Situata sulla costa nord del Sud America, la Colombia vanta una grandissima ricchezza naturale. A est si estende parte della foresta amazzonica, meraviglioso polmone verde, che più a nord lascia spazio alle savane tropicali dell’Orinoco. E se al centro svela un cuore roccioso, le sue coste si addolciscono al congiungersi, in un forte abbraccio spumeggiante, col mar dei Caraibi a nord e l’Oceano pacifico a sud-ovest. Ecco cosa è la Colombia: paesaggi incontaminati, colori vivi, cultura. È rito e spiritualità. È ricchezza.
Per Enrique, 34 anni, originario di Copacabana, la Colombia è anche casa. La sua è una testimonianza molto forte, che ci rileva l’altro lato della medaglia, quello più oscuro, fatto di ingiustizie, criminalità e paura.

Il suo arrivo in Spagna non è stato frutto di una scelta, è stato dettato da necessità. Quando racconta, seduto sulla sedia della nostra cucina, la voce tentenna, ma il suo dolore, che trapela da parole dure e a tratti malinconiche, è mascherato perfettamente da un grande sorriso e da una calma che ormai sembra dominarlo. A tradirlo è il suo sguardo che si fa via via più lucido.

– Ciao Enrique, tu sei colombiano e sei arrivato qui in Spagna tre anni fa, giusto? Com’è vivere in Colombia rispetto alla Spagna?
– Vivere in Spagna è molto diverso rispetto a vivere in Colombia. In Colombia si vive bene, è un paese molto bello, ci sono paesaggi meravigliosi, coste mozzafiato… Colombia è cultura, artisti, è molto caraibica, la gente è amichevole, ama fare festa ed è molto orientata alla famiglia: tutti si preoccupano di aiutarsi a vicenda.
La Spagna è più libera culturalmente, in termini di pensiero e azione… mentre la Colombia, beh, ha i suoi aspetti positivi e negativi, come in ogni altro posto, e certamente sotto questo aspetto bisogna stare un po’ attenti a come si parla, a come ci si comporta, perché è un paese in cui la società è un po’ più conservatrice.
Io sono arrivato tre anni fa e son felice di stare qui, di conoscere ed esplorare. Naturalmente mi manca un po’ il mio Paese, ma sono innamorata della Spagna e di tutto ciò che mi ha portato finora.

– E tu in Colombia che facevi? Studiavi, lavoravi…?
– Io in Colombia mi sono laureato come tecnologo in gestione logistica, che è come l’addetto a gestire le operazioni interne di un’azienda. Al termine degli studi sono andato a fare un apprendistato in un’azienda alimentare e, una volta terminato il tirocinio, ho firmato un contratto con loro e sono rimasto in azienda per sei anni. Ho poi creato una microimpresa con mio padre, di logistica e trasporti, dove ci occupavamo di acquisire clienti per il trasporto merci, che è ancora in funzione, anche se son stato costretto ad andarmene dal paese.
Aiuto mio padre da qui, per quanto possibile, ogni volta che ne ha bisogno.

– Quindi sei stato costretto ad espatriare, ma per quale motivo? Me lo puoi raccontare?
– È una storia un po’ triste… È successo che un giorno sono uscito di casa per andare a saldare i conti dell’attività che avevo con mio padre, quando sono stato raggiunto da due uomini.
Inizialmente ho pensato che mi avrebbero aggredito per rubare i soldi che avevo con me, anche perché in Colombia, per la situazione generale e culturale, è comune che la gente concepisca la criminalità come un modo più semplice per ottenere ciò che vuole. Ho accennato subito il gesto di consegnare i soldi ma, con un tono molto duro oltre che intimidatorio, mi hanno detto che non volevano il denaro ma che volevano me e che volevano uccidermi.
Abbiamo iniziato a fare a botte. Un uomo mi è saltato addosso, ha tirato fuori un cacciavite e stava per pugnalarmi al collo. Appena l’ho visto, l’ho schivato, sono caduto e lui mi ha comunque pugnalato al braccio… qui come vedi ho la cicatrice dell’incidente. Ho avuto fortuna perché in quel momento, quando sono caduto e mi hanno conficcato il cacciavite nel braccio, sono passate delle persone in moto che sono saltate giù per aiutarmi; quei due uomini sono scappati mentre a me hanno dovuto portare all’ospedale. Ed è allora che è iniziato tutto questo calvario…

