L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin si sta rivelando uno spartiacque. Già nelle prime due settimane ha prodotto delle conseguenze che mai ci si sarebbe aspettati, non solo per le parti in causa ma anche per il resto del mondo. Da una nuova coesione tra gli stati membri dell’Unione europea alla decisione storica della Germania di riarmarsi. Dalla nascita di un flusso migratorio senza precedenti alla discussione sulla transizione energetica, al cambiamento del ruolo della NATO nel mondo alla luce di queste rinnovate relazioni internazionali. Insomma questa guerra si sta rivelando un vero game changer, e anche con la fine del conflitto il mondo dovrà confrontarsi con gli impatti di questa guerra. Anche l’Italia e il nuovo governo si troveranno a fare in conti con questa crisi internazionale soprattutto a causa del rincaro di molte commodity per i cittadini in un equilibrio già precario a causa della pandemia in corso. In particolare per il nostro paese, caratterizzato da una fragile ripresa economica si determina un complessivo aggravamento per l’economia del paese. Siamo in recessione economica peraltro di natura molto diversa dalle precedenti.

LA CRISI INTERNAZIONALE

Gli effetti della crisi a livello globale sono fortemente diseguali tra aree e settori in base alla vicinanza dal conflitto. Tra gli impatti più significativi emergono quelli di natura economica. L’economia mondiale è messa a dura prova a causa dei costi dell’energia, soprattutto in Europa (dove le più colpite sarebbero la Germania e l’Italia). Lo si osserva dai valori in ribasso del PIL, crescita smisurata dell’inflazione, deprezzamento dell’euro.

L’Unione Europea è la più colpita rispetto agli USA per la sua dipendenza dalle importazioni di Russia e Ucraina: gas, petrolio, metalli, grano, orzo e altre connessioni produttive e finanziarie. Un intero ecosistema è stato sconvolto all’interno delle industrie manifatturiere (settori tessile, alimentare, stampa, petrolifero, chimico e farmaceutico, gomma e plastica, carta legno e pelle, minerali, metallurgico, elettronica, macchinari elettrici). Ad esempio nel settore autoveicoli ci si è trovati a corto di cavi per l’industria aereospaziale e automobilistica. Bisognerà guardare oltre e pensare creativo in questa specifica catena di approvvigionamento, così come nelle altre aree messe in crisi dalla guerra.
L’unione Europea dal canto suo vuole assumersi la responsabilità dell’impatto socio-economico della guerra di fronte ad una crisi che ha mostrato la necessità di rafforzare il mercato interno e il suo funzionamento. Mentre tutti gli altri obiettivi verranno rimandati ad una situazione post-guerra in nome di questa emergenza.

Prevedere gli impatti dell’emergenza economica

Tutte le principali istituzioni economiche e monetarie a livello globale, continentale e nazionale sono concordi nel ritenere come il conflitto Russia-Ucraina stia generando un’elevata incertezza, soprattutto sulla gravità degli impatti nel mondo e quindi su quali sarebbero gli aggiustamenti da tenere in considerazione. Tutte inoltre prevedono, seppur con stime differenti, un rallentamento della crescita e aumento dell’inflazione a cui già abbiamo assistito per l’anno in corso. Tutte le stime previsionali vanno lette solo come indicative in quanto fortemente dipendenti dall’esito, durata e ampiezza del conflitto.

Nel frattempo i paesi si impegnano a lavorare per creare delle condizioni adeguate ad affrontare l’inverno e il futuro. Si ipotizzano politiche fiscali non troppo dure per non gravare sulle famiglie e che provocherebbero solo un effetto peggiorativo sul livello inflativo.

Immaginare il mondo dopo la guerra

La crisi si riversa anche nelle relazioni internazionali. La lezione per l’Europa sarà emanciparsi economicamente anche dalla protezione americana lasciando Washington ad occuparsi della questione cinese. Gli Usa rischiano di non avere risorse per confrontarsi con la minaccia che costituisce oggi Pechino. Ma la Cina, intanto, avrà preso nota della risposta occidentale all’invasione russa. Ad oggi sembra molto meno desiderosa di impegnarsi nell’invasione di Taiwan dopo che l’evento sanguinoso causato dalla Russia non è rimasto impunito.

