatro di guerra, stavolta reale e non il risultato di una produzione cinematografica. I punti di connessione sono molteplici: dall’avvio dell’offensiva militare russa, a febbraio dello scorso anno, si combatte una guerra ostinata che vede schierarsi due eserciti per contendersi, nuovamente, dei confini, miseri lembi di terra. Le risorse militari, tecnologiche e finanziarie sono cambiate, così come gli attori in gioco, ma la brutalità e la barbarie degli scenari resta la stessa: mentre sul fronte  – in tal caso orientale – il conflitto conta oltre 40 mila morti, su quello diplomatico sembra perdurare una sfida a chi capitolerà prima. L’insensatezza della guerra mostrata dal film di Berger, in cui giovani ragazzi vengono persuasi a indossare le armi da una retorica nazionalista monocorde, impressiona per la sua messa in scena realistica. L’orrore di chi la Prima guerra mondiale l’ha vissuta sulla propria pelle, difatti, non ha niente di diverso dalle atrocità che oggi si commettono al confine tra Russia e Ucraina e che continuano inutilmente a mietere vittime. Il fatto che più di cento anni di progresso, di avanzamento culturale e di sviluppo nei molteplici campi su cui si è soffermata l’attività umana non siano stati abbastanza per impedire il prevalere della logica militare su quella diplomatica suscita sgomento e costernazione. Dietro motivazioni pretestuose si celano, anche in quest’occasione, aspirazioni geopolitiche che giustificano comportamenti disumani. Ed è quella stessa disumanità ad essere ribadita nel film ogni qual volta la macchina da presa mostra senza indugio la devastazione della trincea o la freddezza delle decisioni dei governanti.

Un promemoria internazionale

Niente di nuovo sul fronte occidentale si fa portavoce alla cerimonia degli Oscar di un messaggio potente, un monito per i governi mondiali sulla vacuità della guerra. Spingendosi oltre la semplice ricostruzione storiografica, il film mette in scena le singole storie, l’animo umano e la sofferenza attraverso lo sguardo del giovane Paul. Un dolore non distante da quello di coloro che, da dodici mesi a questa parte, sono impegnati in un conflitto originariamente presentato come un’operazione militare speciale rapida, di poche settimane, ma sempre più simile ormai a una guerra di trincea che infiamma il cuore dell’Europa.

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