Al decimo km di Via Tiburtina è situata l’ex fabbrica di Penicillina Leo Roma, un tempo polo di attrazione di investimenti internazionali, oggi una bomba ecologica che l’amministrazione capitolina fa fatica a riqualificare

Ex Penicillina oggi

Leo Farmaceutica: da polo industriale a complesso occupato

Nel quartiere Ponte Mammolo, al decimo km di via Tiburtina, si trova quel che rimane della  Leo Farmaceutica, nota anche come ex Penicillina, la prima fabbrica a produrre penicillina in Italia. Inaugurata nel 1950 sotto il patrocinio dello stesso Sir Alexander Fleming, che nel libro dei visitatori scrisse: “Ho visto ora la fabbrica di Penicillina LEO ed ho avuto grande piacere. Negli ultimi anni ho visto numerose fabbriche di penicillina, in diversi paesi, ma nessuna era più attraente di questa. La penicillina è stata il primo antibiotico che abbia avuto successo, ma ora ve ne sono altri ed auspico di visitare la LEO di nuovo in avvenire e di vedervi prodotti tutti gli antibiotici. La terapia antibiotica non è una fase effimera della medicina. Sarà duratura.”

Le parole di Sir Fleming non sopravvissero però alla prova del tempo, la fabbrica dopo l’apogeo raggiunto negli anni ’50 e ’60 cominciò la sua discesa con la decisione del conte Auletta, schiacciato dai debiti contratti negli anni, di vendere la fabbrica alla società milanese ISF S.p.A. Questa fu la prima di una lunga serie di transizioni e di cambio gestione.  Nel 1985 la fabbrica passò sotto l’amministrazione dell’americana Smith, Kline & French Company (SKF), che progettò investimenti per rinnovare gli impianti. Nel 1989 la SKF si fuse con la multinazionale britannica Beecham Group, formando la nuova SmithKline Beecham (SKB), ma la nuova proprietà era poco interessata alla produzione italiana di antibiotici. Sette anni dopo, nel 1996 la SKB cedette lo stabilimento e la fabbrica riprese quindi la produzione con l’antico marchio ISF. Fino a quando nel 2006, si fermò di fatto l’intera produzione per consentire la delocalizzazione della stessa nel polo industriale di Pomezia. È a metà dei primi anni 2000 che la fabbrica chiude definitivamente i battenti, anche se come ci racconta la giornalista Anna Ditta, gli abitanti del quartiere avevano la percezione che la fabbrica fosse in realtà già abbandonata da tempo. Alla sua chiusura, lo stabile fu spogliato del mobilio rimasto e di tutti quei materiali, come il rame o il ferro, facilmente rivendibili sul mercato. Le numerose denunce da parte della proprietà e le vicende giudiziarie che ne sono seguite hanno consigliato la nomina di un Custode Giudiziario dell’area nel 2011. I lavori di ampliamento della via Tiburtina iniziati nel 2012, hanno portato alla rimozione dell’imponente muro di recinzione, così da facilitare l’accesso non autorizzato di numerosi soggetti senza fissa dimora sia italiani che stranieri.

Ex Penicillina: tra occupazioni informali e alto rischio ambientale

Le condizioni di vita degli abitanti informali sono degradanti, aggravati dalle condizioni igienico-sanitarie in cui verte lo stesso stabile. Nell’edificio sono stati ritrovati alte quantità di amianto e di lana di vetro, così come emerge dai rapporti raccolti nel libro Hotel Penicillina. È bene sottolineare tuttavia che l’Arpa non ha mai condotto ricerche ufficiali, e che i dati presenti nel saggio sono il frutto di analisi raccolte grazie al lavoro del comitato Nuova Penicillina. Si susseguono così più di dieci anni di occupazione informale, in cui diverse associazioni del territorio si attivano per dare assistenza sanitaria e giuridica agli occupanti abusivi. Medici senza frontiere e Medu si occupano di garantire loro cure e visite mediche, comprovando quanto gli agenti chimici residui nella fabbrica siano dannosi alla salute, mentre le associazioni Alterego-Fabbrica dei diritti e A Buon Diritto si occupano di garantire loro assistenza giuridica. Wilpf Italia, associazione di donne pacifiste si mobilita per trovare lavoro agli occupanti e li aiuta con i documenti e con la stesura dei curricula. Poi nel 2018 lo sgombero ordinato dall’ex ministro degli Interni Matteo Salvini, con un mese di presidio degli agenti davanti alla fabbrica. Tuttavia, gli incendi registrati negli ultimi anni, in particolare l’ultimo risalente al settembre 2021, confermano però il perdurare della presenza di occupanti nello stabile, anche se oggi non è ancora possibile ricostruire il numero definito di abitanti. La storia della Leo è stata raccontata in modo approfondito da Anna Ditta, Andrea Turchi e Marco Passaro nel libro “Hotel Penicillina: Storia di una grande fabbrica diventata rifugio per invisibili” (Infinito edizioni, 2020).