L’invasione, le divisioni e il timore che questi eventi degenerino in una guerra generale costituiscono un presupposto cinico ma realista. In ogni caso gli effetti saranno irreversibili.
L’invasione dell’Ucraina segna la fine dell’era successiva alla guerra fredda e il ritorno di una competizione fra superpotenze in Europa e nel pacifico.
Per gli anni a venire cambierà la strategia americana in politica estera. La Nato ha riscoperto la sua missione originaria, ovvero contenere la Russia espansionista.
Ora la Nato ha trovato tanti alleati in Asia come Australia, Nuova Zelanda, Giappone, Corea del Sud e Singapore che considerano la Cina come una minaccia. Quanto ai paesi non ancora schierati (circa 14) potrà sempre convincerli della pericolosità della Russia come minaccia alla sovranità degli stati e non più come una potenza autoritaria con cui fare affari.

La grande sfida di Washington sarà garantire che il mondo venga governato da regole condivise per l’incolumità di tutti, evitando un conflitto su larga scala.
Ma è importante per la strategia americana non farsi catturare solo dalla questione della recessione europea rischiando di trascurare il fronte asiatico.
In questa prospettiva la strategia di Biden di contenere anzitutto la Cina si è rivelata assai lungimirante.
Ora l’amministrazione Biden, lungi dall’ergere muri, dovrà essere più inclusiva delle precedenti, portando i paesi non ancora allineati a schierarsi dalla sua parte. Questo comporterà sicuramente una competizione con la Cina anche sugli aiuti economici forniti a questi paesi per la possibilità di sviluppo che sono in grado di offrire in qualità di superpotenze. All’Europa tocca il compito di assicurarsi la vincita dell’Ucraina in questa guerra, ma ottenendo un’autonomia strategica anche dagli Usa.

L’America resta indispensabile per la Russia in Europa e la Cina in Asia, è una superpotenza che i due paesi non potranno bypassare.
Da qui il ruolo di Washington nel promuovere la pace costruendo un equilibro anzitutto locale e un ordine regionale sul fronte atlantico-pacifico.
L’America avrà però bisogno della collaborazione dell’Europa, coniugando la forza militare di Washington e la potenza economica dell’Ue.
Da un punto di vista economico le sanzioni alla Russia avanzate dall’Unione si sono rivelate molto efficaci.

Ue influente nel mondo

L’Unione europea con la guerra in Ucraina ha dimostrato di essere una vera potenza economica.
La guerra contro il virus aveva già portato l’Europa ad uno “sforzo di coordinamento e solidarietà”. Tra chiusura delle frontiere e politiche vaccinali diverse questa nuova normalità si è rivelata una sfida non semplice.
Oggi si passa al finanziamento di armi letali in nome dei suoi valori fondamentali e della Democrazia. Essa è a fianco dell’Ucraina ed è impegnata ad adottare i provvedimenti necessari per far sì che l’impatto sulla nostra economia sia il più lieve possibile adottando non solo delle azioni umanitarie ma anche sostegni economici. L’Unione ha adottato una risoluzione che prevede invio di cibo per la sopravvivenza, supporto ai rifugiati, offrendo protezione e adottando un’economia solidale. A questo si aggiunge l’obiettivo di contrastare la propaganda di disinformazione russa attuata dal governo di Putin e la rottura dalla cooperazione con le compagnie russe e organizzazioni che supportano le politiche di Putin, inclusa un’attività di monitoraggio della situazione dei rifugiati sul territorio così come nei paesi limitrofi, realizzando un pieno sostegno del popolo ucraino.

All’Unione andrebbe il merito di aver salvaguardato i suoi principi fondamentali di solidarietà prima ancora che economici. Anziché negoziare accordi di libero scambio essa si è assunta la piena responsabilità di tagliare i legami con l’economia russa. Questo segna il suo essere molto influente dal punto di vista economico, il settore dove fin dall’inizio del processo di integrazione ha potuto accogliere il più ampio consenso. Ora questa sua forza economica è utilizzata come l’arma più efficace per affermare dei contenuti ad alto livello morale, come quello della pace e della Democrazia.
Assumersi le responsabilità di questi valori naturalmente comporterà affrontarne le conseguenze, soprattutto per le relazioni con la Russia e gli impatti economici.
E’ nel settore del gas che le relazioni energetiche con Mosca sono più forti. Dal 1969, anno del primo contratto di fornitura di gas sovietico al nostro paese, la partnership energetica si è mantenuta solida arrivando a costituire il partner energetico chiave in Italia (quarto fornitore assoluto di petrolio e il primo di gas naturale). Questo determina una certa competitività russa nei confronti del nostro paese.

