SIAMO GIÀ PARTE DI UN FUTURO DISTOPICO?
Siete in metro, dopo una lunga giornata di lavoro: la gente fissa lo schermo dello smartphone a capo chino. Non appena parlate animatamente di quanto vi piaccia quel paio di scarpe in vetrina, bastano cinque minuti per ritrovarlo tra le pubblicità del vostro dispositivo.
Fino ad oggi erano solo congetture, ci si riuniva tra amici per disquisire su quanto fosse insolito essere ascoltati senza un reale permesso; ritrovare i propri gusti personali cuciti come un abito di sartoria su un annuncio pubblicitario. Dunque, è arrivato il momento di chiederselo: siamo spiati? E, di conseguenza: siamo liberi di avere ‘consciamente’ il controllo sulle nostre azioni?
È possibile che il futuro distopico-fantascientifico che abbiamo sempre visto nei film, si stia realizzando?
1984: IL ROMANZO VISIONARIO DI ORWELL
Nel 1948 l’editoria assapora uno dei più grandi capolavori della letteratura recente: 1984.
Il romanzo distopico di George Orwell acquisisce valore con gli anni a venire; soprattutto perché i decenni successivi danno ragione allo scrittore inglese. Il futuro orwelliano è avvolto da un alone per certi versi catastrofico, all’interno del quale si muove una società strettamente sorvegliata: ogni individuo è controllato nella propria abitazione e negli ambienti esterni da un sistema di telecamere (denominato Grande Fratello); un processo che nega ogni tipo di privacy e in cui gli individui non sono più liberi di esprimersi.
Si può affermare che oltre settant’anni più tardi lo scenario non sia troppo differente: non esiste, certamente, alcuna società minimamente paragonabile al ‘Grande Fratello’, ma si inizia a instaurare lentamente un regime silenzioso, nascosto nell’universo dei ‘big data’ e della pubblicità; per non parlare della forte influenza dei social network.
DA ORWELL A WEIR: COME CAMBIA LA PERCEZIONE DELLA REALTÀ IN ‘THE TRUMAN SHOW’
La differenza tra i due capolavori di Orwell e Weir sta nella consapevolezza. Truman, il protagonista del colossal statunitense, avverte un alone di mistero nella piccola cittadina in cui vive; tutto inizia ad apparirgli finto e forzato, come se vivesse in un grande reality.
Una differenza che appare sottile ma non lo è: l’ideologia del singolo che può cambiare il suo destino è parte del pensiero di Weir, che attraverso l’interpretazione magistrale di Jim Carrey vuole imporre una forte scossa all’idea orwelliana. Il romanzo degli anni ’40, infatti, presenta un finale tutt’altro che ricco di speranza; la vicenda si chiude con la resa del protagonista Winston Smith, arreso al lavaggio del cervello, il che determina la vittoria del regime. In ‘The Truman Show’ il main character è in lotta con sé stesso, ma riesce a imporsi il superamento delle peggiori paure, come quella del mare. Sono, dunque, entrambe delle idee distopiche, ma Weir crede che le paure e le routine debbano essere vinte, liberandosi dal sistema-media, privilegiando i bisogni interiori di un uomo che soffre.
TRUMAN NELLA REALTÀ DI OGGI
Analizzando il colossal di Weir, si potrebbero sviluppare due interpretazioni: la prima si ricollega alla sfera collettiva, schiava di un mondo digitale , costantemente sorvegliata dai colossi del network. La seconda riguarda la sfera personale, che perde ogni singolarità e si sottomette ai dettami del capitalismo e della pubblicità. In questo, Weir si rivela molto bravo: il reality in cui vive Truman è costellato di spot pubblicitari, che i personaggi del reality devono recitare spontaneamente per non risultare goffi durante la scena. Potrebbe essere che proprio il monopolio capitalistico delle piattaforme ci ha cambiati, ha eliminato la distinzione tra individui, influenzandone le decisioni, gli acquisti, le personalità.
Esattamente come succede all’interno dello show di Truman. Il protagonista non vuole vivere in quella cittadina, né tantomeno ama sua moglie, ma delle cause di forza maggiore dettate dal sistema lo costringono alla routine giornaliera. Da un lato, dunque, sconfiggere le paure per cambiare le proprie vite, dall’altro sconfiggere il sistema per tornare ad essere sé stessi.
Questo induce a chiedersi: è possibile che il ‘lavaggio del cervello’ orwelliano sia realmente previsto per le nuove generazioni, nate e cresciute nell’era digitale? C’è realmente il rischio che le prossime generazioni non siano neppure abili a distinguere cos’è vero, da cosa non lo è.
Si noti l’incredibile influenza della fast fashion, abile a illudere un cliente dell’indispensabilità di un capo d’abbigliamento. Si pensi anche potere dei notiziari, erroneamente scambiati dalla massa come ‘bocca della verità’. Insomma, noi siamo già il prodotto; la realtà virtuale prende piede sempre più velocemente. Lo sviluppo del multiverso ne è un esempio. Tutti questi elementi sono potenzialmente degli embrioni che possono svilupparsi e crescere.
C’è una via d’uscita? Si, secondo Weir.
La determinazione nel valutare la ‘zona di comfort’ che subiamo passivamente. Comprendere che, spesso, l’industria di oggi, sfrutta le vulnerabiltà umane. Da queste, costruisce le armi per regalare un piacere temporaneo, erroneo. Non è facile, di certo, saper distinguerlo dal piacere vero. Questo perchè la nostra mente è in una fase di manipolazione in stato avanzato. Come uscirne? Semplice.
Quando pensiamo che il sistema ci stia inghiottendo, dovremmo fare tutti come Truman: prendere una vacanza alle Fiji.