Da Hotel a Campus Universitario: i progetti di riqualifica sommersi dall’amianto

Molti i piani teorizzati per la Leo Farmaceutica, da hotel a 4 stelle, a parcheggio, a Campus per La Sapienza, nessuno di questi sembra però essere sopravvissuto alla sfida e alla spesa della bonifica. Nei primi anni del 2000 la ISF ottenne dall’Amministrazione di Roma Capitale la concessione per la trasformazione del complesso in struttura alberghiera, sotto l’impulso del Gruppo Alberghiero Internazionale Domina Hotels, il quale però non portò mai a termine la propria iniziativa imprenditoriale rinunciandovi, per le sopraggiunte gravi limitazioni d’uso conseguenti un decreto di esproprio nell’anno 2006 utile all’allargamento della via Tiburtina Valeria, che impediva così una regolare fruizione dell’area antistante il realizzando Albergo. Lo scheletro in cemento armato incompiuto è ancora visibile. L’ Amministrazione Capitolina indicò poi il sito come strategico per la localizzazione di un Campus Universitario a servizio dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Anche in questo caso, sebbene la proprietà avesse acconsentito e sviluppato a proprie spese l’intero progetto fino alla fase esecutiva, sfumò per il recesso immotivato dall’iniziativa da parte de La Sapienza.

Qual è il futuro dell’ex Penicillina?