L’ ITALIA EUROPEA E’ CON L’UCRAINA: relazioni Russia-Italia

L’Italia rappresenta uno sbocco commerciale per la Russia e negli anni ha sviluppato una forte dipendenza dal gas russo. Ma a livello storico l’interdipendenza dei due paesi ha portato ad un’intesa reciproca, tanto da parlare di relazioni privilegiate. Sono stati stipulati accordi di cooperazione soprattutto in tema di lotta alla criminalità. Da un punto di vista economico si sono formati dei rapporti generosi tra Gazprom ed Eni, le più grandi aziende che si occupano di energia rispettivamente in Russia e in Italia.
Da un punto di vista politico il nostro paese ha sostenuto un percorso di avvicinamento alla Russia, rafforzato soprattutto dai governi Berlusconi (il quale voleva fare dell’Italia “il ponte di collegamento tra Washington e Mosca”).
L’Italia ha storicamente favorito un approccio cooperativo e inclusivo nei confronti della Russia. Se durante l’epoca della Guerra fredda questo si è materializzato nella crescente cooperazione economica e la solida partnership in ambito energetico, con lo sgretolarsi dell’Unione Sovietica il dialogo si è esteso anche al campo politico. In quest’ottica, il nostro paese ha più volte tentato di appianare i dissidi e rafforzare la cooperazione con Mosca, promuovendo iniziative per favorire il ritorno della Russia nel sistema politico e di sicurezza europeo e occidentale.
Da un punto di vista culturale la Russia è sempre stata molto appassionata e interessata alla letteratura e all’arte italiana, nonché alla nostra lingua.
Con la guerra in Ucraina queste relazioni tra industrie, energia e commercio sono state bruscamente interrotte. Anche l’interscambio culturale ne risulta fortemente ridimensionato.

Quanto alle importazioni, l’Italia reagirà guardando altrove. Continuare a dipendere dal gas russo significherebbe finanziare la guerra in Ucraina.

Gli accordi economici dell’Italia per la fornitura di gas e petrolio

L’Italia avvia la sua corsa al risparmio e adotta piani per l’approvvigionamento e cooperazione energetica per realizzare l’indipendenza dal gas russo.
Anche Eni ha esplorato nuove iniziative comuni fuori dal territorio russo, sviluppando idrocarburi in Messico e nel giacimento egiziano nel mar Mediterraneo.
Sono sette i paesi con cui l’Italia sarebbe in trattativa per nuove forniture (Usa, Egitto, Congo, Angola, Qatar, Azerbaijan).
In particolare da Algeri proverrà il 31% del nostro import. L’Algeria, che mantiene da tempo rapporti privilegiati con l’Italia, è diventata il suo primo fornitore di gas negli ultimi mesi dopo essere stata a lungo superata dalla Russia, da cui proveniva il 45% delle importazioni di gas della penisola.
I nuovi accordi siglati tra Italia e Algeria, oltre a consolidare la cooperazione energetica, faranno di Roma un vero e proprio “hub del gas dell’Unione Europea”. Vale a dire mercato di snodo centrale in cui avverranno le transazioni di gas in Europa.

Dall’inizio del 2022 l’Algeria ha fornito all’Italia 13,9 miliardi di metri cubi di gas, superando di gran lunga i volumi inizialmente previsti. Algeria e Italia sono già direttamente collegate tramite il gasdotto Transmed, che coinvolgendo anche la Tunisia, raggiunge Mazara del Vallo, in Sicilia.