– Per quale motivo pensi ti sia successo tutto ciò?
– Due anni prima ero stato coinvolto in una brutta situazione accaduta in una discoteca: stavo passando una serata in compagnia di alcuni amici quando all’improvviso abbiamo assistito alla scena di una persona che veniva uccisa. Grazie a chi stava lì, e anche grazie a me, sono riusciti a catturare le persone che hanno commesso l’omicidio.
Quindi ho immaginato si trattasse di una ritorsione per aver messo in prigione i soggetti coinvolti nell’uccisione del ragazzo in discoteca, anche perché avevo dei soldi con me, ma non li hanno voluti.
Poi iniziò a girare la voce che quanto mi era accaduto era immediata conseguenza dell’essere diventati una famiglia influente in paese (grazie all’azienda che avevamo creato) e che proprio lì si stava formando una banda criminale. Infatti in Colombia, quando si formano le bande, per assicurarsi che una persona possa farne parte viene sottoposta a una serie di prove, alcune delle quali consistono, per esempio, nel rapinare o uccidere una persona. Ho anche pensato che potesse essere successo per questo motivo, perché in Colombia è prassi giocare con la vita delle persone come fossero pedine degli scacchi. Ma la verità è che non so in che direzione stia andando l’indagine, so solo che ho sporto denuncia e chiesto protezione perché avevo molta paura.

– Torniamo a quando sei andato in ospedale. Cosa è successo dopo?
– Quando sono uscito dall’ospedale, sono dovuto andare dalle autorità per presentare, come ho detto prima, una denuncia per tentato omicidio. Sono state avviate una serie di procedure che mi hanno condotto alla “Fiscalía”, l’organo responsabile di queste situazioni in Colombia, e sono stato messo sotto sorveglianza 24h/24h. Nonostante ciò, ho continuato a ricevere minacce attraverso messaggi e telefonate. Loro mi hanno detto che non potevano fare altro perché le indagini seguivano un certo iter ed erano lente, così mi è stata data la possibilità di chiedere asilo politico in un altro paese mentre la mia situazione in Colombia veniva risolta.
Secondo le autorità del mio paese, avevo già un bersaglio sulla schiena e avrebbero potuto farmi del male in qualsiasi momento. Così facendo avrebbero raggiunto il loto obiettivo, che era quello di porre fine alla mia vita.
Alla fine ho accettato il loro aiuto.

– Allora puoi essere considerato un rifugiato politico. Come ti senti a proposito?
– Al momento sì, il caso è ancora aperto. Il consolato colombiano mi considera ufficialmente un rifugiato politico e devo continuare le procedure necessarie per poter lavorare legalmente qui in Spagna e avere tutto in regola.
Per me è una giostra di emozioni: è confortante sapere che almeno c’è una luce in fondo al tunnel, che puoi lavorare e sentirti a tuo agio in un paese che ti supporta; d’altra parte, però, è anche molto triste essere costretti ad abbandonare il proprio paese, fuggendo e nascondendoti perché “x” o “y” non hanno raggiunto l’obiettivo, e quindi lasciare andare tutto quello che avevi: vita e famiglia.

– So che hai un figlio…
– Sì, ho un figlio che si chiama Julian e che attualmente ha nove anni. È stato certamente la mia forza trainante e il motivo per cui non mi arrendo, ed è lui che a volte, quando mi ritrovo in alcune situazione di stress e paura, mi fa andare avanti.
Mio figlio piange quando lo chiamo perché gli manco. Vorrebbe venire, ma dobbiamo aspettare che il processo vada avanti per vedere se posso chiedere che mi venga a trovare. Quindi sì, è stata una giostra di emozioni, felice perché posso ricominciare la mia vita da zero qui, ma anche triste perché mi manca molto la mia famiglia e purtroppo anche loro sono stati tanto provati da questa brutta storia. Grazie a Dio su di loro non c’è stata nessuna ripercussione, solo contro di me.