Il Viminale ha stanziato 11,6 milioni di fondi a disposizione del Campidoglio per la riqualificazione entro il 2023 di vari edifici fantasma della Capitale, tra cui l’ex Penicillina, a cui è destinato un milione e mezzo; ma come ci spiega l’autrice del libro Anna Ditta la strada per la riqualifica dell’impianto risulta essere burocraticamente tortuosa: “Si tratta infatti di un edificio privato che, in seguito al fallimento dell’azienda, è stato messo all’asta giudiziaria, rimanendo però fino adesso ancora invenduto, per tanto il pubblico vede limitato il suo potere d’azione; nonostante, data la pericolosità, ma anche la potenzialità dell’impianto, sia proprio l’amministrazione pubblica che dovrebbe occuparsene per trarne un risultato migliore”. L’impianto sorge inoltre vicino a dei palazzi occupati dal movimento della lotta per la casa, che nel corso di questi anni ha rivendicato l’esigenza e il progetto politico di trasformare l’ex Penicillina in case popolari, battaglia appoggiata anche dal comitato Nuova Penicillina. Gli stessi ex lavoratori della fabbrica hanno recentemente avanzato al Municipio IV, in presenza dello stesso co-autore, Andrea Turchi, la proposta di dedicare una parte dell’impianto alla memoria storica della fabbrica e del peso che essa ha avuto nella città e in particolare nella comunità di San Basilio. Fausto Meani è un ex lavoratore della Leo Farmaceutica, nella quale ha lavorato per trentatré anni. Racconta di essere entrato in fabbrica nel 1968, all’età di ventitré anni: “Nella prima metà degli anni ’60 c’erano state diverse occupazioni per protestare contro la mancanza di finanziamenti, e la prima cosa che mi dissero una volta entrato fu che la fabbrica avrebbe chiuso l’anno seguente. Ho lavorato per l’ex Penicillina per trentatré anni, fino a quando nel 2000 ho deciso di andare via. Il crollo della vendita della calcitonina, medicinale per la cura dell’osteoporosi, non più passato gratuitamente dall’Asl, ha segnato l’ultimo atto della crisi di produzione. Così gli americani sono tornati in America con le loro valigette e hanno venduto la fabbrica a un proprietario edile, con l’accordo di mantenere l’impianto aperto per altri cinque anni per non andare incontro a penali. Nel 2004 l’ex penicillina ha chiuso definitivamente. Questa fabbrica è stata come la mia seconda casa, vederla adesso cadere a pezzi, sommersa dai rifiuti mi provoca un grande senso di tristezza”. Dalle parole di Fausto Meani si capisce che la fabbrica è sempre stata in balia delle decisioni di amministrazioni altalenanti, ma che questo non ha mai impedito allo stabile di essere un punto di riferimento per i suoi dipendenti. Mostrando delle vecchie foto sbiadite dal tempo, continua a raccontare alla Redazione: “ogni luogo di questa fabbrica suscita in me dei ricordi, facevamo tutto da soli, avevamo per fino una vetreria per fare le nostre provette. Ma la fabbrica non era solo lavoro, è stata luogo di numerose amicizie. Eravamo circa 600 dipendenti, provenienti da diverse zone di Roma, Ponte Mammolo, da dove vengo io, San Basilio, Pietralata, Don Bosco, Tuscolano fino ad arrivare anche fuori Roma, come Zagarolo o Palestrina. Avevamo la nostra squadra di calcio, organizzavamo gite con il CRAL aziendale e abbiamo per fino passato il Natale insieme a mensa qualche anno”. La sua collezione fotografica è vasta e si possono ritrovare degli scatti con ospiti illustri, da Sir Fleming al Conte Auletta, passando per fino per la visita di Paolo VI. Per sottolineare l’importanza che la fabbrica aveva negli anni ’70, mostra altri scatti in cui sono ritratti dei lavoratori provenienti dalla Cina e dall’India per imparare le tecniche di produzione. “Quando la fabbrica ha chiuso, io e gli altri dipendenti ci siamo persi di vista, poi un giorno è arrivato l’incontro con Andrea Turchi. È stato un mio vicino di casa a presentarci, un ex professore di chimica. Per aiutare Turchi a raccogliere informazioni per il libro sull’ex Penicillina io e gli altri ex dipendenti ci siamo riuniti dopo venti, trent’anni davanti a una pizza ed è risbocciata la voglia di ridare una dignità alla fabbrica, alla sua memoria storica, a quello che ha significato per il quartiere e per le vite di tutti noi ex dipendenti”. Nonostante le diverse proposte avanzate, ancora non ci sono piani d’azione diretti e concreti. Il Presidente del Municipio IV, Massimiliano Umberti, ha dichiarato durante l’incontro con gli ex lavoratori, che l’impianto entrò la fine del 2022, inizio del 2023 sarà venduto. L’ostacolo maggiore agli investimenti è sempre individuabile nella bonifica dello stabile. Tale procedimento, non risulta fondamentale solo per facilitare uno slancio economico della struttura, ma per preservare l’intero quartiere da ulteriori esposizioni ai materiali tossici che infestano la fabbrica, l’ex Penicillina rappresenta una vera bomba ecologica che può incidere sulla salute di tutti gli abitanti del quartiere, non solo di quelli abusivi. Come emerge dalle foto satellitari, infatti, le coperture di amianto del tetto sono state distrutte, spesso dagli stessi occupanti per fabbricarsi sistemazioni di fortuna, ma le tossine dell’amianto, che vengono assimilate attraverso il respiro, si diffondono nell’aria uscendo dai confini dello stabile, aumentando così il rischio di esposizione prolungata. Procedere alla bonifica è una responsabilità pubblica. Ciò che risulta essere chiaro a tutte le associazioni e alla collettività è l’urgenza di strappare una struttura dal simile potenziale dal degrado e di restituirla alla comunità, così da poter offrire stimoli e una nuova linfa a un quartiere, già solitamente collegato a storie di criminalità. Forse più che la bonifica, per garantire un futuro all’ex fabbrica la più grande sfida da vincere è quella contro l’inerzia dell’amministrazione Capitolina.

“Hotel Penicillina: storia di una fabbrica diventata rifugio per invisibili”

La parabola discendente della fabbrica sembra aver attirato l’attenzione di molti, tanto da diventare l’oggetto di un saggio scritto da Anna Ditta (giornalista), Andrea Turchi (chimico) e Marco Passaro (fotografo), in cui la storia dell’impianto prende vita attraverso le voci di chi l’ex Penicillina l’ha vissuta sulla propria pelle, dagli ex dipendenti fino agli occupanti irregolari. L’idea nasce dall’incontro degli autori Andrea Turchi e Marco Passaro con Giorgio Nebbia, pioniere dell’ambientalismo italiano e parlamentare della Sinistra indipendente alla Camera e al Senato. Anna Ditta seguiva invece le vicende della fabbrica come giornalista dell’TPI. I tre, mossi dal loro interesse comune, propongono il progetto alla casa editrice Infinito Edizioni, che nel 2020 lo rende realtà.

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