Non sarà possibile sostituire in tempi brevi il gas russo, ma ci sono buone probabilità che ciò avvenga tra i 24-36 mesi. Secondo altre stime ottimiste si entrerà a pieno regime nel 2024. Le tempistiche dipendono dal fatto che il gas arriverebbe via mare e non attraverso i gasdotti.
L’Italia è in grado di sviluppare un sistema di approvvigionamento abbastanza resiliente grazie alla diversificazione, soprattutto per il gas proveniente dall’estero.
Inoltre esistono già delle strutture. Ad esempio da una costa libica parte il gasdotto greenstream che approda a Gela, in Sicilia e fino a questo momento poco utilizzato (solo un terzo della sua capacità). Tali strutture potrebbero quindi essere rafforzate.

La diversificazione energetica

Ma quali sarebbero allora le alternative? Molti parlano delle estrazioni e al ripensamento del nucleare. Ma le fonti rinnovabili sono sicuramente quelle che mettono d’accordo tutti. Il fotovoltaico è passato dall’essere l’energia più costosa a quella più accessibile e conveniente. Già da due anni è il modo più economico per realizzare energia elettrica, non produce co2 e non produce inquinamento.

Le scelte di diversificazione dell’import di energia e il cambio di mix energetico sembrano la strada da seguire. Nel breve e medio periodo è importante aumentare l’estrazione domestica di gas e la diversificazione delle importazioni. Nel lungo periodo, occorre accrescere l’indipendenza energetica: aumentando la quota di energia prodotta da fonti rinnovabili e la bio-energia e proseguendo sul percorso di una maggiore efficienza energetica.
Insomma una transizione ecologica per dipendere meno dal Gas naturale liquefatto.

Scelte consapevoli per i diritti umani

L’esperienza della guerra in Ucraina insegna che non è bene dipendere eccessivamente dal volere di potenze dispotiche, e non è neppure conveniente dal punto di vista economico.
Se l’Italia ha scelto di abbandonare la Russia, e dunque di non finanziare indirettamente la guerra pagando le forniture di gas, si pone lo stesso problema con i nuovi partner energetici. Le alternative individuate dal governo garantiranno introiti ad altri Stati autoritari per reprimere le proteste interne. Proprio per questo motivo come Amnesty da tempo chiede, nelle relazioni economiche andrebbero inseriti vincoli precisi sulla tutela dei diritti umani. Ma questa richiesta finora non ha incontrato molto consenso all’interno degli Stati europei.

L’IMPATTO DELLA GUERRA SULL’ECONOMIA DEGLI ITALIANI

Questa guerra avrà un impatto sulle nostre tasche, essendo l’Italia uno tra i paesi più colpiti economicamente.
Sicuramente questo inverno continueremo ad assistere ad un aumento dei prezzi del carburante per autoveicoli, rincaro delle bollette energetiche e dei beni alimentari.
La svalutazione della moneta e rincaro di molte commodity per i cittadini deriva non della scarsità delle risorse ma per situazioni geopolitiche.

Gli stessi obiettivi del PNRR (piano nazionale di ripresa e resilienza) elaborato dal cdm Draghi per l’Italia e inserito all’interno del programma next generation EU vengono messi in discussione.

La crescita dell’inflazione si teme possa arrivare oltre il 6% e questo graverà sulla vita dei cittadini.
L’Italia a livello inflativo apparentemente si trova meglio degli altri paesi grazie alla presenza di piccole imprese. Ma si teme che proprio la presenza di queste micro realtà (in contrapposizione alle grandi imprese presenti negli altri paesi europei) abbia determinato per il nostro paese un potenziale inflazionistico represso che potrebbe portarla da un momento all’altro anche al 10%.

Naturalmente è molto difficile fare delle previsioni perché la nuova crisi non può essere paragonata a quella pandemica, di natura molto diversa. Né può essere paragonata a situazioni apparentemente simili, come lo shock energetico degli anni Settanta.
Inoltre l’evoluzione bellica è soggetta a mutamenti imprevedibili che aumentano tale incertezza, rendendo impossibile fare previsioni.