– Però potrebbe accadere?
– Si, loro vivono con la costante incertezza che in qualunque momento possa succedere qualcosa.

– Sono sotto protezione?
– Beh, alcuni agenti di polizia si presentano a casa loro ogni mese; questo li fa sentire almeno un po’ più tranquilli.

– Sembra sia la normalità che queste cose accadano in Colombia o in Sud America. Tu hai avuto paura e continui ad averne o no?
– Purtroppo, in molti Paesi dell’America Latina e soprattutto in Colombia è normale che accadano queste cose perché, come ho detto prima, questa cultura “narco-facilista”, secondo la quale se inizio a comandare la gente e commettere reati posso ottenere molti soldi e potere, piace molto.
E sì, mi sono sentito molto spaventato, e non era paura, era panico, perché voleva dire uscire per la strada e aspettarsi il peggio. Poi è subentrata l’ansia di uscire, non volevo uscire di casa, e ogni volta che lo facevo dovevo farlo in macchina. Sono passati tre anni, ma continuo ad avere gli incubi su quello che è mi è successo; ho la costante sensazione che quando esco per strada vengo osservato ed entro in paranoia all’idea che mi possa succedere qualsiasi cosa in qualunque momento, nonostante mi trovi a migliaia di chilometri da casa.
Non so come il cervello gestisca l’ansia e questo genere di cose, però è riuscito a gestire gran parte dell’ansia che questo evento mi ha causato e mi sono tranquillizzato. Ho anche parlato con le persone che qui mi hanno aiutato e mi hanno detto che bisogna andare avanti, che la vita prende tante svolte e dà altrettante opportunità. Ho una nuova chance qui in Spagna e sto bene. Ci sono giorni in cui mi sveglio spaventato e altri in cui mi sveglio sereno; ho lasciato alle spalle tante paure e mi sono concentrato sulle cose importanti che mi stanno capitando in questo momento, mentre magari nel frattempo arriva qualche buona notizia che mi dica che tutto è stato risolto e posso tornare. Intanto sto qui a lottare per il mio futuro.

– Quali sono i tuoi piani per il futuro? Vorresti restare qui o ti piacerebbe tornare a casa se ottenessi il via libera?
– Ultimamente ho riflettuto molto sul futuro che mi aspetta in Spagna, che all’inizio sembrava un po’ incerto dal momento che è stato difficile trovare lavoro. Però adesso, non so se grazie alla fortuna o a Dio, sono riuscito a trovare un lavoro stabile in un’ottima azienda, El Corte Inglés.
Il mio progetto per ora è di mettere radici qui, poter avere una casa tutta mia, conoscere meglio la Spagna e l’Europa. Quindi, beh, sì, per il momento vorrei restare qua. La mia famiglia sta addirittura pensando di venirmi a trovare l’anno prossimo: siamo focalizzati nell’idea che tutto vada per il meglio e proceda nel miglior modo possibile.
Per quanto riguarda il mio paese di origine, è naturale che vorrei tornare, ma per adesso metto al primo posto la mia sopravvivenza.

– Sono molto felice di sapere che ti piaccia la Spagna e che ti trovi bene qui!… Grazie mille per la tua intervista, è stato un piacere parlare con te!
– No, grazie mille a te per l’opportunità! Pensare di aver incontrato una ragazza italiana in mezzo a tante cose, e di aver stretto una bella amicizia, mi rende felice, perché ci si rende conto che ci sono più cose belle che brutte nella vita.

Enrique è stato il mio coinquilino durante questo primo semestre a Madrid. Ammiro il suo modo di essere e il suo approccio sempre positivo alle cose. Ha voglia di conoscere e fame di vita. Incontrarlo è stato un colpo di fortuna.

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