E’ possibile però cercare di prevedere alcuni effetti, in modo parziale e sforzandosi di creare alcuni potenziali scenari. La crisi attuale si compone di chiari e scuri ed è facile cadere in un pessimismo allarmante o in un eccessivo positivismo.
Secondo una previsione se la guerra finisse al più presto si tornerebbe facilmente ai livelli di Pil normali pre-covid. Secondo l’ipotesi di prosecuzione della guerra (ben più realistica) invece, ci si continuerà a confrontare con una recessione tecnica galoppante. Lo scenario peggiore è quello in cui il PIL arriverebbe ad un tale valore da azzerare la crescita economica.

Quanto ai primi impatti economici sul nostro paese a cui abbiamo già assistito, hanno dimostrato una certa indole al risparmio degli italiani che ha generato un minor potere di acquisto da un punto di vista economico.

La spirale prezzi salari

Le prospettive sono diventate più incerte a causa dell’affievolirsi del clima di fiducia. Con il rincaro delle bollette energetiche e il conseguente ridotto potere d’acquisto delle famiglie, verranno scoraggiati anche gli investimenti delle imprese. Cioè il peggioramento del clima di fiducia dei consumatori può determinare un deterioramento delle aspettative delle  imprese  sui  profitti  attesi  con  evidenti  ricadute  sui  consumi  e  sugli investimenti. Le risorse destinate al rinnovamento di impianti e macchinari (anch’essi pienamente recuperati dopo la pandemia) saranno frenati a sua volta da un calo di fiducia sulla domanda dei beni.
La riduzione del potere di acquisto è dunque legata al contestuale deterioramento delle aspettative sia sulla situazione economica del paese che su quella personale.

Il rischio è che l’elevata inflazione e il clima di incertezza deprimano i consumi e gli investimenti, generando effetti recessivi sul PIL e sui livelli occupazionali.
Si innescherebbe così un ciclo di rallentamento dell’acquisto da parte sia dei produttori che dei consumatori che provocherebbe una drastica riduzione dei livelli occupazionali (questione già particolarmente delicata in Italia).

L’incremento dei prezzi dei beni e servizi essenziali colpisce in misura maggiore chi ha redditi più bassi. Ciò può determinare un ulteriore aumento delle disuguaglianze economiche e sociali (che già contraddistinguono il nostro paese) e un incremento dell’area della povertà.

Per superare questa ulteriore crisi innescata dalla guerra, sarebbe quindi necessario sostenere i salari, aumentare l’occupazione e rafforzare il ruolo economico dello stato.
E’ indispensabile intervenire rapidamente per adeguare i salari all’inflazione, promuovendo la piena e buona occupazione e sostenendo i salari.

LE SFIDE DEL NUOVO GOVERNO DI FRONTE ALLA CRISI INTERNAZIONALE

Il nuovo governo dovrà inevitabilmente confrontarsi con questa crisi internazionale e ci si aspettano interventi tempestivi per la recessione che incombe.
La  maggiore prossimità alle posizioni russe rischia di creare la percezione di un paese non completamente allineato con i partner euro-atlantici dell’Italia. Questo genera incertezza e ambiguità sul destino dell’Italia come nazione in Europa.

Il partito FdI si è presentato come molto amico dell’America e freddo con l’Unione Europea, nonostante si sia schierato a sostegno dell’Ucraina. Su questa linea sembra quindi muoversi in sintonia con il premier ungherese Viktor Orbàn e perpetrando le sanzioni alla Russia. Le principali preoccupazioni riguardano quindi le relazioni fredde con l’Unione Europea determinando una rottura con la linea tracciata dall’ex premier Mario Draghi a cui ha sempre negato i voti in parlamento. Di conseguenza anche i rapporti con Macron e Scholz rischiano di essere compromessi. Proprio con questi ultimi l’Italia ha stretto le relazioni più importanti.

Occhi puntati sul nuovo governo

La protagonista indiscussa delle ultime elezioni Giorgia Meloni si è dimostrata filo occidentale e tuttavia molte sue posizioni e alleati sono pro-Putin. L’ambiguità si deve all’obiettivo di rassicurare i governi e i mercati finanziari da un lato, mentre è altrettanto vero che non potrà certamente abbandonare i panni della leader portatrice dei valori del sovranismo e del nazionalismo. Emblematico lo slogan “la pacchia è finita”.
Ma almeno per quanto concerne l’isolamento della Russia sembra porsi in continuità rispetto al precedente governo.
Ciò che continua a destare preoccupazioni è il rapporto con l’Ue, ma anche qui è probabile che la Meloni preferisca non indispettire gli altri governi europei pur senza tradire la sua collocazione politica, sicuramente ridimensionando le scelte di quando si trovava all’opposizione.
Inoltre questo governo non potrà sottrarsi dall’affrontare l’emergenza energetica e collaborare con l’Europa per adottare misure efficaci di politica energetica (alleggerimento dei costi per famiglie e imprese, misure di risparmio energetico). Tutto si giocherà sul richiedere alle famiglie sacrifici in materia di riduzione dei consumi di energia.

Certo è che la comunità internazionale nutre dei forti dubbi. Questi temi eserciteranno una notevole pressione sul governo che potrebbe essere indotto a perseguire la via meno rischiosa e continuando quanto già tracciato, nonostante potenziali scelte controverse appaiano possibili.

Dalla revisione del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) alla questione energetica, dalla supremazia del diritto Ue su quello nazionale alla situazione dell’immigrazione: sono tanti i dossier aperti tra Italia e Ue che il governo Meloni dovrà fronteggiare. Lo scorso 3 novembre il presidente del Consiglio ha incontrato la numero uno della Commissione europea Ursula von der Leyen, che appena insediato il governo di destra si era detta “impaziente” di incontrare la nuova premier italiana. La stessa che parla di super presenza europea, criticando un eccessivo potere decisionale nelle mani della Commissione (tutti elementi di convergenza con Ungheria e Polonia).

Per ora l’Ue sembra aver apprezzato la visita della Meloni, avanzando un gesto di pace alle istituzioni europee, come ha dimostrato il tweet della della von der Leyen che ha definito l’incontro come “un segnale forte” da parte dell’Italia, paese molto importante da un punto di vista geopolitico nell’area europea.

Lo strappo diplomatico Italia-Francia sui migranti

Ora, dopo il recente scontro con la Francia sulle migrazioni, l’Italia rischia di essere isolata in Europa. Il governo non potrà che fare il possibile per ricucire i rapporti. Lo stesso Mattarella ha recentemente incontrato il presidente francese Macron e da entrambe le parti è emersa l’importanza delle relazioni tra i due paesi.

Per la Meloni ricucire questi rapporti significherà superare le attuali resistenze della Francia. Allo stesso tempo questa esperienza le ha confermato un importante dato politico e diplomatico: l’Italia non potrà prescindere dalle buone relazioni con l’America. La Meloni sembra aver assicurato in effetti fedeltà alla Nato. Ma per farlo dovrà tener conto delle aspettative della casa bianca che riguardano la buona tenuta dei rapporti anche con l’Europa.
Gli Usa non si limitano a chiedere all’Italia affidabilità nella sfida geopolitica con Cina e Russia, le autocrazie che minacciano le democrazie. Per vincere questa partita epocale sono fondamentali anche altri due aspetti: l’unità dell’Europa e la stabilità finanziaria. Tali volontà sono emerse proprio nell’ultimo G20 a Bali.

Il summit indonesiano

Nuovamente gli occhi sono puntati sul capo del governo per capire dove vuole portare l’Italia. La Meloni pone la questione della sostenibilità delle conseguenze della guerra e degli impatti asimmetrici sui singoli paesi.

La copertura dell’America per l’Italia è molto importante ricevendo la partnership commerciale. Mentre l’America dal canto suo vuole assicurarsi questo alleato, evitando che come in passato possa tornare a stringere legami con la Cina. L’Italia sembra in effetti ormai disposta ad abbandonare la tradizionale “via della Seta”.
Trovare un equilibrio economico e commerciale è la questione principale per gli Usa. Biden vista l’ultima tensione con la Francia vuole assicurarsi dei buoni rapporti in Europa. Non apprezza che un paese membro ne incrini la compattezza, sia per la difesa della Democrazia e dell’intero Occidente, sia per la stabilità fiscale che solo le regole europee possono garantire.
Se l’Italia tornasse alle politiche irresponsabili del passato, danneggerebbe l’intero sistema economico dei paesi membri e dei loro alleati.

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